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UN FUTURO per L’EUROPA

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Cari lettori e colleghi,

L’UE sta attraversando uno dei periodi più bui in quanto è messa in discussione la sua stessa sopravvivenza. Ipotesi che sinceramente ritengo poco probabile ma gli eventi incalzano e sono sempre più evidenti i segnali di una profonda spaccatura tra i paesi UE. I prossimi mesi saranno davvero caldi: le istituzioni europee, a partire dalla Commissione, cercano soprattutto – come ha scritto Tusk Presidente del Consiglio d’Europa – di mantenere stabile il rapporto con i vari governi europei. Vero è che non si può parlare di politica europea se questa politica deve rispondere, come dimostrano i fatti, alle aspettative ed alle esigenze spesso contrastanti dei paesi europei. Lo scontro che oggi è in corso sta scuotendo la saldezza dell’impianto giuridico ed economico dell’UE per cui – se non ci sarà una ragionevole discussione tra tutti i paesi europei innanzitutto sul futuro dell’Unione – rischia di saltare tutto l’impianto. E, credetemi, la prospettiva di un ritorno al passato finisce per cancellare la storia recente del nostro continente che continua ad essere “un gigante con i piedi d’argilla”. Si vuole tutto ciò? Probabilmente non sono molti quelli che conoscono il problema a fondo ma soprattutto sono i nostri popoli che sono esclusi da questa storia per cui ancora una volta la politica si fa sulla pelle di milioni di persone che finiscono per subire la demagogia dei loro governanti. E’ una direzione da invertire: oggi non ne abbiamo la forza ma, pur nelle condizioni in cui viviamo, non possiamo far mancare il nostro contributo per fare conoscere innanzitutto i problemi che stiamo affrontando. Su questa realtà europea la nostra associazione intende organizzare un convegno nel quale vorremmo coinvolgere anche altre forze sociali, pur dando largo spazio innanzitutto agli aspetti giuridici. Questo è un piccolo contributo, sperando di incontrare anche la collaborazione di chi voglia costruire un futuro stabile per l’Europa e i suoi abitanti. (Avv. E. Oropallo)

                       Incertezza e rassegnazione al vertice di Bratislava

Affari internazionali.it – la rivista on-line di politica ed economia internazionale dell’IAI (Istituto Affari Internazionali) ha dedicato ampio spazio al vertice UE che si è tenuto a Bratislava. Tante le questioni all’ordine del giorno come la politica dell’immigrazione, la politica della sicurezza e quello della Brexit. L’obiettivo del vertice UE di Bratislava era quello di scrollarsi di dosso “quella patina d’incertezza e di rassegnazione” sul destino dell’UE dopo l’uscita della GB dall’Unione. Quella GB che, proprio per le divisioni tra i governi dei paesi UE, malgrado il cambio di guardia alla guida del governo inglese, non si decideva a presentare la richiesta di uscita dall’UE, non consentendo quindi l’avvio del negoziato sulla uscita, prolungando lo stato di incertezza e di confusione. Certamente questo atteggiamento tenuto dalla GB crea forti tensioni all’interno dell’UE anche perché teoricamente la Gran Bretagna potrebbe rinviare le trattative anche qualche anno, come ha annunciato pubblicamente proprio in questi giorni. Nel suo discorso all’Europarlamento di Strasburgo, qualche giorno prima del vertice, il Presidente della Commissione Junker ha rispolverato il progetto della difesa comune europea, che è la nuova frontiera dell’integrazione, anche sulla spinta di alcuni paesi come l’Italia che cerca di avere un ruolo attivo nella politica UE, anche se la stella di Renzi sta lentamente ma inesorabilmente tramontando tanto è vero che al vertice si è visto escludere dalla conferenza stampa tenuta insieme da Merkel e da Holland. Il clima non è quello dei più favorevoli anche perché nel 2017 si avranno elezioni anche in Francia e Germania che devono tener conto anche della propria opinione pubblica. Già per due volte consecutive la Merkel si è vista penalizzata sul piano elettorale, sia nel Mecklenburg che in Sassonia dove il partito di estrema destra ha riportato ampi consensi per cui oggi neppure la Germania si sente in grado di avanzare grandi proposte per l’UE, limitandosi a conservare la posizione raggiunta all’interno dell’UE. Ma il clima è ancora più agitato dal fatto che il 2 ottobre a Budapest si terrà il referendum sul rifiuto del sistema delle quote dei rifugiati proposto dalla Commissione che nasconde però un’insidia più grave, quella di respingere il metodo di votazione a maggioranza adottato nel Consiglio dei Ministri e dell’approvazione del Parlamento europeo in quanto non consentito dai Trattati se non inquadrando la decisione tra quelle che potevano essere prese a maggioranza, laddove in seno al Consiglio di regola il principio è quello dell’approvazione all’unanimità. Ebbene, nulla esclude che ad avere ragione questa volta sia proprio il razzista Viktor Orban, capo del governo ungherese. Il vero problema che ha spaccato in due tronconi i paesi dell’UE è proprio quello dell’immigrazione e la gestione dei flussi migratori. E l’obiettivo che l’UE intendeva raggiungere con il vertice era quello di rafforzare una unità fittizia dei 27 paesi difronte alla presa di posizione dei paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) che si rifiutano di accogliere nei loro paesi una quota, anche simbolica, di immigrati. Il problema è serio perché accanto a questi paesi ve ne sono altri come la Slovenia, la Croazia ed anche l’Austria che non sono disposti ad accettare gli immigrati sul loro territorio. Più i paesi sono piccoli, più cresce il fronte nazionalista per il timore di perdere la propria identità nazionale o, a dir meglio, di perdere quel po’di benessere conquistato soprattutto dai Paesi dell’Est europeo, a seguito dell’adesione all’UE. Una situazione di stallo oggi di difficile soluzione anche per la mancanza di fermezza da parte dei paesi europei trainanti, distratti e intimoriti dai rovesci elettorali, come in Germania, o dalla situazione economica come in Italia per cui si è avverato proprio quello che scriveva il Presidente del Consiglio Europeo, il polacco Donald Tusk nella lettera inviata ai capi di governo il quale teme lo spettro del cambiare tutto per non cambiare nulla. Il problema delle quote può risolversi solo modificando il Trattato di Dublino che fa carico ai paesi in cui i rifugiati arrivano di prendersi carico del mantenimento degli stessi fino a quando non sia deciso se concedere o meno l’asilo politico, prevedendo obblighi anche nel caso di accadimenti eccezionali come le ondate successive di migliaia di profughi sulle coste dei paesi rivieraschi. In base al Trattato di Dublino, sia pure modificato, sarà facile ai paesi UE tener chiuse le proprie frontiere mentre paesi come quelli mediterranei spingono a cancellare il Trattato e per il momento si limitano a disapplicarlo, come avviene in Italia. Anche il nostro Renzi è obbligato per un verso a soddisfare l’opinione pubblica interna criticando la miopia degli altri paesi ma a livello europeo è tenuto a frenare, se vuole che gli venga fatta qualche concessione sul piano economico. Un governo del genere non è destinato a durare tanto tempo ancora, anche se in Italia riuscisse a superare lo scoglio, anch’esso rischioso, del referendum costituzionale. E allora, meglio fare l’offeso e tenere a freno la lingua. Ma anche per quanto riguarda la sicurezza europea, c’è spaccatura tra i paesi dell’Est e i paesi fondatori in quanto questi ultimi vedrebbero di buon grado una prima fase in cui concentrare la sicurezza nelle mani dei tre paesi più forti militarmente e cioè Germania, Francia e Italia mentre i paesi centro-europei tra i quali vi sono anche la Romania e la Bulgaria, membri anch’essi della Nato, si affidano di più alla difesa Nato, non fidandosi, e non a torto, della buona fede dei paesi occidentali tutti legati, per motivi energetici, alla Russia che continua a rappresentare una minaccia reale per i paesi dell’Est. Dunque, anche se si dovesse decidere su questo piano, sarebbe molto probabile che prevalga questa seconda linea attestata sulle posizioni tradizionali della Nato. Manca in questo quadro così deludente un accenno anche minimo ad un’ipotesi di allargamento dell’UE verso altri paesi, a partire dai paesi balcanici, così vicini all’Italia, così tradizionalmente legati all’economia europea – in particolare alla Germania e all’Italia – sulla cui proposta di adesione l’UE non si è ancora pronunciata, malgrado ne sussistano tutte le premesse. E’ possibile che ciò avvenga in occasione del 60’ anniversario della firma del Trattato di Roma. Il che non sarebbe una cattiva idea per rilanciare l’idea di un’Europa unita. Perché è certo che esistono le risorse e le premesse di una adesione che sicuramente potrebbe compensare anche il distacco, anche se improponibile oggi, di altri membri dell’UE, come quelli del gruppo di Visegrad. E poi c’è il problema Turchia che bussa alle porte dell’UE chiedendo in prezzo per aver fermato nel proprio territorio milioni di diseredati che giungono da paesi dilaniati dalle guerre e dalle privazioni. Ci sarebbe bisogno di una classe politica europea più attenta alle prospettive del domani che alla conservazione del presente. Ma chi non ha coraggio, come ci ricorda il Manzoni, non se lo può dare.      Ed oggi quello che manca è proprio una classe politica europea capace di ricordare il passato recente e meno recente e di guardare soprattutto al futuro del nostro continente. Ma questo è già un altro discorso, più delicato e più complesso sul quale ritorneremo per delineare meglio quello che è il futuro che ci aspetta o che potrebbe aspettarci.

Settembre 2016

(Avv. E. Oropallo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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