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PER GLI INSEGNANTI ITALIANI, STIPENDI FERMI DA 5 ANNI

Gli stipendi iniziali degli insegnanti italiani si collocano, insieme a quelli dei colleghi francesi, portoghesi e maltesi, nel range tra 22.000 e 29.000 euro lordi annui.  I loro colleghi in Belgio, Irlanda, Spagna, Paesi Bassi, Austria, Finlandia, Svezia, Islanda e Norvegia invece guadagnano tra i 30.000 e 49.000 euro.  In Danimarca, Germania, Lussemburgo, Svizzera e Liechtenstein, paesi con un Pil pro capite alto, si registrano stipendi superiori a 50.000 euro. Quella italiana non è la situazione peggiore in assoluto. In Bulgaria, Ungheria, Polonia e Romania lo stipendio di base degli insegnanti neoassunti è al di sotto dei 9.000 euro annui. Si tratta però di Paesi con Pil pro capite molto bassi. Quello che colpisce del caso italiano è che negli ultimi 5 anni gli stipendi dei docenti sono rimasti sostanzialmente gli stessi e ci sono pochissimi scatti di carriera. Nel nostro Paese, infatti, gli stipendi iniziali degli insegnanti possono aumentare di circa il 50% solo dopo 35 anni di servizio. Mentre in altri Paesi ci vuole molto meno. Per esempio, nei Paesi Bassi gli stipendi iniziali aumentano di più del 76% già nei primi 15 anni di servizio e fino al 105% negli anni successivi. In Francia gli stipendi iniziali aumentano del 70% con 29 anni di servizio. Ciò spiega perché gli insegnanti italiani manifestano un certo disagio difronte ad uno stipendio che non può definirsi adeguato a chi ha svolto degli anni di studio e di lavoro per ottenere di essere inquadrati in un servizio per il quale quello del basso stipendio non è certo il primo dei problemi per chi accetta di punto in bianco il trasferimento a centinaia di chilometri di distanza dal luogo abituale di residenza. Una scelta quella di fare il professore spesso come unica risorsa a chi esce dalle facoltà universitarie di lettere. Sono decenni che il ruolo di docente è stato sempre più mortificato laddove egli rappresenta il collegamento necessario per formare le nuove generazioni. Se la politica continuerà a taglieggiare gli stipendi, potremmo anche avere una crisi di vocazione che potrebbe porre in discussione la crescita culturale delle nuove generazioni. E’ un rischio che non va minimizzato. Già oggi altri settori, come in quello medico, molti neo-laureati preferiscono trasferirsi all’estero dove possono contare su un trattamento economico più soddisfacente. Vero è che tale strada è difficilmente percorribile da chi ha una laurea in lettere e filosofia ma è proprio per questo che le facoltà umanistiche potrebbero essere meno appetibili in un futuro prossimo, una volta esaurita l’aspettativa di tanti laureati che ancora oggi si sacrificano accettando sostituzioni annuali, lontani dalla famiglia, in attesa di avere la sospirata cattedra di ruolo.

Per gli insegnanti italiani stipendi fermi da 5 anni

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