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IL DEF DEL GOVERNO: NUOVA SFIDA ALL’UE

Era ancora nell’agosto scorso che il ministro Tria metteva in guardia il governo che non sussistevano le coperture finanziarie per realizzare tutte le promesse fatte agli elettori durante la campagna elettorale. Ricordiamo che Di Maio in campagna elettorale ha sempre gridato ai quattro venti che già ci fossero le risorse per realizzare quelle riforme promesse agli elettori mentre oggi al contrario, appare chiaro che il governo intende attuare questa manovra ricorrendo ancora una volta all’aumento del deficit di bilancio. Gli accordi con Bruxelles, prevedevano infatti un rapporto tra deficit/PIL per il prossimo anno fissato allo 0,9 per cento mentre già in agosto l’esecutivo prevedeva di superare questa soglia con la nota di aggiornamento che l’esecutivo avrebbe presentato in settembre.
Secondo Palazzo Ghigi quella cifra sarebbe diventata 1,7/1,8%. La Commissione europea, per bocca del commissario Moscovici, si era resa disponibile anche a concedere una certa flessibilità, nella misura di qualche decimale, a patto però che l’Italia utilizzasse questa ulteriore disponibilità per maggiori investimenti. Il ministro Tria nel frattempo assicurava l’UE che non si sarebbe andati oltre questa soglia massima. Ma è bastato un mese perché saltassero tutte queste previsioni.
Dopo settimane di dichiarazioni inconsulte dei leader della coalizione, in particolare del vice primo ministro Salvini – il primo Ministro delle Finanze – critico nei confronti della maggioranza che aveva accusato il suo staff di sabotare le riforme violate dal governo – faceva qualche timida anticipazione sul DEF ritenendo che il rapporto deficit/PIL da inserire nella nota e nella manovra sarebbe stato portato all’1,6 aggiungendo che si poteva anche arrivare all’1,8 a condizione di utilizzare lo scollamento in favore degli investimenti che sono quelli che l’Europa potrebbe consentire.
Ma in pochi giorni anche questa previsione salta.
Quando la Francia presenta la legge di bilancio per il 2019, che prevede di portare il deficit nel prossimo anno al 2,8%, insorge il vice primo Ministro Di Maio che assesta un nuovo colpo alla strategia prudente del Ministro Tria. “Siamo un paese sovrano esattamente come la Francia” facendo intendere di essere pronto a superare anche il limite del 2% malgrado l’avvertimento lanciato da Draghi che “le parole fanno danni”. Anche perché il paragone con la Francia non regge.
In primo luogo perché il debito della Francia, quest’anno è al 96,4 per cento del PIL mentre il nostro è al 130,7 per cento ed esso anche dopo la crisi del 2011 è cresciuto meno del nostro. Di conseguenza, gode di una maggiore fiducia sui mercati. Inoltre la previsione di crescita in Francia per il 2019 è dell’1,7 per cento del PIL mentre per noi sarebbe solo dell’1% ma soprattutto quello francese non è un aumento del deficit al buio, nella speranza che cresca il PIL, come si illude la maggioranza giallo-verde in Italia.
Inoltre, l’operazione prevista da Macron comporta un aumento del deficit dal 2,6 al 2,8 pari a due decimali mentre l’aumento in Italia del deficit dallo 0,8 al 2,8 per cento comporta uno scarto di due punti pari a un deficit di 35 miliardi.
Nonostante queste previsioni che comporterebbero anche un aumento dello spread, nell’infuocata riunione di governo è stata approvata una manovra che porta il deficit ipotizzato da Tria all’1,6% rispetto al PIL, al 2,4%. Lo stesso ministro Tria che, appena un mese fa si era impegnato con i colleghi dell’eurozona che non si sarebbe superata la soglia dell’1,6%, ora parla addirittura di manovra giusta, addirittura con la previsione di un ulteriore calo del deficit dell’ uno per cento nel 2019.
E’ vero che si tratta ancora di una manovra che può essere rivista ma gli scenari economici- finanziari sono tutt’altro che rassicuranti “perché è venuta meno quella parvenza di credibilità e protezione che si attribuiva a Tria” – come si legge sul sito web www.democratica.com che aggiunge realisticamente che “quello che agita maggiormente i mercati è probabilmente lo scenario di un’escalation di tensione che si avrà nei prossimi mesi tra l’UE e il governo. Soprattutto dopo le parole dei due leader giallo-verdi che non lasciano sperare in un dialogo costruttivo”.
Anche perché nella manovra ci sono delle misure assistenziali ma poco si legge di investimenti e sviluppo. In effetti per tener buona la propria base elettorale, il governo attuale sta trascinando il paese in una situazione senza sbocco con serie ripercussioni sia sul piano istituzionale che nei rapporti con l’UE di cui, non dimentichiamolo, l’Italia è tra gli Stati fondatori per cui veramente il linguaggio di Salvini anche in questa occasione “noi tiriamo avanti” ha esclamato, non è adeguato alla responsabilità dell’Italia nei confronti della comunità internazionale e ingeneroso nei confronti della UE e della Commissione in primo luogo. Ma la vicenda in questo inizio di settimana ha ricevuto un ulteriore accelerazione. Chi credeva che il Ministro Tria sia rimasto coinvolto non volendo da una maggioranza di governo si sbaglia in quanto le scelte fatte dal governo sono state approvate anche da Tria il quale ben poteva prendere le distanze dalla posizione dei vertici della maggioranza.
Anche se resta interlocutore privilegiato per l’Unione Europea, ha sollevato notevole stupore e irritazione la sua dichiarazione che la previsione di crescita per l’anno prossimo sarebbe dell’1,6 per cento grazie alle misure della manovra, obiettivo ritenuto decisamente ottimistico, per cui Bruxelles si prepara a bocciare la manovra prima ancora che essa sia approvata in Parlamento e sarebbe la prima volta che una manovra finanziaria sia respinta preventivamente. Ma il confronto previsto non vi è stato, in quanto, dopo un primo incontro all’Eurogruppo, è arrivata la notizia che Tria sarà assente domani (3.10) alla riunione dell’Ecofin per cui di nuovo lo spread ha ripreso a crescere.
Juncker, Presidente della Commissione Europea, intervistato nel corso di un convegno tenuto in Germania, ha dichiarato che “l’Italia non può richiedere un trattamento speciale perché ciò significherebbe la fine dell’euro. Bisogna essere molto rigidi – ha aggiunto – non vorrei che dopo aver superato la crisi greca, ricadessimo nella stessa crisi in Italia. Una sola crisi del genere è sufficiente”. Parole chiare che lasciano prevedere come – se non ci saranno ripensamenti e soprattutto se non si rivede la manovra per riportarla all’interno dei margini previsti – l’Italia rischia, grazie al governo odierno, di essere portato innanzi alla Corte di Giustizia per violazione del Trattato. Non possiamo neppure nascondere la possibilità che all’interno del governo c’è chi lavora in effetti proprio per portare l’Italia fuori dall’UE. E sarebbe il fantomatico piano B che prevede di uscire dall’UE nel caso in cui non venga approvata la manovra finanziaria proposta dal governo italiano.
Lo confermano le recenti affermazioni dei due protagonisti di questo psicodramma italiano. Da una parte il Vice Presidente del Consiglio Di Maio ancora ieri dichiarava che si andrà avanti con il programma già fissato anche se non venisse approvato dall’UE. Gli fa da contraltare Salvini con la sua replica dura contro Juncker “in Italia nessuno si beve le minacce di Juncker. Non ci fermiamo!” Degno epitaffio per la politica cialtrona di questo governo.
Ottobre 2018

IL DEF DEL GOVERNO, NUOVA SFIDA ALL’UE

 

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