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IL CASO SHALABAYEVA

Dopo la recente sentenza della Corte di Appello di Perugia che ha ribaltato il verdetto di primo grado, ritorna alla ribalta questo caso giudiziario. Nel maggio 2013 Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, insieme alla sua bambina che aveva allora sei anni, fu svegliata nella notte tra il 28 e il 29 maggio dall’irruzione di un manipolo di poliziotti che, malgrado la resistenza della donna che chiedeva quantomeno di sapere in base a quale provvedimento giudiziario la polizia stesse procedendo, veniva caricata di peso insieme alla bambina su un’auto della polizia ed espulsa nel giro di poche ore dal territorio italiano benché fosse in possesso di un regolare visto di soggiorno rilasciato dalle autorità italiane. La vicenda venne ben presto condannata dall’Autorità giudiziaria che la definì un vero e proprio rapimento in violazione dei principi costituzionali e dello “stato di diritto”. A seguito dell’inchiesta svolta dagli organi competenti, il Tribunale di Perugia condannava a cinque anni di reclusione l’allora questore di Palermo per sequestro di persona e falso. La sentenza emessa il 14 ottobre 2020 aveva portato alla rimozione dall’incarico del superpoliziotto con la condanna di altri sei imputati che avevano collaborato a questa operazione di polizia. La donna, circa un anno dopo, ritornava in Italia ottenendo l’asilo politico. Una sorta di “tardiva” riparazione che comunque confermava la totale illegalità dell’operazione di polizia che aveva portato alla sua espulsione dall’Italia. All’epoca ministro degli Interni era Angelino Alfano nel governo Berlusconi. A luglio 2013, ancora nel corso delle indagini era stato costretto a dimettersi Giuseppe Piraccini, capo di gabinetto del ministro che rimaneva al suo posto non essendo passata la mozione di sfiducia presentata da un gruppo di deputati dell’opposizione. La difesa dell’imputato all’epoca giustificò l’operato dell’ex questore di Palermo che si era “mosso” sulla base di una segnalazione pervenuta dall’Interpool di Astana con cui si richiedeva l’arresto del marito della donna per il reato di truffa e di appropriazione indebita, che non giustificava né l’arresto e neppure l’espulsione della donna che non aveva niente a che fare con un eventuale reato commesso dal marito che si trovava in Francia. Una linea difensiva che paradossalmente aggravava la posizione degli imputati: c’era probabilmente qualcosa altro dietro questo sequestro su cui invece non si è fatta mai chiarezza. Nel giudizio di appello promosso dall’imputato non sono emersi altri elementi a modificare l’impianto accusatorio di primo grado per cui solleva legittimi dubbi la sentenza emessa qualche giorno fa dalla Corte d’Appello che ha ribaltato la sentenza di primo grado assolvendo tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste“. Un incaricato della donna ha parlato di “sentenza scandalosa”, per cui si aspetta di leggere le motivazioni della Corte per capire come e perché un fatto così scandaloso, che non è stato mai contestato sia stato ritenuto dalla Corte non penalmente rilevante. Se si parla di “fatto” insussistente, allora è la vittima che si è inventato tutto? Certo è che è ancora troppo presto per ritenere che la vicenda giudiziaria sia definitivamente chiusa.

Giugno 2022

IL CASO SHALABAYEVA

 

 

 

 

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