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CONVULSIONI GIUSTIZIALISTE

Incapace di rendere più efficiente il sistema e di fornire una risposta alla domanda di giustizia proveniente dal ventre di questo paese, l’amministrazione della giustizia –continua ad affidarsi a soluzioni tecniche che spesso sono peggiori del problema affidandosi ad una serie di interventi chirurgici sulle disposizioni del codice di procedura civile, senza aprire una riflessione più ampia sul sistema giustizia. E così ritorna di moda il processo da remoto, ossia, che si celebra non nelle aule di giustizia ma lasciando i protagonisti del processo (magistrati, avvocati e parti) a casa propria. Un sistema che non regge ad una critica centrale: la mancanza di coralità del processo per assicurare un giusto contraddittorio. Per chi ha avuto modo di misurarsi con questo tipo di processo, ha avuto la sensazione di qualcosa di ben diverso dal processo, regolato da precise norme di legge. Come ha giustamente annotato il Presidente emerito della Consulta, il prof. Flick, “il processo da remoto non è una forma di processo…è un’altra cosa”. La maggioranza della magistratura è purtroppo più che d’accordo per questa soluzione che semplifica il loro lavoro. Più di un magistrato si è pronunciato criticando questo sistema. Il giudice Bobbio del Tribunale di Nocera Inferiore non usa mezzi termini per sferzare la posizione di privilegio della propria categoria. In un’intervista al giornale “Il riformista” dichiara “non vedo per quale ragione…noi magistrati dobbiamo godere di un trattamento preferenziale rispetto ad altre categorie di lavoratori che in questi 50 giorni (l’intervista è del 12.5 u.s.) hanno continuato a lavorare adottando tutte le cautele per evitare il contagio. Ci sono dispositivi e precauzioni che ci consentirebbero di continuare ad assicurare una giustizia, civile e penale, attraverso processi che si possono definire tali, e non certo attraverso il processo telematico che non è un processo ma un’altra cosa”. “Il processo –aggiunge – va fatto in aula e l’unico protocollo da seguire deve essere il codice, quello di procedura penale e quello di procedura civile”. Al contrario, in questa pandemia, nel periodo intermedio, siamo stati ossessionati da centinaia di protocolli che venivano emessi dai Presidenti dei singoli Tribunali che han finito di appesantire ancora di più la situazione, creando momenti di grande disagio. Spesso, all’interno dell’ordine giudiziario – dichiara sempre il giudice Bobbio – “il ruolo del magistrato viene vissuto come il ruolo dei migliori, dei depositari della verità, della morale e della conoscenza giuridica, in grado da soli di governare le dinamiche della giustizia. E a ciò – conclude – si aggiunge il ruolo non secondario che hanno logiche di potere”. Un potere spesso quello giudiziario di supplenza anche del potere legislativo, con un Parlamento, anche privato nei suoi poteri costituzionali, limitandosi a votare per acclamazione i decreti emessi dal governo che ha finito per sostituire l’organo legislativo anche in periodi di ordinaria amministrazione. Un’altra breccia nel tessuto democratico di questo paese che ormai è abituato a fare affidamento ancora una volta sulle simpatie e sulla preparazione di singole personalità più che sul regolare svolgimento dell’attività parlamentare. Né il Parlamento, nella sua colorita composizione sociale, riesce ad allontanare la percezione negativa di gran parte dei cittadini. Anche l’Europa sa bene che se uno dei motivi per cui l’Italia costituisce il fanalino di coda in Europa, è anche quello della lentezza del processo civile. Motivo per il quale, giustamente, ha subordinato la disponibilità dei fondi destinati all’Italia dal Recovery Fund ad una riforma per velocizzare i processi civili, ritenendo che non sono sufficienti piccoli ritocchi ma una vera e definitiva riforma del processo civile. L’Italia dovrà presentare a Bruxelles un piano nazionale di riforme che prevede anche di risolvere inefficienze burocratiche e superare la lentezza del processo civile. L’Italia deve considerare questa manovra, che è la più ponderosa forma di rilancio economico dal secondo dopoguerra, un’opportunità per la modernizzazione del sistema generale, a partire dalla scuola e a finire col sistema giudiziario. Una scommessa che dovrà impegnare il governo ed il paese, tutti gli strati sociali e tutte le categorie. Anche la CEDU ha ricordato all’Italia che il virus non può giustificare la paralisi della giustizia. Serve dunque una riforma globale dell’ordinamento giudiziario, con il concorso di tutte le professionalità interessate: magistrati e avvocati in primo piano per eliminare innanzitutto quei privilegi di cui ancora godono i magistrati, per rafforzare il ruolo costituzionale dell’avvocatura e per razionalizzare i tempi del processo civile e la ragionevole durata del processo penale. Il tempo ci dirà se c’è ancora quel senso di condivisione che è stata alla base della nascita di questa Repubblica e soprattutto se vi sono forze sociali che possono fornire suggerimenti alla guida politica per affrontare la sfida del cambiamento necessario per ridare una speranza ai nostri giovani ma soprattutto lavorare per eliminare sacche di discriminazioni e di sfruttamento che sono ancora alla base della nostra società.

16/6/2020

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