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BREXIT: TANTE PROMESSE MA POCHE CERTEZZE

La giornata di festa dell’otto dicembre u.s. è stata, sembra, una giornata di festa anche per l’Europa: il Presidente della Commissione UE Junker, dopo l’incontro con la premier inglese Theresa May, ha dichiarato che, infine, si è trovato un accordo “è stato un negoziato difficile ma ora abbiamo una prima svolta, sono soddisfatto dell’accordo equo che abbiamo raggiunto con la Gran Bretagna” aggiungendo “ questo è il momento di guardare al futuro in cui la Gran Bretagna è un amico ed un alleato” con un “periodo di transizione” ma ha sottolineato Junker “ci stiamo tutti muovendo verso la seconda fase e questo sulla base di una fiducia rinnovata”. Ci scuserà il signor Junker un certo scetticismo: innanzitutto, non vediamo perché non sia stato il negoziatore ufficiale per l’UE, Barnier, a fare una dichiarazione ufficiale. Siamo proprio sicuri che avrebbe usato gli stessi toni trionfalistici? Lo scetticismo aumenta quando si considera che, fino a qualche giorno prima, sia Junker che Tusk – Presidente del Consiglio d’Europa – avevano parlato di durezza manifestata dalla May nel corso delle trattative. Inoltre, va osservato che viene presentato come accordo quelle che in precedenza erano state solo richieste del governo inglese, ripetutamente respinte dal negoziatore europeo. Era stata infatti la May a chiedere di passare alla seconda fase della trattativa destinata a concordare le condizioni di un trattato economico tra Gran Bretagna ed U.E.. Ma fino ad ora, proprio in mancanza di proposte concrete della May, l’UE si era rifiutata di passare alla seconda fase se non si fosse deciso il governo inglese a fare le sue proposte sia per quanto riguarda le condizioni dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna, sia per la questione, molto più spinosa, dei rapporti tra Irlanda e Ulster, restando l’Irlanda nell’UE mentre l’Ulster, con la Brexit, segue la stessa sorte della Gran Bretagna per cui potrebbero riaccendersi quei contrasti che per lunghi anni avevano prodotto violenza e terrore. Oggi entrambi i governi, quello della Irlanda e dell’Ulster, ci tengono a mantenere i rapporti economici che si erano instaurati con l’ingresso della Gran Bretagna e dell’Irlanda nell’UE. Siamo difronte a due economie complementari, per cui sarà difficile ritornare al regime preesistente, con barriere doganali, che saranno anche frontiera esterna per l’UE, che ha sempre chiesto al governo inglese che già nella prima fase delle trattative andasse discusso e risolto il problema. Solo qualche settimana fa, sulle colonne del quotidiano “La Repubblica” del  26.11- il corrispondente da Londra – Enrico Franceschini – ricordava che “con gli accordi di pace del 1998 – raggiunti proprio grazie all’intervento dell’UE – era cessata la violenza che aveva per anni diviso irlandesi (cattolici) dall’Irlanda del Nord (protestanti) per cui ripristinare la frontiera oggi con la Brexit tra i due paesi costituisce un grave rischio”. Ricordiamo che anche l’Irlanda del Nord nel referendum promosso dal governo inglese aveva votato a favore del “remain” per il 56% per cui anche i nord irlandesi si sono già pronunciati contrari al ripristino della frontiera con l’Irlanda. Londra ha sempre dichiarato di voler affrontare la questione della frontiera irlandese in un secondo momento come parte dell’accordo con l’UE sui futuri rapporti commerciali; posizione che non trova d’accordo i leaders dei 27 e la stessa Irlanda che in occasione del Consiglio Europeo del 15 dicembre dovrà valutare i progressi del negoziato sulla Brexit e mettersi di traverso ponendo il veto alla continuazione delle trattative. In un comunicato diffuso dalla Commissione, la Gran Bretagna si è impegnata “ad evitare che sia eretta una barriera fisica tra Irlanda e Irlanda del Nord”. In effetti, fino ad oggi, il negoziatore europeo – e con lui  Junker e Tusk  – avevano richiesto alla Gran Bretagna di presentare una proposta concreta ma l’impegno assicurato dalla May non può ritenersi affatto una proposta concreta, lasciando il tempo che trova, se si considera che l’appoggio fornito dal partito conservatore dell’Ulster al governo inglese potrebbe venir meno facendo crollare il governo con un ritorno alla urne che favorirebbe il Labour Party. Questo impegno generico servirà solo – a livello interno – ad evitare una crisi di governo senza chiarire un futuro che resta incerto nei rapporti tra G.B. ed U.E.. Ben altro di quello che richiedeva l’UE per cui ci appare davvero stravagante che – rispetto a questa resa difronte alle posizioni assunte dal governo inglese – si parli di un accordo “equo”. Neppure è comprensibile, se non per motivi elettorali, tenuto conto anche della difficoltà di costituire in Germania un governo con l’alleanza del partito socialista, che diversi governi dell’UE, tra cui l’Italia, si siano complimentati per l’accordo raggiunto perché nessun accordo si è prodotto ma solo un impegno generico per una soluzione indolore. Ancora, per quanto riguarda i diritti degli oltre tre milioni di cittadini europei residenti in Gran Bretagna, l’UE si era battuta fino ad oggi per il riconoscimento dei diritti dei cittadini europei in base alla legge europea, chiedendo espressamente che, in caso di violazione, restasse unico giudice quello europeo (Corte di Giustizia). La May, pur garantendo i diritti degli europei residenti in Gran Bretagna si è affrettata a precisare che “ad essi sarà applicato il diritto britannico da Corti britanniche”. Per chi ha seguito la trattativa negli ultimi mesi, era uno dei punti rivendicati dall’UE per cui far apparire questa soluzione come frutto della trattativa ci sembra davvero poco rassicurante. Il 15 dicembre si terrà la riunione del Consiglio d’Europa con i 27 membri di governo per cui probabilmente dobbiamo aspettarci delle sorprese da parte di altri paesi membri, in particolare da parte del Ministro degli Esteri irlandese, anche se il solito Junker, per mettere l’ipoteca sulla decisione del Consiglio, ha raccomandato al Consiglio d’Europa di fare una precisa dichiarazione che è stato fatto “un progresso sufficiente” in questa fase e per dare via libera alla seconda fase dei negoziati sulle relazioni future dell’UE con la Gran Bretagna. E’ quello che ha sempre preteso il governo inglese ma su cui l’UE aveva posto precisi vincoli. Anche per quanto riguarda la questione dei rimborsi da parte della Gran Bretagna all’UE, si era parlato inizialmente di una cifra vicina a cento mld di euro mentre il governo inglese aveva previsto un rimborso al ribasso di quaranta-cinquanta mld., ritenuto non congruo dall’UE in una prima fase della trattativa. Non possiamo non accennare all’ipotesi del governo inglese di concedere uno status speciale all’Ulster per non ritornare al passato. Questa soluzione, solo ventilata, non va bene né per l’UE in quanto non può la Gran Bretagna pretendere di avere gli stessi diritti di uno Stato membro, quando ha deciso di uscire dall’UE. Ma non va bene neppure per la Scozia la quale, per bocca dei suoi rappresentanti, ha richiesto di avere lo stesso trattamento dell’Ulster, nel caso in cui passasse questa richiesta al vaglio dell’UE. Questa marcia indietro dell’UE dimostra ancora una volta la sua debolezza politica ma la partita è ancora aperta, anche se resta molto difficile prevedere gli sviluppi anche della situazione politica internazionale che potrebbero influire sia sulla tenuta del governo inglese sia sull’esito della trattativa instaurata dalla G.B. e dall’UE. Certo è che, stranamente, anche nella Gran Bretagna non pochi sono quei politici che assisterebbero volentieri ad una rinuncia alla Brexit, tenuto conto che questa decisione ha creato solo nuove difficoltà economiche e politiche per il paese. Ipotesi che potrebbe anche essere possibile sotto il profilo politico istituzionale anche se temiamo che non ci sia più tempo per questa ipotesi.

Dicembre 2017

Avv. E. Oropallo

BREXIT. Tante promesse ma poche certezze

 

 

 

 

 

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