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AVVOCATO STABILITO

AVVOCATO STABILITO ed ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE

 1) PROVA ATTITUDINALE

Due recenti pronunzie della Suprema Corte si sono occupate di alcuni aspetti dell’attività in Italia di chi abbia conseguito all’estero il titolo di avvocato. Una prima e più importante è quella resa dalla Suprema Corte a SS.UU. (sent. n. 5073/16 depositata il 15.3) la quale ha chiarito che l’avvocato stabilito che abbia acquisito la qualifica professionale in altro Stato membro dell’UE, può ottenere la dispensa della prova attitudinale di cui all’art. 8, d. lgs n. 115/1992 qualora abbia esercitato in Italia, in modo effettivo e regolare, la professione con il titolo professionale di origine, per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale nell’albo degli avvocati. In effetti, la Corte ha riconosciuto che chi abbia esercitato in Italia col titolo di abogado, ad es. se proveniente dalla Spagna, per almeno tre anni, può richiedere il passaggio dell’iscrizione all’Albo ordinario, senza dover sostenere la prova attitudinale prevista dall’art. 82 d.lgs. n. 96/2001. Diversamente, se l’avvocato stabilito ha esercitato in Italia utilizzando impropriamente il titolo di avvocato, ebbene non potrà ottenere la dispensa. Ancora, aggiunge la Corte, che “per esercizio effettivo e regolare della professione s’intende l’esercizio reale dell’attività professionale senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana”, aggiungendo che“l’esercizio della professione di avvocato senza aver conseguito in Italia la relativa abilitazione ovvero l’iscrizione mediante dispensa ai sensi art. 12 cit. integra la condotta materiale del reato, previsto dall’art. 348, di abusivo esercizio della professione, precisando, però, che se la condotta illecita sia stata svolta in buona fede, sotto l’aspetto della eventuale responsabilità penale, la mancanza del dolo esclude il reato”. Sentenza ineccepibile sotto il profilo giuridico, tenuto conto della normativa vigente ma ci si consenta di ricordare che spesso, come è stato denunciato tante volte da diverse organizzazioni sindacali – ultima in linea di tempo l’ANAO – l’esame di Stato in Italia è diventato un vero e proprio terno al lotto per cui non avviene sempre che a superarlo siano i colleghi meglio preparati. Giustificata dunque la scelta di tentare la strada per ottenere lo status di “avvocato stabilito”, anche per chi per lunghi anni ha esercitato in Italia sia pure iscritto nella sezione di avvocato praticante. Credo che siano maturi i tempi per modificare l’esame di Stato, che preveda innanzitutto che la selezione avvenga già nell’ambito universitario, in modo da migliorare la professionalità e la preparazione dei candidati, senza imporre un rituale che alla fine si è dimostrato inidoneo a selezionare effettivamente i più meritevoli.

Fonte: Diritto & Giustizia del 16.3.2016

 2) REQUISITO della CONDOTTA SPECCHIATISSIMA e ILLIBATA

Ancora la Suprema Corte – a SS.UU. Civili – con sentenza n. 4252/16 depositata il 4.3.2016 ha stabilito che l’iscrizione nella sezione speciale dell’Albo degli Avvocati stabiliti, ai sensi art. 3 – 2° c. della direttiva n. 98/5/CE e dell’art. 6 – 2° c. d. lgs. n. 96/01 è subordinata alla sola condizione della documentazione che attesti l’avvenuta iscrizione presso la corrispondente Autorità di altro Stato membro. Nel caso in esame, il Consiglio dell’Ordine aveva rifiutato l’iscrizione all’albo speciale degli avvocati stabiliti di un professionista “abogado” per aver riportato condanna per reati di falsità materiale e contraffazione di pubblici sigilli. Posizione condivisa dal CNF ma la Corte ha stabilito che gli unici obblighi dell’avvocato stabilito sono quelli di essere residente in Italia e di eleggere domicilio presso un collega iscritto presso la sezione ordinaria. Solo quando, trascorsi tre anni, l’avvocato stabilito richieda l’iscrizione presso la sezione ordinaria dell’Albo, il CdO potrà valutare il possesso o meno dei requisiti da parte del candidato, così come previsto per chiunque richieda l’iscrizione all’Albo ordinario, senza distinzione tra il cittadino italiano che risieda in Italia e il cittadino di altro Stato membro che abbia acquisito il titolo all’estero. E questo anche quando la richiesta venga fatta da cittadino italiano che abbia acquistato il titolo in altro Stato dell’UE. Ovviamente, il CdO, in questo ultimo caso, potrà valutare se si tratta di ipotesi di abuso del diritto, ostativo all’iscrizione. Ipotesi che, a nostro avviso, non sussiste perché – come si è espressa anche la Corte di Giustizia – non può essere negato al cittadino italiano in questo caso lo stesso trattamento che viene riservato al cittadino di un altro Stato membro che richieda di essere iscritto in Italia nell’Albo ordinario, dopo i tre anni di esercizio in Italia. Comunque, per il CNL il problema resta ancora aperto.

Fonte: Diritto & Giustizia 7.3.2016

(Commento a cura avv. Eugenio Oropallo)

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