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Relazione in materia di Antidiscriminazione – Meeting Soave 08.11.2008

Attualità del tema

L’argomento è di forte attualità anche se a dire il vero la disciplina, sia nazionale che europea, ha già qualche anno. E’ indubbio, però, che alcune decisioni recentemente assunte in Italia (il riferimento va innanzitutto a livello nazionale alla proposta di prevedere la raccolta delle impronte digitali dei rom mentre a livello locale si sono state alcune delibere (vedi in particolare quelle del Comune di Verona in materia di accesso alle case popolari, al problema del velo islamico, ……) hanno assunto gli onori della cronaca ed hanno suscitato non poche perplessità. Quadro normativo di riferimento

Preliminarmente va definito il quadro normativo.
L’attenzione in particolare va appuntata sul T.U. in materia di immigrazione il D. Lgs 25.07.1998 n. 286 ed in particolare gli artt. 43 ( nozione discriminazione ) e 44 ( azioni civili ).
Vanno poi considerate con particolare attenzione le direttive europee adottate nel periodo 2000- 20006 nonché la normativa nazionale di attuazione.
D. Lgs n. 286/98 – Testo unico immigrazione
Prima dell’attuazione delle direttive del 2000 il fenomeno della discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi era disciplinato dal T.U. sull’immigrazione n. 286/1998.
La disciplina è di particolare importanza ed interesse e pone al giurista problemi di tipo sostanziale e processuale. Sotto il primo profilo si tratta di individuare cosa debba intendersi per atto di discriminazione razziale ( art. 43 ) mentre sotto il secondo profilo si tratta di stabilire che tipo di tutela il soggetto leso da simili atti possa invocare ( art. 44 ).
Il problema della individuazione dei comportamenti e/o atti di discriminazione

razziale

Quanto al primo aspetto del problema il legislatore sembra individuare due tipi di discriminazione razziale: una discriminazione che potremmo definire tipica ( 43, 2 comma ) che si ha quando si è in presenza di un atto e/o comportamento che la stessa legge configura come tale ed una discriminazione che potremmo definire atipica ( 43, 1 comma ) che si ha con riguardo ad ogni comportamento che direttamente o indirettamente comporti una distinzione, esclusione, restrizione, o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e che abbia lo scopo di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, di diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e di ogni altro settore della vita pubblica.

Mentre le ipotesi di discriminazione tipica comprendono gli atti espressamente indicati come tali dal legislatore con il comma secondo dell’art. 43 del TU, le ipotesi di discriminazione atipica fanno riferimento all’espressione generale utilizzata dal primo comma dell’art. 43 del TU.
I primi, pertanto, sono già individuati dal legislatore, i secondi vanno individuati dall’interprete. Atti non riconducibili nella nozione di discriminazione di cui art. 43

A fronte di comportamenti che direttamente o indirettamente creano distinzioni, esclusioni, …. vi sono comportamenti che non hanno alcuna rilevanza giuridica. Così un soggetto potrebbe ritenere di non salutare gente di colore, di socializzare o meno con un certo gruppo di persone, di dare o non dare il saluto,…..Difficilmente si potrà sostenere che tali comportamenti possono concretizzarsi in atteggiamenti discriminatori, giuridicamente rilevanti. Non sono sanzionabili tutti i comportamenti astrattamente discriminatori ma solo quelli che abbiano la capacità di compromettere i diritti umani e le libertà fondamentali ( art. 43 ). In definitiva le fattispecie previste nell’art. 43 hanno ad oggetto solo atti o comportamenti giuridicamente rilevanti, poiché i fatti irrilevanti non possono che rientrare nell’ambito del diritto di libertà della persona e posso essere riprovevoli sotto il profilo sociale-morale ma difficilmente giuridicamente illeciti, e quindi, discriminatori per gli effetti di cui agli art. 43 e 44 TU.

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Le ipotesi di cui al 2 comma art. 43 ( c.d. ipotesi tipiche)

Le ipotesi di cui al secondo comma sono tutte riferite a comportamenti comunque già illeciti. Esaminiamole singolarmente.
a) pubblico ufficiale…. compia od ometta atti …..Anche se non vi sono motivi razziali il pubblico ufficiale che rifiuti un atto del suo ufficio commette un atto illecito ( penale ). Si tratta allora in questo caso di atti di per sé illeciti o contrari all’ordinamento anche a prescindere dalla norma del TU.

b) chiunque imponga condizioni più svantaggiose….o rifiuti beni o servizi offerti al pubblico….Vi è anche in questo caso un illecito a prescindere dai connotati razziali. L’offerta al pubblico è regolata dall’art. 1336 c.c. e si perfeziona sulla base della sola accettazione. Il rifiuto dell’offerta accettata è sempre atto illecito.

c) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose…..L’illegittimità della condotta viene individuata dallo stesso tenore letterale della norma.

  1. d)  chiunque impedisca l’esercizio di attività economica legittimamente intrapresa…..Anche qui l’iniziativa economica privata è libera ai sensi dell’art. 41 Costituzione. Impedire l’esercizio di una attività economica lecita costituisce sempre atto illecito a prescindere dalla motivazione razziale.
  2. e)  Datore di lavoro…. che compie comportamenti che producono effetti pregiudizievoli….L’illegittimità dell’atto è già determinato dal richiamo allo statuto dei lavoratori nonché alla legge 108/90 ( ?? ).

La natura discriminatoria di tali condotte fa scattare la tutela di cui all’art. 44 TU.

Le residuali ipotesi di discriminazione razziale (c.d. ipotesi atipiche – art. 43, 1 comma).
L’analisi delle fattispecie discriminatorie previste nel secondo comma dell’art. 43 porta ad affermare la centralità delle fattispecie considerate già illecite in base ad altre fonti. Queste fattispecie, però, non esauriscono le possibili condotte discriminatorie perché esiste un settore di comportamenti razziali ( quelli dell’ipotesi sub. c sopra citata ) che hanno per oggetto scelte di libertà dei privati non considerate illeciti. Per queste si rende necessario individuare quella sintesi libertà/divieto sopra menzionata.

Ora in via generale credo si debba affermare che la regolare generale è quella dettata dal primo comma dell’art. 43 …è discriminazione ogni comportamento…..salvo però alcune eccezioni. Tali eccezioni debbono riguardare:
1. i contratti c.d. intuitu personae. Così è sempre libera la scelta della persona con cui contrarre il matrimonio.

2. negozi aventi spirito di liberalità ( donazioni, testamenti, …) tali negozio debbono essere sempre liberi in quanto si basano su valutazioni del tutto personali.
3. comportamenti meramente passivi od omissivi se il corrispondente comportamento attivo non è previsto dalla legge come obbligatorio ( se è obbligatorio è un illecito se non è obbligatorio non può però essere atto discriminatorio ). Qui vi potrebbe rientrare il diritto a non negoziare ovvero del diritto a scegliersi la persona con cui negoziare.

Escluse queste eccezioni resta la regola generale del primo comma.

La direttiva CEE n. 43/00 e il d. lgs. 215/03

La direttiva sopra citata trova fondamento nel Trattato di Amsterdam ed in particolare nell’art. 13 ove si afferma che “l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ….. principi comuni agli Stati membri”. Traendo ispirazione da tali criteri l’Unione ha voluto estendere il principio di non discriminazione ad altri ambiti, oltre a quelli della nazionalità e della parità di retribuzione tra uomini e donne.

Per attuare tali finalità le direttive, in particolare quella n. 43/00, prevedono l’istituzione di appositi organismi con finalità specifica di promuovere la parità di trattamento……..
La direttiva mira ad attuare il principio di parità di trattamento combattendo le discriminazioni fondate sulla razza e sulle origini etniche.

La nozione di discriminazione è piuttosto ampia e comprende:

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discriminazione diretta che si ha quando un persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe stata trattata un’altra in situazione analoga ( at. 2 lett. a ) e ciò per motivi razziali e/o di origine etnica nella dir. 43 e per motivi di religione, convinzioni personali, handicap, età, tendenze sessuali, nella dir. 73. ( es. assegnazione di incarichi in base al colore della pelle, …) discriminazione indiretta che si ha quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone ( art. 2 lett. b ) ( esempio un’impresa vieta l’uso di copricapi, discriminando le donne mussulmane ovvero porre il requisito dell’altezza in caso di assunzione )

le molestie Sono considerate discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.
C’è da aggiungere però che in forza della successiva modifica nell’art. 5 operata dal D. L. n. 59/08 è stata eliminata tale discriminazione riconoscendosi la legittimità alle organizzazioni sindacali, senza altra specificazione.

Qualche seppur breve considerazione merita poi il problema della tutela accordata dalla direttiva all’handicap. Qui sarebbe interessante affrontare la portata della nozione – vedi C.G. 13/06 ( disabilità, handicap, invalidità inabilità…..) Alla luce della giurisprudenza sembra si debba fa riferimento a limitazioni gravi, funzionali, di lunga durata oppure permanenti ( vedi sentenza Mangold ma anche Pfeiffr ).

Certo è una novità l’aver ricompreso nella nozione di discriminazione anche la disabilità.
Sul punto si osserva come nella coscienza collettiva sia comunemente accettata l’idea che i disabili godano in modo parziale dei diritti e delle libertà riconosciute a tutti i cittadini ed usufruiscano in modo largamente inferiore dei beni primari quali lavoro, istruzione, ….. e ciò in quanto – in una società basata sul mutuo vantaggio – essi ricevono, comunque, più di quanto danno. Così i disabili possono essere oggetto di interventi assistenziali o caritatevoli, ma non sono ritenuti in grado di contribuire da eguali alla cittadinanza attiva.
Questa idea di fondo sembra essere abbandonata dalla direttiva 73 che da un lato contrasta gli atti discriminatori fondati sull’handicap e dall’altro introduce l’obbligo di adottare soluzioni ragionevoli (art. 5) che adattino l’ambiente e le condizioni di lavoro alle persone disabili, consentendo loro di accedere ad un lavoro di svolgerlo, avere una promozione, ricevere una formazione. Si tratta di un obbligo negativo cui è collegato un obbligo positivo.( Sulla disabilità si veda anche Convenzione ONU 13.12.06 sui diritti dei disabili – L. 12.03.1999 norme per il diritto al lavoro dei disabili). La vera novità consiste nel guardare alla questione della disabilità non in termini assistenziali ma come una questione di diritti umani e di partecipazione alla vita della comunità.

Leggi l’articolo completo: Disciplina comunitaria e disciplina nazionale in materia di antidiscriminazione

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