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PER CHI SUONA LA CAMPANA

Nell’ultimo scorcio di quest’anno abbiamo assistito ad una nuova fioritura di “nazionalismi” dalla Germania alla Spagna, dalla Gran Bretagna all’Ungheria che, invece di unire, spargono il veleno di nuove frontiere e di nuove divisioni all’interno di questo continente. Si tratta di un fenomeno che va analizzato perché questi movimenti indipendentisti, rivendicando il diritto di costruire uno Stato indipendente, criticando il centralismo degli Stati nazionali, che si sono costruiti nel passato recente e meno recente del secolo scorso, finiscono per cadere nella trappola di un nazionalismo ancora più esasperato. Nel settembre 2014 la Scozia promuoveva un referendum per l’indipendenza dal Regno Unito – conclusosi con una vittoria del NO solo dopo la promessa di Cameron – allora Primo Ministro inglese – che aveva assicurato agli scozzesi una autonomia ancora più larga. Dopo il referendum consultivo svoltosi in Gran Bretagna l’anno scorso che ha deciso per l’uscita dall’UE – la Scozia, per restare nell’UE, ha portato avanti la battaglia dell’indipendenza che, per il momento è stata sospesa, solo considerando che il processo della Brexit è stato appena affrontato e che non è affatto certo che sia portato a termine. Quest’anno è stata la volta della Catalogna che, dopo un lungo braccio di ferro al governo centrale, avvalendosi dell’esito di un referendum ritenuto illegittimo dal governo centrale, il 27 ottobre scorso, ha votato per l’indipendenza e proclamato la Repubblica. Il governo centrale, dopo il voto favorevole del Senato, ha assunto il controllo diretto del Parlamento catalano così come previsto dall’art. 155 della Costituzione, sospendendo tute le prerogative di autogoverno ed indicendo nuove elezioni, che si terranno domani 21 c.m. La presa di posizione del Parlamento locale, oltre ad avere conseguenze sul piano istituzionale, ha messo in moto la macchina della giustizia che è intervenuta con mano pesante nei confronti di tutta la dirigenza locale accusata di aver violato la Costituzione per cui alcuni membri del Governo locale sono stati arrestati mentre il deposto Presidente Puigdemont – insieme ad altri membri della Generalitat (il Parlamento catalano) – si è recato a Bruxelles sperando di trovare la solidarietà delle istituzioni europee che hanno invece riconfermato il loro appoggio al governo centrale spagnolo. E non poteva essere diversamente in quanto il problema, a detta dell’UE e in base allo Statuto, è un problema politico interno di uno Stato membro. Vero è, dietro le quinte, l’UE, si è spesa per una soluzione pacifica del conflitto politico ma senza successo in quanto già era troppo avanzato il processo di separazione. C’è da aggiungere, come abbiamo già fatto, che se il problema è “interno” allo Stato spagnolo, non è che esso non preoccupi l’UE, in quanto il fenomeno è diffuso a livello europeo ed esso può bloccare qualsiasi progetto di rafforzamento dell’UE.Non ci possiamo considerare indifferenti a quanto sta accadendo oggi in Catalogna. Certo non parteggiamo né per lo Stato centrale ma neppure per gli indipendentisti cui l’Europa ha ricordato come il suo ruolo sia quello di sopprimere le linee di confine, non di crearne altre. Di sicuro l’esito delle elezioni di domani, chiunque ne risulti vincitore, potranno scaturire nuovi conflitti che possono mettere in discussione non solo la tenuta democratica dello Stato centrale ma creare anche problemi all’UE che oggi rappresenta l’unica diga contro la diffusione dei nazionalismi. Ma tale difesa sarà più efficace laddove l’UE sappia lavorare politicamente, in difesa del pluralismo e della legalità. Impresa difficile ma non impossibile.

Dicembre 2017

(Avv. E. Oropallo)

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