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IL REBUS CATALANO e il SILENZIO dell’UE

Come abbiamo già avuto modo di scrivere, l’esito delle elezioni in Catalogna ha confermato, anzi rafforzato, la posizione degli indipendentisti e ha penalizzato la posizione del partito di Rajoy che è il fanalino di coda riuscendo a raccogliere appena il 4% dei consensi. Uscita rafforzata la coalizione indipendentista, il 17 gennaio, quando si è riunito il Parlamento catalano, il neo-eletto presidente dell’Assemblea, Roger Torrent, indicava come l’unico candidato designato per la presidenza proprio il deposto Presidente Puigdemont che proprio in quei giorni lasciava il Belgio arrivando in Danimarca per una serie di incontri, approfittando anche della decisione della Corte Suprema Spagnola che aveva respinto la richiesta di arresto dell’ex presidente della Generalitat. A questo punto, in attesa che scada il termine per la designazione del Presidente – previsto per la fine del mese- sembra che nella coalizione indipendentista si stia facendo sempre più insistentemente il nome della neo-deputata Elsa Artadi che viene considerata il braccio destro di Puigdemont, fedelissima dell’ex Presidente in esilio, sempre che si riesca a trovare un ruolo non istituzionale per Puigdemont. Certo, la soluzione non è semplice anche perché, all’interno della coalizione, ed in particolare nel partito stesso dell’ex presidente, non sono pochi quelli che non vedono di buon occhio la candidatura della Artadi che appartiene a una ricca famiglia borghese, ha un brillante passato di docente alla Bocconi di Milano e un buon rapporto con l’amministrazione USA per cui non sono pochi quelli che si stupiscono del contrasto tra la sua brillante carriera istituzionale ed il suo appassionato nazionalismo.
Certamente, si tratta di una soluzione avanzata proprio per evitare un ulteriore scontro con il governo centrale spagnolo guidato da Mariano Rajoy. D’altra parte, è del tutto irreale che Puigdemont possa dall’estero svolgere il suo ruolo di Presidente della Generalitat. Questo rebus è purtroppo determinato da una parte dalla estrema debolezza manifestata – prima degli avvenimenti di ottobre scorso – dalla coalizione indipendentista che pensava di ottenere pacificamente il distacco dalla Spagna – una ipotesi davvero priva di ogni sostegno giuridico – e del ricorso alla forza del governo centrale.
Come lucidamente ha rilevato più di un osservatore politico, Puigdemont ha creduto di poter vincere una battaglia politica senza avere la stoffa del “rivoluzionario”. D’altra parte, nella trattativa che è andata avanti fino alla dichiarazione di indipendenza, il ben più sperimentato Rajoy ha saputo equivocamente giocare le sue carte solo per spingere il governo catalano ad assumere una decisione non solo osteggiata in parte dallo stesso schieramento di maggioranza nel Parlamento catalano ma isolata anche a livello internazionale, avendo Rajoy fatto terra bruciata attorno a Puigdemont e agli altri capi indipendentisti. L’UE, attraverso le sue istituzioni, ha dichiarato fin dalle prime ravvisaglie della crisi, di non poter intervenire, trattandosi di un problema interno alla Spagna anche per non riaccendere i focolai indipendentisti all’interno dell’UE.
Scelta ancora una volta condizionata dal sovranismo degli Stati membri, a partire dalla Germania che deve controllare le tendenze separatiste della Baviera per non parlare dell’Italia che si è schierata apertamente con il governo spagnolo. Davvero strano però che l’UE non tenga conto che i diritti dei cittadini catalani vanno difesi anche perché si tratta pur sempre di cittadini europei cui non si può impedire di scegliere pacificamente una soluzione politica che sia contraria al potere centrale spagnolo, in nome della democrazia e delle aspirazioni federaliste dell’UE. Siamo, senza dubbio, difronte ad un bivio non solo in Spagna ma anche in Europa. Insomma, dovremmo chiederci noi cittadini europei se possiamo aspirare ad avere un’Europa dei popoli o dovremmo ancora una volta accontentarci di avere un’Europa delle Nazioni. Oggi sono gli Stati membri dell’UE, nessuno escluso, a continuare a percorrere le strade dei rapporti bilaterali o plurilaterali, dimenticando l’obiettivo finale della costruzione di un’Europa Federale. E così Francia, Germania, Italia cercano le “convergenze parallele”, prediligono una crescita differenziata all’interno dell’Unione mentre altri paesi, e mi riferisco soprattutto ai paesi che hanno aderito al patto di Visegrad, che rivendicano la bontà delle proprie scelte nazionali contro le decisioni dell’UE cui non riconoscono alcun potere di decidere per loro: recentemente, tanto per fare un esempio, il premier ungherese Viktor Urban si è incontrato a Vienna con il nuovo premier austriaco Kurz per ribadire la loro totale identità di vedute sulle misure da adottare contro l’immigrazione illegale, in particolare dichiarando la loro contrarietà al sistema di ricollocamento voluto dall’UE.
Non possiamo nasconderci di essere difronte a cambiamenti epocali; tutto ciò che in passato era stato considerato come un dato storicamente acquisito oggi è messo in discussione da una politica dissennata e senza controlli della nuova amministrazione USA che sta mettendo in discussione la validità dei trattati internazionali, a partire da quello istitutivo dell’ONU, lavorando contemporaneamente su diversi scacchieri mondiali, proprio per rivendicare il suo ruolo imperiale nei confronti del resto del mondo.
Certo, resta sempre una possibilità di mediare ma questo è possibile solo se l’Europa sappia parlare con una sola voce rivendicando il suo contributo prezioso per una politica di pace e di solidarietà internazionale.
L’UE, malgrado i successi raggiunti in campo economico e sociale, purtroppo mostra ancora una volta di non avere una politica unitaria. E’ questo il nodo che in Europa dovremo sciogliere per dare forza all’idea federalista che esige certo anche la lotta contro le tendenze indipendentiste ma bisogna anche lottare contro il sovranismo degli Stati membri che non possono più sostituirsi all’Europa. C’è bisogno di forti riforme per dare all’UE quei poteri che possono mettere la parola fine all’Europa delle nazioni per costruire l’Europa dei popoli come era nelle prospettive dei padri fondatori del federalismo europeo.
12 febbraio 2018. Eugenio Oropallo

IL REBUS CATALANO e il SILENZIO dell’UE

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