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IL DELITTO REGENI: UN CRIMINE DI STATO

Su “Affari Internazionali” dell’11 giugno scriveva Michele Nones –  “la rafforzata collaborazione italo-egiziana potrà favorire i nostri tentativi di contribuire a stabilizzare il fronte Sud del Mediterraneo e, in particolare, il ginepraio libico”. “L’unica soluzione possibile – aggiunge l’autore – è di tenere separati i due piani, quello del giudizio morale e anche politico e quello dei rapporti tra i paesi” per non restare isolati “in un mondo territorialmente interconnesso ed integrato”.  Ma la ferma posizione assunta dalla famiglia Regeni, alla quale dobbiamo riconoscere una forza d’animo fuori dal comune, sta rivelandosi più forte della ipocrisia del regime. “L’ Egitto deve farci processare chi ha ucciso Regeni” dichiara Marco Minniti in una intervista rilasciata a Carlo Bonini sulla pagine di “La Repubblica” del 15.6 u.s.. “Intorno al sequestro e all’omicidio di Giulio Regeni – dichiara Minniti – al dolore composto e combattivo della sua famiglia si è coagulato quello che io chiamo lo spirito pubblico del nostro paese”. Se si ferma lo Stato per ragioni politiche, è la coscienza sociale che si ribella a questa ulteriore offesa portata a Regeni e alla sua famiglia: ormai non può il governo italiano far finta di mantenere la rotta dettata dalla ragione di Stato. Questo spirito pubblico “ha impostato una rotta non negoziabile – aggiunge Minniti –: subordinare ogni nostro passo politico-diplomatico a un passo del Cairo nella direzione della cooperazione giudiziaria”. Insomma, ammettere che, pur restando in patria, gli assassini possono essere processati da un tribunale italiano. “C’è un altro passo però da compiere – scrive Benini ancora sulle pagine del quotidiano La Repubblica del 16 u.s. – e c’è una data finale per compiere questo passo: si tratta di un passaggio “tecnico”” ma legato alla scelta politica del governo egiziano: dare ai giudici italiani gli indirizzi degli ufficiali indagati di omicidio che solo così potranno essere processati da un giudice italiano; anche se restano contumaci, essi potranno essere condannati ma non sarà possibile mettere in esecuzione la sentenza di condanna. E non è rimasto molto tempo perché il 5 febbraio prossimo scadrà l’ultima proroga delle indagini della Procura di Roma – avverte Bonini – che  dovrà chiudere il procedimento, se non ci sarà alcuna comunicazione da parte del governo egiziano. In questo caso, resta comunque uno strappo difficile da ricucire nei rapporti italo-egiziani. Lo stesso Zingaretti ha riaperto il caso anche se questo rischia di mettere in crisi il governo. Luigi Di Maio si è rimesso alla decisione di Conte ed anche il PD si è spaccato tra chi, come il ministro della difesa Lorenzo Guerini, dà per chiusa la partita e chi ritiene come dimostra l’intervista all’ex ministro degli Interni Minniti che il “costo politico” di un’operazione del genere sia troppo alto. Anche se l’organismo – che si occupa di autorizzare l’esportazione di materiale di armamenti – che fa capo al ministro degli Esteri ha autorizzato la chiusura del contratto, la politica potrebbe far sentire ancora la sua voce. C’è il rischio che non vi sarà alcun ripensamento anche se questo peserà sulla compattezza di questo governo. Ci potrebbe essere una terza via? E’ difficile crederlo ma, anche se non sarà possibile aprire il giudizio a carico di chi si è macchiato di questa efferata esecuzione, pensiamo che si possa pensare ad un’iniziativa corale che valga a far sentire il calore e la solidarietà di tutta la comunità nazionale ai genitori di Giulio Regeni.

18/06/2020

Il delitto Regeni. un crimine di Stato

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