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I DOLORI DELLA BREXIT

Il governo inglese sta preparando i festeggiamenti per il 31 gennaio quando la Gran Bretagna ufficialmente uscirà dall’UE. Ma non sarà una uscita vera e propria perché è dal 31 gennaio comincerà a decorrere un periodo di un anno nel corso del quale le parti devono trovare, di comune accordo, le condizioni del divorzio. Siamo ancora, dunque, lontani da un definitivo distacco anche se Johnson sta tentando, con il suo faccione rubicondo, di rassicurare i suoi concittadini che l’Inghilterra sta avviandosi sulla strada della riconquista del suo potere promettendo per i prossimi anni una nuova era di pace e di prosperità per tutto il popolo inglese. Ma siamo proprio certi che sarà così? Innanzitutto, tra i primi atti il governo inglese prevede di interrompere la collaborazione sul piano culturale ed universitario con i paesi dell’UE (progetto Erasmus). Decisione davvero incredibile! Crede forse che il ritorno ad una cultura nazional-popolare possa portare ad un miglioramento del livello culturale degli studenti inglesi? Ma è sul piano politico istituzionale che i problemi potrebbero portare alla scomparsa della UK come l’abbiamo conosciuta negli ultimi secoli. In particolare, c’è il rischio che la Scozia vada avanti sulla strada dell’indipendenza nazionale, visto che con la rottura con l’UE, anche la Scozia verrebbe a perdere quella ricchezza culturale ma anche economica di cui ha goduto in questi anni, grazie alla sua appartenenza all’UE. Come dichiara Ian Blackford, leader del partito nazionale scozzese (quello della prima ministra Sturgeon) in un’intervista rilasciata al giornale “La Repubblica” del 16 gennaio scorso “La Brexit ci renderà tutti più poveri, soprattutto la Scozia. Alcuni studi parlano di potenziali ottantamila posti di lavoro in meno da noi”, aggiungendo che, “noi crediamo che il futuro sia all’interno dell’UE, non fuori” criticando “la vergognosa arroganza del governo di Johnson verso i cittadini dell’UE”. In effetti, al referendum del 2016 la Scozia votò con uno schiacciante 62 per cento contro l’uscita dall’UE. E’ vero che già due anni prima “nella consultazione sulla indipendenza scozzese, il partito nazionalista usciva sconfitto ma allora il Regno Unito faceva ancora parte dell’UE mentre adesso – aggiunge Blackford – il contesto è radicalmente cambiato”. Serve un altro referendum, anche se il premier britannico Boris Johnson lo ha escluso di nuovo con durezza. Ma, forte del successo delle elezioni di dicembre (i nazionalisti scozzesi sono passati da 35 a 48 seggi) al Parlamento Westminster – aggiunge che “più Johnson proverà a bloccarci, più il popolo scozzese chiederà e alla fine imporrà a gran voce una seconda consultazione e spero l’addio a Londra”. Sotto il profilo istituzionale, non crediamo ci siano grossi problemi per la Scozia di uscire dalla UK: in realtà, gli accordi di secoli addietro che misero fine alla guerra tra scozzesi ed inglesi, non si possono ritenere eterni. Ma neppure si può pensare che la Gran Bretagna possa riportare indietro la storia, aprendo una stagione di conflitti sociali e istituzionali con la Scozia. Anzi, nel pieno della campagna per la Brexit, fu lo stesso Johnson a dire che sarebbe stato capace anche di rinunziare alla Scozia, pur di raggiungere il distacco dall’UE. La situazione non è facile perché anche l’Irlanda del Nord, che fa parte del Regno Unito, a seguito degli accordi presi con l’UE, anche dopo la Brexit, rimarrà agganciata alle norme dell’UE consentendo il libero accesso di persone e beni sul proprio territorio e questo anche a tener conto della Repubblica d’Irlanda che resta membro dell’UE. Anzi, nei giorni scorsi, e Johnson dovrebbe riflettere su questo fatto, dopo anni che non si riusciva a dare un governo all’Ulster, infine le due parti della popolazione – maggioritaria quella protestante e minoritaria quella cattolica – sono riuscite a formare un governo, sottraendosi alla tutela inglese. Nulla ci impedisce di pensare che nei prossimi anni possa maturare la decisione delle due parti di procedere alla riunione delle due parti oggi divise dell’Irlanda. E anche questo segnerebbe una nuova sconfitta per l’Inghilterra che già oggi è nell’orbita degli USA che hanno di fatto appoggiato l’uscita della GB dall’UE. Trump ha promesso a Johnson un accordo economico davvero vantaggioso ma potrà davvero questa ipotesi restare in piedi anche quando Trump cederà il posto ad un nuovo presidente? Presto o tardi, comunque, Trump non sarà più il presidente degli USA e allora cosa farà Johnson o un suo successore? Il 60% dell’interscambio commerciale oggi è con l’UE per cui, se esce dal mercato comune, anche le industrie inglesi e i prodotti inglesi non saranno più competitivi all’interno del mercato europeo. Molti intellettuali inglesi in questi anni hanno tentato di fermare questa catastrofe ma c’è da aggiungere che gli errori politici del Labour Party e la debolezza di una sinistra debole e divisa non è riuscita a fermare la frana laddove l’UE ha mostrato che le porte restavano aperte, bastava volerlo. Le prossime mosse di Johnson serviranno a chiarire se e come la GB intenda realizzare l’uscita. In effetti, ci può essere ancora il rischio di una “hard Brexit” che potrebbe far implodere tutto il sistema istituzionale della vecchia Inghilterra. Con buona pace della Regina che non potrà più trascorrere le vacanze estive nel castello di Balmoral che si trova in Scozia. Poor Queen!

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