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CRISI BOSNIA-ERZEGOVINA: ULTERIORE RISCHIO DI SECESSIONE

La Camera dei rappresentanti serba ha votato per ritirare la Repubblica Serba dalle tre principali istituzioni della Bosnia-Erzegovina: pace e stabilità regionale sempre più a rischio, mentre l’opposizione parla di venti di guerra.

La Bosnia-Erzegovina sembra sempre più vicina a una secessione, dopo il voto dei parlamentari serbi di venerdì 10 dicembre che hanno approvato una mozione sul ritiro della Repubblica Srpska (l’entità autonoma serba che compone la federazione) dalle forze armate, dal sistema giudiziario e da quello fiscale della Bosnia.

Questo è il momento della conquista della libertà per la Republika Srpska”, ha detto il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik al Parlamento.

Quella approvata nel Parlamento autonomo è una mozione che intende aprire la strada alla secessione dalla Bosnia, ma per ora si tratta di un atto non vincolante. Infatti, non porterà all’uscita immediata della componente serba dalle tre istituzioni che tengono insieme la Bosnia-Erzegovina, in quanto, per avallare tale scelta, servirebbe anche il sostegno della Dom naroda, l’Assemblea dei Popoli, che nel Parlamento nazionale funge da Camera Alta. Inoltre non tutto il blocco serbo è compatto: i gruppi di opposizione hanno criticato la mozione, definendola una prima prova della campagna elettorale per le elezioni politiche del prossimo anno, lasciando la sessione prima che il voto avesse luogo.

I leader dell’opposizione hanno poi sollevato l’allarme sulla situazione che si è andata a creare, sostenendo che essa potrebbero condurre la repubblica serba a una nuova guerra. Il partito Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (Snsd) di Dodik e i suoi alleati, che controllano il parlamento regionale composto da 83 seggi, hanno sostenuto il ritiro dalle istituzioni con 48 voti.

In ogni caso, si tratta di una forte affermazione di intenti da parte del leader Dodik che da tempo si lamenta delle istituzioni statali come magistratura e procuratori.

Certo, il leader serbo-bosniaco si sta attirando non pochi malumori, in particolare da parte del presidente della Serbia Vucic e della comunità internazionale che lavora per l’unità della Bosnia.

In una dichiarazione congiunta, le ambasciate di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia, insieme alla delegazione dell’Unione europea, hanno detto che la decisione del parlamento serbo-bosniaco “è un ulteriore passo verso l’escalation”.

Fatto è che – è meglio chiarirlo – che gli accordi di Dayton – non possono ritenersi eterni perché sottoscritti sotto la pressione politica e militare degli Usa e dei suoi alleati all’interno della Nato per trovare una soluzione che ponesse fine alla guerra. Una sorta di armistizio che però non è servito ad eliminare i contrasti etnici all’interno della Bosnia e niente hanno fatto in questi anni questi governi responsabili di questa nuova escalation.

Ma c’è dell’altro da aggiungere. Anche l’UE che pure in questi ulteriori tempi, a parole si dice disponibile per l’adesione di questi paesi all’UE, non ha in pratica indicato una data certa anche per l’opposizione di diversi Stati membri dell’UE ad aprire le porte ai paesi balcanici. Un grave errore politico perché il rallentamento di questo obiettivo favorisce e rafforza della Cina e della Turchia che stanno allargando la loro influenza nei paesi Balcani finanziando grossi piani di investimento rendendo in un certo senso dipendenti i paesi, in primo luogo la Serbia, da queste potenze che fanno di tutto per tenere divisi questi popoli e soprattutto veder fallire ogni loro prospettiva di adesione all’UE.

Dicembre 2021

Crisi Bosnia-Erzegovina Un ulteriore rischio di secessione

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