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IL CASO REGENI e la «RAGION di STATO »

La Repubblica del 15.8 “Un plico di documenti spediti alla vigilia di Ferragosto è servito a normalizzare, un anno e mezzo dopo, i rapporti tra Italia ed Egitto”. Documenti in arabo, peraltro neppure tradotti ed esaminati dall’autorità giudiziaria italiana, hanno convinto, poche ore dopo, il Ministro degli Interni Alfano a far rientrare l’ambasciatore italiano al Cairo. Con il beneplacito del Presidente del Consiglio Gentiloni che aggiunge “L’arrivo di Cantini – l’ambasciatore italiano al Cairo- aiuterà a scoprire la verità sugli autori dell’omicidio”. Non sono d’accordo con questa dichiarazione i genitori di Regeni – e noi con loro- i quali non nascondono la loro amarezza dichiarando che “la decisione di rimandare ora…l’ambasciatore in Egitto ha il sapore di una resa confezionata ad arte. La verità è ancora lontana”. Difficilmente, a nostro avviso, si arriverà a conoscerla visto il ruolo centrale che nella vicenda hanno avuto i servizi segreti egiziani. Non dimentichiamo che i governi di tutto il mondo sono sempre pronti a coprire con l’oblio e manovre dilatorie l’operato dei propri servizi segreti. E per questo non fa eccezione neppure il Governo italiano. Lo conferma la copertura che esso ebbe ad offrire ai servizi segreti italiani quando collaborarono con quelli americani nel rapimento di Abu Omar. La vicenda fu di dominio pubblico grazie all’intervento della Magistratura italiana che ancora conserva la sua autonomia dal potere politico anche se più di un governo si è speso opponendo il segreto di stato perché non si arrivasse a conoscere la verità. Per bloccare ogni richiesta giudiziaria, intervenne all’epoca anche il Presidente della Repubblica che concesse la grazia agli agenti americani, condannati dalla giustizia italiana. Se questo è il quadro, come condannare il Governo egiziano per i numerosi depistaggi finora posti in essere? E’ davvero ipocrita che oggi il Governo italiano tenti di giustificare, come ha fatto, il rientro dell’ambasciatore con la possibilità che la sua presenza al Cairo possa dare una svolta alle indagini. Il vero motivo del rientro è ben altro ed è lo stesso quotidiano a precisarlo. “Non è un caso – scrive sempre La Repubblica- che l’imput alla ripresa dei rapporti con l’Egitto arriva proprio dal Viminale e dalla necessità di aprire un canale fondamentale per contribuire alla stabilizzazione della Libia e al controllo dei flussi migratori”. Il Presidente dell’Egitto, infatti, ha ottimi rapporti non solo con Al Serraj a Tripoli, ma anche con il generale Haftar in Cirenaica. Il Governo italiano teme che, una volta controllata la rotta abituale degli scafisti in Libia nel territorio controllato da Tripoli, essa si possa spostare in Cirenaica. La posizione dell’Egitto è strategicamente importante perché controlla circa mille km. di frontiera con la Libia per cui il successo della manovra italiana prevede la piena collaborazione dell’Egitto. Nel luglio scorso, a tal fine, una delegazione parlamentare italiana si è recata in visita al Cairo assicurando al Capo di Governo la ripresa delle relazioni diplomatiche. La risposta di Al Sisi non si è fatta attendere lamentando che, mentre alla Turchia l’Europa ha dato sei miliardi di euro per fermare i migranti “da qui non arriva un migrante, senza avere per questo ricevuto un euro”. “Richiesta di un ruolo, aggiunge il quotidiano, che a questo punto il Governo sembra voler concedere”. Purtroppo, non ci facciamo illusioni, proprio per la posta in gioco, che possano essere individuati e puniti i veri responsabili di questo esecrabile crimine. Tuttavia la pressione dell’opinione pubblica e la solidarietà che è montata in questi anni attorno al caso, potrebbero essere la chiave di volta per ottenere quanto meno il riconoscimento da parte del governo egiziano di una corresponsabilità degli apparati statali di sicurezza.

Agosto 2017

(Avv. E. Oropallo)

IL CASO REGENI e la RAGION di STATO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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