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Ancora una volta la Legge Pinto sotto la lente della Cassazione

Ancora una volta la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi su un aspetto della legge Pinto nella sua nuova forma riveduta e corretta. Non sfugge, agli operatori del settore, come la Suprema Corte sia sollecitata da numerosi ricorsi per avere una interpretazione corretta della norma nell’applicazione che ne fa il giudice di merito. Ciò in considerazione dei numerosi interventi legislativi che vanno intesi solo nell’ottica di rendere più difficile e articolata la via del ristoro nei confronti dello Stato per l’ingiusta durata del processo. Valga la pena ricordare la l. 134/2012 (art. 35) che da una parte ha reso più tortuoso il percorso giudiziario per chi resta vittima della lentezza della giustizia e dall’altro ridotti anche gli importi liquidati portandoli sotto il livello di quelli applicati dalla Corte EDU mentre il giudice nazionale dovrebbe adeguarsi ai parametri europei. Tutto questo non fa che abbassare sempre di più l’asticella della legalità di questo paese alle prese con una crisi cronica del settore giustizia sul quale il legislatore interviene sistematicamente per riformare quanto già riformato. Si può dire che i Governi passano ma i problemi restano a conferma di un sistema perennemente in crisi per efficienza e credibilità. Inoltre, sembra proprio che questo sistema adottato dal legislatore sta ottenendo un risultato opposto a quello sperato. La Corte Suprema recentemente ha chiarito (sent. n. 26627/16 del 21.12. 2016) che in tema di equa riparazione per la irragionevole durata di un processo penale, la disposizione di cui all’art. 2 c. 2 quinquies, lett. e) l. 89/2001- a tenore della quale non è riconosciuto alcun indennizzo “quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini di cui all’art. 2-bis”, non è applicabile alle domande relative a procedimenti penali che alla data dell’entrata in vigore della stessa, avessero superato la durata ragionevole di cui all’art. 2 bis della medesima legge. In effetti, la Corte preliminarmente ricorda che l’attuale disciplina – introdotta con la l. 208/2015 – ha abrogato il citato art. 2 quinquies prevedendo in tema di “rimedi preventivi” che l’istanza di accelerazione deve essere presentata almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’art. 2, comma 2 bis. Tanto premesso, ritiene che questa norma non possa essere applicata retroattivamente nel caso di procedimenti che alla data di conversione della l. n. 134/2012 fossero già caratterizzati da un’eccessiva durata. Non a caso, come accennato, questi interventi che finiscono per limitare l’accesso del cittadino alla giustizia, paradossalmente portano ad una moltiplicazione dei processi, ad un allungamento degli stessi, dilatando anche i costi della giustizia. Considerando l’ulteriore giro di vite della l. 208/2015, non è difficile prevedere un ulteriore peggioramento della situazione, tenendo conto che cresce l’attesa anche per ottenere l’effettivo ristoro, anche a causa delle limitate disponibilità dei fondi disposti dalla legge.

Gennaio 2017

Fonte Diritto & Giustizia

Nota a cura avv. E. Oropallo

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