Ma il sistema euro è davvero irreversibile?
Qui Finanza del 24 gennaio ha riportato sul proprio sito web (http://quifinanza.it/), una dichiarazione di Draghi, Presidente della BCE il quale, pur sostenendo che l’euro non è irreversibile, mette in guardia sul prezzo da pagare per un ritorno alla vecchia moneta: pagamento di tutti i debiti con la stessa BCE. Un’inversione di rotta, secondo il sito, rispetto alla dichiarazione del luglio 2012 quando Draghi aveva sottolineato come la moneta unica fosse “un processo irreversibile”. Rispondendo ad un’interrogazione del gruppo 5 Stelle del Parlamento europeo, Draghi ha spiegato che, nel caso in cui un paese decida di lasciare l’euro, la sua banca centrale deve prima pagare tutti di debiti con la stessa BCE che, nel caso dell’Italia, sono pari a 312 miliardi, circa il 20% del PIL. Indebitamento che dovrà essere estinto prima dell’uscita senza dimenticare che un terzo del debito pubblico italiano è posseduto da soggetti esteri per cui, anche in una trattativa “concordata” l’Italia sarebbe costretta ad accettare la non ridenominazione di questi titoli di debito. E sarebbe il disastro. Senza contare che, con la quasi certa svalutazione che subirebbe la nuova lira introdotta da Roma, il peso dei debiti italiani (in euro) diverrebbe insostenibile. Dire, dunque, che “l’euro è irreversibile” può essere tranquillamente inteso, sia in senso politico ma anche economico, che la soluzione di uscire dall’euro non è una soluzione, perché una volta avviato il sistema, in caso di crisi economica anche di un sol paese, come è avvenuto in Grecia, è interesse comune dei paesi aderenti all’euro di trovare le condizioni alternative che non peggiorino la situazione globale. In parole più semplici, è evidente che, aderendo all’euro, ogni Stato ha rinunciato ad una parte della propria “sovranità” per la creazione di un sistema monetario comune le cui regole non possono essere poste in discussione. Nel caso della Grexit, la BCE ha avuto un ruolo di primo piano nel coordinare gli sforzi dei paesi membri per salvare dal dissesto finanziario la Grecia. Anche oggi è aperta la trattativa con l’Italia che dovrebbe entro il 1° febbraio aggiustare i suoi conti. Correzione stimata in due decimi di punto di PIL pari a circa 3,2 miliardi di euro, in quanto lo sforamento dei parametri mette in crisi il programma pluriennale di riduzione del rapporto debito/PIL. Se da parte italiana non sarà presentata alcuna ipotesi di aggiustamento del deficit strutturale, è da prevedere che la Commissione avvii un procedimento di infrazione. Ipotesi davvero grave perché farebbe diminuire sui mercati internazionali la fiducia nell’Italia. Ragionevolmente l’Italia sarà costretta ad offrire delle garanzie più solide nell’interesse proprio del paese in quanto, un aumento del tasso di interesse – come finora è stato evitato – non farebbe che accrescere il debito dell’Italia nei confronti delle banche ma se la politica del governo continua a far crescere le spese per il funzionamento della macchina statale, non è improbabile che si vada al varo di un nuovo governo che sia in condizioni di assicurare più concrete garanzie di recupero. Senza, dunque, dimenticare, che fin da ora il governo italiano dia prova di voler realmente diminuire la spesa pubblica. Ma senza intaccare ancor di più la spesa medica o andando ad operare una nuova manovra sul lavoro subordinato e sulle pensioni. Ci sono altri settori nei quali il governo potrebbe intervenire: uno è sicuramente quello della spesa militare. Nulla ci impedisce di far rientrare tutte le missioni militari dall’estero i cui costi sono segretati e nulla impedisce al governo di intervenire sugli stipendi degli alti burocrati e dei magistrati o ridurre gli assegni per i membri delle Camere eliminando i privilegi di cui godono molte categorie. Non crediamo che questo governo in carica sia capace di farlo ma d’altra parte non si può andare a colpire i ceti medio-bassi che già hanno visto ridurre il proprio tenore di vita. Certo, ci sarebbe un altro sistema, come sta facendo Trump negli USA. Si potrebbe denunciare unilateralmente i trattati, non rispettare più il diritto internazionale e soprattutto tentare una manovra simile a quella che oggi sta tentando la Gran Bretagna: l’uscita addirittura dalla UE ma questa ipotesi può essere sostenuta solo dalle frange populiste che oggi fanno sentire la propria voce e in particolare ci si riferisce alla destra estrema dei difensori dell’italianità e da chi, pur senza saper proporre altro, spinge per una rottura con l’UE senza rendersi conto che questa manovra colpirebbe innanzitutto l’Italia aumentandone il tasso di povertà e determinandone l’isolamento economico e politico. Se questa è la soluzione politica che si volesse adottare, il rimedio sarebbe molto peggiore del male per cui bisogna guardarsi bene dal percorrere questa strada che porterebbe a conseguenze difficilmente prevedibili oggi.
Gennaio 2017
Avv. E. Oropallo