L’UNGHERIA FUORI DALL’U.E.
L’Ungheria è ancora nell’UE ma non è detto che vi resti dopo la sistematica violazione di numerose norme poste alla base dei trattati europei sottoscritti anche dal governo ungherese dal momento in cui ha deciso di aderire all’Unione. Difronte alla drammatica crisi migratoria che sta creando non pochi allarmi l’Ungheria – unilateralmente – per fermare l’arrivo di masse di disperati in fuga dalla guerra, dalla fame e dalle persecuzioni, non ha trovato di meglio che stendere un muro lungo il confine con la Serbia sottoponendo a controllo le frontiere, sospendendo così anche il Trattato di Schengen che stabilisce la libertà di movimento in tutta l’area europea e violando così anche le norme in materia di accoglienza degli immigrati come prevede il Trattato di Dublino. Un ritorno all’indietro che ha visto l’adesione di altri paesi come la Germania, pur distintasi in prima linea per favorire l’accoglienza degli immigrati, l’Austria e la Slovenia. Misure queste che certamente, come è avvenuto recentemente in Germania, non sono servite a fermare la minaccia di attentati terroristici. Queste misure non servono a fermare un flusso migratorio che non può essere considerato più come fenomeno emergenziale in quanto si tratta di una di quelle grandi migrazioni di massa, come è avvenuto anche nei secoli scorsi, che possono cambiare il corso della storia, non sempre in peggio, ma questo dipende anche dalla volontà politica dei governi dell’UE le cui decisioni molto spesso sono influenzate dagli equilibri elettorali più che dalle reali esigenze dell’Europa. Questi gruppi provenienti da altre culture, di lingua diversa, di religione diversa vanno integrati nel nostro tessuto anche per andare a riempire i vuoti creati da un basso tasso di natalità. L’incapacità di gestire questo fenomeno è solo sintomo di una ignoranza del problema e della paura di accettare il diverso spesso inteso come nemico. Problema che non si può risolvere chiudendo le frontiere e criminalizzando queste masse di persone spesso violentemente private del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta dell’ONU, dalla CEDU e più recentemente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Andando avanti sulla strada della repressione, in questi giorni, il Governo ungherese per bocca del Presidente Viktor Orbàn ha dichiarato di voler trattare gli immigrati che chiedono asilo alla stessa stregua degli immigrati clandestini, trasferendoli, in carcere, al loro arrivo sul suolo ungherese. Non dimentichiamo neppure che la posizione del governo ungherese è condivisa dagli altri paesi del gruppo cd. di Visegrad: Cechia, Repubblica Slovacca e Polonia che però fino ad ora si sono limitati al controllo delle frontiere. Se i governi di questi paesi hanno dimenticato che in un recente e meno recente passato, l’Europa ha aperto le frontiere per accogliere quanti si volevano sottrarre alle persecuzioni di cui erano vittime in patria, forse è il caso che l’UE, attraverso le proprie istituzioni, faccia in modo di ricordarlo in quanto, in caso di mancata applicazione delle norme europee, la Commissione o i governi degli Stati membri hanno un’altra arma da utilizzare che è quella di avviare una procedura di infrazione innanzi alla Corte di Giustizia per assicurare il rispetto del diritto UE. Questo nell’interesse non solo dei migranti che hanno diritto ad un’accoglienza che possa ridare speranza a milioni di persone, senza discriminare, come si è fatto, tra migranti politici e migranti economici. L’Europa ancora una volta si trova difronte a prove difficili di sopravvivenza ma la sua debolezza istituzionale non fa che aumentare il rischio di un’implosione del sistema se continua ancora a sottovalutare le ripetute violazione della legge europea. L’Ungheria di fatto è già fuori dall’UE, se continua a violare la normativa europea. Uscire dall’UE potrebbe sembrare facile ma l’esperienza della Brexit dimostra che non si possono rompere i legami di natura economica, politica, culturale e sociale che legano i paesi dell’UE. Potrebbe questa defezione trasformarsi in un’autentica catastrofe economica, soprattutto per paesi, come l’Ungheria, che, utilizzando i fondi di sviluppo europei, hanno cercato di dare impulso ad una crescita economica, rallentata oggi solo a causa della crisi mondiale. Non si può dire lo stesso per paesi come la Repubblica Ceca o la Polonia che hanno avviato un progressivo e rapido sviluppo del proprio sistema produttivo, che ha portato un maggiore benessere economico per questi paesi e un elevato tenore di vita, superiore anche a qualche paese occidentale. E’ dunque interesse anche di questi governi a restare nell’UE, accettandone, comunque, le leggi e applicandole sul proprio territorio senza mettere in discussione quello che oggi è l’obiettivo comune a tutti i paesi europei di procedere ad un vasto piano di ripartizione dei flussi migratori nel tessuto sociale ed economico dei singoli Stati membri.
Gennaio 2017
(Avv. Eugenio Oropallo)