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UE TRA CRISI ENERGETICA E INFLAZIONE

A differenza degli anni scorsi, complice la crisi delle forniture che hanno fatto salire al massimo i prezzi storici – scrive La Repubblica del 13.10 – non tutti i paesi membri sono riusciti a reintegrare le scorte”.  A lanciare l’allarme è stato il FMI che rivede al ribasso la crescita. Un allarme per nulla esagerato secondo il quale è previsto “un aumento dell’inflazione al 3,6% tenendo conto anche dei maggiori costi da sostenere per l’acquisto di gas e di altre fonti di energia”. In Italia i prezzi continuano a salire e il costo dell’elettricità sul mercato all’ingrosso si è impennato di un altro 12% rispetto ad una settimana fa e anche la benzina ha un prezzo di circa 1,7 euro al litro. E’ questo lo scenario in cui la Commissione avrebbe dovuto presentare le misure per fronteggiare la crisi ma tutto è slittato a dicembre. Un’altra impennata negli USA dei prezzi fa “risorgere lo spettro di un male antico – scrive La Repubblica del 14 u.s. – che segnò gli anni ’70”. Di qui il dilemma in cui si ritrova l’economia: “continuare le politiche economiche e monetarie molto espansive che hanno rilanciato la crescita o tirare i remi in barca per prevenire una spirale di rincari?” Ma crediamo che ci si trovi difronte ad un’ipotesi di stagflazione che si verifica quando un’economia ha l’inflazione alta, un tasso di crescita economica lento o stagnante e un relativo alto tasso di disoccupazione. Oggi la situazione è diversa perché è proprio la ripresa rapida dello sviluppo economico mondiale il primo fattore di aumento del costo dell’energia. Bloccare la crescita o comunque ritardarla certamente potrà calmare i prezzi dell’energia ma nello stesso tempo produrrà un aumento della disoccupazione che avrà riflessi anche nei consumi: continuare la politica espansionista invece ci farà incontrare inesorabilmente nel corso della ripresa con il fenomeno dell’inflazione. Ma questa è già una realtà negli USA. L’ultimo segnale di allarme è il dato sull’indice dei prezzi al consumo che a settembre ha registrato un aumento del 5,4% rispetto ad un anno prima. I rincari dei prodotti energetici cominciano a trasmettersi altrove: per esempio nella spesa previdenziale. In quanto ai salari le imprese per attrarre lavoratori devono adeguare le buste paga, che a settembre sono cresciute del 4,6% sempre meno dell’inflazione, mentre il costo della benzina ha segnato lo sfondamento del tetto degli 80 dollari al barile. Il bisogno di fonti energetiche sta, tra l’altro, portando a utilizzare fonti di energie fossili, proprio mentre l’obiettivo di molti governi è accelerare la transizione verso l’energia pulita. Di qui la scoperta da parte del FMI che ha dichiarato che “l’inflazione rischia di danneggiare la ripresa”. In altre parole, quando i nostri governi ci dicono che con la ripresa ci sarà una nuova fase di prosperità per il paese, ci raccontano balle perché sono ben consapevoli che, accelerando la produzione dei beni, ci saranno aumenti per i costi dell’energia, dei trasporti e quindi anche un aumento della disoccupazione che andrà a pagare gli aumenti dei costi dell’energia. Un quadro dunque che peggiorerà nei prossimi mesi che, anzi, l’aumento del PIL previsto dal governo italiano si rivelerà un autentico bluff. A chiarire meglio la vicenda interviene, sulle pagine de La Repubblica sempre del 14 u.s., il prof. Hamaui, professore di economia all’Università Cattolica di Milano, il quale ammette che l’aumento dei prezzi si trasferirà ai consumi e ai salari. La differenza con gli anni ’70 è che oggi “il mercato del lavoro è più flessibile e le banche centrali più indipendenti” ammettendo che “le previsioni di governi, FMI e altre istituzioni saranno riviste nel senso di meno crescita e più inflazione” precisando che “la crescita dei prezzi può far piacere per abbassare il debito reale ma certo non va bene per l’occupazione”. Quanto alla ricetta per mantenere alta la ripresa e bassa l’inflazione non ve ne sono per cui anche se Draghi continua ad insistere sulla ripresa, seguita dal truppone dei parlamentari che ha raccolto intorno a se, ci sembra onesto dire che ci ritroveremo nel corso del ciclo economico che stiamo avviando con lo spettro dell’inflazione che anche se potrà essere in parte controllata, ci farà compagnia mandando all’aria tutti i progetti che l’Italia ma anche l’Europa dovranno rivedere al ribasso. Già si profila l’ipotesi di bloccare la ricerca di fonti energetiche rinnovabili. Addirittura alcuni paesi dell’UE, come la Polonia, stimano di continuare la produzione di carbon fossile fino al 2030 mentre l’Inghilterra, con le miniere ancora aperte, può superare il gap produttivo ma abbandonando ogni prospettiva di abbassare il CO2. Dovremo dare dunque l’addio alla lotta contro l’inquinamento? Niente affatto ma bisogna che i governi cambino il sistema economico, badando meno all’aumento del PIL e più ai bisogni della gente. Così come bisognerà abbassare la produzione nel settore automobilistico e comunque nei settori di forte impatto energetico. E nelle campagne sfruttare tecniche per risparmiare le risorse idriche che cominciano a scarseggiare. Sarà pure una economia “di guerra” ma non dimentichiamo che viviamo in un sistema economico che va modificato combattendo contro quella oligarchia industriale e finanziaria che ha intossicato l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, quello che mangiamo. Insomma bisogna riprendersi la propria vita con la consapevolezza che va combattuta ogni forma di produzione che vada contro l’interesse dell’umanità, a partire dalla produzione di armi e di ordigni di distruzione di massa di cui gli Stati stanno facendo scorte per l’ipotesi di una guerra per accaparrarsi le fonti di energia – come sta già avvenendo – e per il controllo della produzione alimentare a livello mondiale. Certo che siamo in guerra e che potremo vincere contro i soloni del progresso senza fine, solo in condizione che siano i popoli della terra a tracciare la strada per il cambiamento e non gli interessi della finanza mondiale e di quei paesi che intendono mantenere il potere di decidere della sorte dei nostri figli e delle generazioni future. Ci sono forze per un’inversione di rotta del processo economico! Ci sono ma esse vanno unite per evitare che si entri in una fase di conflitti che segnerebbe la fine di tutta l’umanità.

Ottobre 2021

Ue tra crisi energetica e inflazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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