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SOVRANISMO IN CRISI

Sempre più duro lo scontro tra la Polonia e la Corte di Giustizia UE che ha bocciato la riforma della giustizia in Polonia. Lo ha stabilito giovedì 15 luglio la CdG (CG UE) accogliendo il ricorso della Comunità europea presentato nel 2019. Lo scontro dura ormai da alcuni anni e sembra che neppure le sanzioni minacciate dall’UE siano riuscite a far modificare la decisione del governo guidato dalla destra nazionalista di Diritto e Giustizia (PiS). La CdG UE ha ribadito che il rifiuto di applicare le sue decisioni mette la Polonia sulla strada dell’uscita dall’Unione, come hanno affermato alcuni esponenti del Partito Popolare europeo. I giudici europei, accogliendo in toto il ricorso della Commissione Europea, ha ritenuto che il regime disciplinare dei giudici in Polonia non è compatibile con il diritto dell’UE perché la sezione disciplinare non fornisce adeguate garanzie di imparzialità e indipendenza e non è protetta dall’influenza diretta o indiretta del potere legislativo ed esecutivo polacchi. Meno di ventiquattr’ore prima del verdetto di giovedì scorso, la Corte di Lussemburgo aveva accolto un altro appello urgente dell’esecutivo UE, presentato a marzo di quest’anno, che chiedeva alla Polonia di adottare una sospensione provvisoria dell’attività della sezione disciplinare, in attesa di un giudizio definitivo. A questa richiesta, nel pomeriggio dello stesso 15 luglio si era però opposta la Corte costituzionale di Varsavia, che aveva affermato che la decisione della CGUE è in contrasto con la costituzione polacca. L’ex presidente del Consiglio UE e capo dell’opposizione di Piattaforma Civica, Donald Tusk, aveva accusato invece il PiS di voler “lasciare l’UE”, e chiamato i suoi compatrioti a reagire: “Solo noi polacchi possiamo opporci con successo a questo”, come ha scritto su Twitter. Diverse voci critiche si sono alzate anche dai principali partiti del Parlamento europeo. “Il rifiuto di attuare le sentenze della Corte di giustizia europea è un chiaro passo verso l’uscita della Polonia dall’Unione europea. Temiamo che il governo polacco sia sulla via della Polexit”. Dichiarazioni a cui si aggiungono quelle pronunciate giovedì, dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia UE, dal ministro polacco dell’Istruzione Przemyslaw Czarnek, che a Radio Wroclaw ha detto che il verdetto della CGUE non vale “assolutamente niente”. Le tensioni tra Varsavia e Bruxelles non si esauriscono però qui in quanto l’UE ha messo in stand-by l’approvazione del piano di ripresa polacco – assieme a quello ungherese – e la Commissione europea ha deciso, sempre giovedì 15 luglio, di aprire ufficialmente una procedura d’infrazione contro la Polonia per la vicenda della comunità ‘LGBTQ free’. La procedura fa il paio – non a caso sono state annunciate in contemporanea – con quella contro l’Ungheria per la contestatissima legge che col pretesto della protezione dei minori equipara gli omosessuali ai pedofili e discrimina, anche in questo caso, le comunità Lgbtq. “La Commissione europea sta avviando oggi una serie di azioni legali per proteggere i diritti fondamentali delle persone Lgbtiq in Ungheria e Polonia”, ha scritto su Twitter il Commissario UE.

Ultimo colpo di coda del sovranismo o inizio dell’exit per i due paesi? Allo stato, vista la maggioranza di destra che guida i due paesi, è più probabile questa seconda ipotesi con esiti però imprevedibili per le sorti dei due paesi “sovranisti” che si troverebbero nella condizione di restituire i finanziamenti di cui finora hanno beneficiato i due paesi da parte delle istituzioni europee, anche se l’Ungheria sta già pensando di ricorrere ai finanziamenti promessi da Pechino ma anche questo non eviterebbe il crollo dell’economia dei due Stati sovranisti con un’inflazione a doppia cifra, un vero e proprio ritorno ad un’economia di sussistenza, con un commercio gravato dai dazi doganali che l’UE applicherebbe immediatamente. Insomma, un disastro civile, economico, politico senza precedenti. Davvero questi paesi rischiano di ritornare ad essere alla coda dell’Europa. Forse i due paesi contano sul fatto che sono parte della Nato ma la Nato non è l’UE anche se, in casi del genere, si farebbe sentire anche l’amministrazione USA, anche se questo intervento potrebbe complicare la situazione, visto che si è sempre pronunciato Biden contro ogni sorta di nazionalismo e di violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Posizione, dunque, anche questa difficile, a meno che le prossime elezioni politiche in Ungheria non cambieranno il quadro politico visto che i leader di tutti i partiti hanno deciso di unire le loro forze contro Fidesz, il partito del primo ministro Viktor Orban. Questa fronda sovranista che fa parte della storia di questa parte dell’Europa è dura da abbattere: se ci fosse un irrigidimento da parte dei sovranisti, potrebbe essere la situazione economica a travolgere ogni residuo di retaggio nazionalista ma oggi dovrebbero essere soprattutto i cittadini di tutti i paesi europei a far sentire la loro voce contro questo ennesimo tentativo di resuscitare un sistema politico ormai segnato dal tempo che non può che nuocere allo sviluppo di una società solidale. Se non serve neppure questa lezione, bisognerà trovare una nuova unità per mandare una volta e per sempre il nazionalismo nella soffitta della Storia.

Luglio 2021

SOVRANISMO IN CRISI

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