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SALVINI vs. NOMADI

Mentre si fa sempre più pesante la posizione di Salvini che non è venuto a rispondere al Parlamento sulla vicenda di corruzione su cui stava indagando anche la Magistratura, il nostro Ministro dell’Interno non trova di meglio che continuare la sua battaglia contro i nomadi. Con una circolare inviata ai prefetti ha chiesto di far pervenire una relazione “sulla presenza di insediamenti rom, sinti e camminanti” presenti in Italia entro due settimane. L’obiettivo sarebbe quello di avere un quadro chiaro sui campi abusivi per predisporre un piano di sgomberi. Questi insediamenti – specie quelli abusivi – si legge nella circolare inviata ai prefetti “spesso configurano un concreto pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” per cui vanno adottate misure “finalizzate alla riaffermazione della legalità” per arrivare, si ribadisce, “al superamento delle situazioni di degrado e al ripristino delle condizioni di legalità” “attraverso un progressivo sgombero delle aree abusivamente occupate”. Ci sia consentito obiettare che, se è vero che questi insediamenti contribuiscono spesso al degrado, essi ne sono solo una parte. Si pensi ai senza casa che spesso vivacchiano nei pressi delle grandi stazioni ferroviarie. Senza dimenticare i quartieri che fanno parte del panorama urbano dove si annidano spesso forme di criminalità organizzata che taglieggiano i commercianti e terrorizzano la popolazione. Se si vuole affrontare il problema del degrado del nostro paese, non si vede perché si debba partire sempre da una minoranza che nei secoli scorsi è stata sterminata o comunque vive ai margini delle comunità locali e a cui non si può far carico genericamente di contribuire al degrado delle nostre città. Sembra, e non è solo un’impressione, che in Italia i governi – pur di diverso colore – vogliono innalzare una barriera tra nomadi (spesso cittadini italiani) e gli stanziali, aizzando l’odio razziale utilizzando queste minoranze per mettere a tacere ogni lotta di chi vive ai limiti della società. Innanzitutto, va ricordato che, secondo le convenzioni internazionali, gli sgomberi possono essere autorizzati solo se vi sia stata una notifica formale all’interessato, con la possibilità di opporsi davanti al giudice. In ogni caso, “oltre ad un risarcimento equo per i beni andati eventualmente distrutti nel corso dello sgombero, deve essere garantita una sistemazione alternativa in luoghi che soddisfino i criteri dell’alloggio adeguato e che consentano ai nuclei familiari di restare uniti”. Il fondamento giuridico si ritrova nell’insieme delle norme contenute nel “Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e nella Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale”. L’ONU attraverso il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale delle NU, CERD, ha richiamato l’Italia in materia di sgomberi ai danni della comunità Rom mentre il Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, ha criticato duramente la politica massiccia di sgomberi forzati attuata dalle amministrazioni locali ed oggi dal Governo. A fronte di una situazione che necessita di interventi non emergenziali ma organici, strutturali, di “integrazione” del popolo Rom attraverso la comprensione e la valorizzazione delle differenti culture, si preferisce l’allontanamento fisico dei nomadi, fonte di insicurezza e di degrado dai centri abitati e la creazione di un clima di intolleranza e razzismo nelle popolazioni “stanziali”. Dopo secoli di convivenza, non si riesce ad accettare ma soprattutto non si vuole nemmeno provare a comprendere un diverso stile di vita. La politica degli sgomberi mira a distruggere l’unità di queste piccole comunità che ancora resistono con le loro tradizioni all’ondata di nichilismo, di razzismo che potrà avere solo, come tappa finale, il loro annientamento fisico. Le soluzioni “alternative” a tale politica, talvolta trovate da alcuni gruppi nomadi, che hanno acquistato terreni per risiedervi con le loro case mobili, trovano l’accanita opposizione delle amministrazioni locali, che ne hanno ordinato la demolizione, costringendo così anche chi aveva scelto di vivere in condizioni più dignitose, a rinunciarvi in nome della “legalità”. Sappiamo che così il problema non sarà risolto in quanto c’è bisogno di un radicale cambiamento di questa politica a tener conto anche della giurisprudenza della Corte EDU la quale è costante nel ribadire che “la posizione vulnerabile dei nomadi comporta che debba essere portata una particolare attenzione alle loro esigenze ed al particolare stile di vita tanto nella pianificazione urbanistica quanto nella decisione in merito a particolari situazioni”.  Dunque, in ragione di ciò, incombe sugli Stati membri, in virtù dell’art. 8 della Convenzione un’obbligazione pratica di favorirne lo stile di vita nomade. Ha ribadito sempre la CEDU l’importanza “di una lunga tradizione di una minoranza nel seguire uno stile di vita non stanziale”. La compressione di questo diritto “costituisce – a detta della Corte – una illecita interferenza, da parte dell’amministrazione con il diritto (del popolo nomade) al rispetto per la propria vita privata, inter-familiare, e il godimento dei propri beni”. Gli sgomberi, senza adeguate alternative sono illegittimi, anche se disposte in base ad una legislazione di emergenza. A livello politico la scelta di intervenire sul problema con misure repressive e di stampo securitario indubbiamente denota e rimarca un disinteresse esplicito per le numerose forme di raccomandazioni elaborate a livello comunitario per l’integrazione del popolo Rom, Sinti e Camminanti ed il loro riconoscimento come minoranze, nonché vanifica di fatto l’adesione a tutti i Trattati internazionali, a tutela dei diritti fondamentali, prima fra tutti il CERD, poiché in concreto, tali provvedimenti discriminatori, oltre a non concretizzare la tutela dei diritti umani fondamentali sanciti da tale convenzione, ne costituiscono esplicita violazione. Inoltre tale politica fornisce una pessima immagine del nostro paese anche a livello comunitario perché mira a tenere divisi questi gruppi dal resto della società, bloccando qualsiasi possibilità di integrazione, in contrasto con la normativa comunitaria che indica un percorso totalmente opposto, basato sul rispetto delle tradizioni secolari di questa parte del genere umano che ha, da tempi lontani, e non da ieri, deciso di restare nomade ma questa specificità non può essere né dimenticata né presa a pretesto per una forma di segregazione su base razziale. Signor Salvini, lei non ha una buona conoscenza della storia, ricordando forse malinconicamente i fasti (anzi i misfatti) di un passato regime condannato prima dalla giustizia umana e cancellato poi dalla coscienza democratica, anche se la democrazia attualmente è in fase di “revisione”. Nulla ci impedisce però di protestare per una politica, come quella di questo governo, che ha deciso di adottare una politica razziale proprio grazie alla scarsa democraticità del nostro sistema. Nulla ci vieta di rivendicare il rispetto di quelle norme che fanno parte del quadro giuridico comunitario, spesso violate dall’anarchia di questo governo e dalla cecità del legislatore ridotto ormai ad un inutile orpello, rimasto in piedi per consentire ai membri non eletti dal popolo (sovrano) di conservare il loro scranno in Parlamento.

La giustizia di questo paese, anche in tempi recentissimi, ha fatto intendere che non è disposta a seguire il potere esecutivo su questa strada di stravolgimento dei diritti umani fondamentali per cui riteniamo che, quantomeno nelle aule dei Tribunali, questi diritti possano continuare a godere di adeguata protezione.

Luglio 2019

Salvini vs. i nomadi

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