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RIFORME A RISCHIO

Senza dubbio molto ci si aspetta dall’avvio del Recovery Fund per la ripresa economia che secondo il Presidente Draghi si basa su tre pilastri: innovazione, competitività delle imprese e coesione sociale. I dati dell’ISTAT ci danno un segnale positivo in quanto la stima del primo trimestre di quest’anno è cresciuta dello 0,1% e non è calata, come era previsto, dello 0,4%. L’occupazione va però ancora a rilento anche perché, in alcuni settori, non si trovano lavoratori e non si tratta solo di lavoratori stagionali ma anche di lavoratori a tempo indeterminato. La FIPE – Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi – osserva che mancano circa 150mila addetti tra cuochi, barman e camerieri ma i sindacati denunciano che si chiede personale specializzato ma proponendo salari di 300,00 euro al mese. Anche se questo governo punta ad un aumento del 5,6% del PIL per quest’anno, molti settori sono ancora in sofferenza compreso il mercato dell’auto che registra una diminuzione del 27,9% rispetto al maggio 2019 per cui la previsione del governo è davvero molto lontana dalla realtà. Anche Bruxelles denuncia che in Italia c’è troppo debito e scarsa produttività. Non a caso il debito pubblico è cresciuto nettamente nel 2020 riflettendo la caduta del PIL che si spera venga ridotto solo nel 2012. L’indice della produttività, pur essendo cresciuto l’anno scorso sul lungo periodo è bloccato dai limiti della crescita di gran parte delle aziende mentre l’occupazione rimane sotto la media europea. La speranza è che il PNRR possa correggere la traiettoria dei costi pubblici e dell’economia italiana ma più di un dubbio resta che il nostro paese possa sfruttare fino in fondo quelle risorse secondo i tempi prestabiliti e alle condizioni pattuite. Recentemente il dossier pubblicato dal CEPS (Centro Studi sulle Politiche Europee) di Bruxelles getta non poche ombre sul nostro PNRR soprattutto per quanto concerne l’impatto annunciato delle riforme sul PIL. In effetti gli investimenti proposti, per essere efficaci ed effettivamente realizzabili entro i limiti temporali del piano, devono essere accompagnati da profonde riforme che concernono in gran parte la pubblica amministrazione, il sistema giudiziario (cd. riforme orizzontali) e ancora la semplificazione e razionalizzazione legislativa, la promozione della concorrenza, il mercato del lavoro e la formazione professionale. Il rapporto mette in luce alcune delle criticità che sono inserite nel PNRR. La prima concerne la pubblica amministrazione, cruciale per la gestione di un flusso rilevante di risorse da cantierare e rendicontare, affidata a personale a termine. Per quanto riguarda la giustizia, la maggior preoccupazione sollevata concerne la capacità del sistema giudiziario di approvare tutte le misure necessarie entro il termine del PNRR. Sulla semplificazione, la situazione appare ancora meno agevole. Gli investimenti previsti nel Piano richiedono una capacità di gestione ed una straordinaria accelerazione di procedure autorizzative ed appalti, che difficilmente potranno essere risolte nel breve periodo per decreto. E poi il mercato del lavoro e la filiera dell’educazione. Sul primo, il CEPS sottolinea come si tratti essenzialmente di interventi sul lato dell’offerta, volti soprattutto ad attivare lavoratori fuori dal mercato del lavoro. Allo stesso tempo, non viene messa in discussione l’attuale governance delle politiche attive, che andrebbe invece profondamente rivista né viene messo in discussione il peso preponderante della contrattazione collettiva nazionale che, in alcuni settori, impedisce il miglioramento delle condizioni contrattuali. La filiera educativa, sulla quale il CEPS sottolinea come unico elemento positivo quello della maggiore attenzione agli asili, che tuttavia non è accompagnata da riforme strutturali, col rischio che la situazione ritorni ai (pessimi) livelli attuali. Così come carente è la riflessione sulla necessità di assicurare maggiore connessione fra la formazione superiore e l’Università. Il PNRR è stato accompagnato da proiezioni d’impatto moderate sul PIL: solo il 3,6% in più alla fine del periodo. Non è, di per sé, un gran risultato ma questa ipotesi potrebbe, nel caso peggiore, ridursi addirittura alla metà (+1,8%). Difronte a queste previsioni di un ente non certamente di parte, ci si deve chiedere fino a che punto questo governo creda effettivamente nelle sue previsioni difronte ad un debito che continuerà a salire nei prossimi anni senza che ci sia nessuno che faccia parte del governo o quanto meno nessun uomo politico che abbia messo in guardia il paese da un eccessivo ottimismo che certamente può servire oggi a superare la crisi ma che condannerà le future generazioni al palo di un debito pubblico davvero insostenibile. E ci dispiace che in questo clima di euforia si pensi a rinviare il pagamento delle imposte evase senza tener conto che il gettito fiscale è uno degli elementi che concorrono a sostenere la spesa pubblica. E neppure c’è nessuno al governo che abbia timidamente parlato di una patrimoniale “una tantum” sui depositi bancari superiori a 100.000 euro che possa costituire una riserva cui attingere in caso di necessità. Non è più il tempo del vino e delle rose: la pandemia ci ha dimostrato come ci siano eventi, spesso causati dall’intervento dell’uomo, che possono rendere carta straccia i risparmi dei consumatori mentre la Commissione Europea ha fatto capire che non potrà l’UE nei prossimi anni ripianare il deficit di bilancio dei singoli paesi che va risanato, invece, con le risorse interne.

Riforme a rischio

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