REFERENDUM: ULTIMO APPELLO PER IL NO
Tra poco più di una settimana andremo, dunque, ad esprimere il nostro voto sul referendum costituzionale proposto dal governo per la riduzione dei parlamentari. Va detto, a scanso di equivoci, che non si tratta solo di ridurre il numero dei parlamentari in quanto è in gioco più di un articolo della Costituzione. In questa ultima settimana la maggioranza di governo si è ben guardata dallo spiegare le ragioni di questo referendum. In fondo, così come è stato proposto, sembra quasi che si tratti di una scelta corretta quella di ridurre il numero dei parlamentari. A condizione che essa serva effettivamente a migliorare la qualità del lavoro parlamentare e a condizione che i membri del Parlamento, siano scelti direttamente dall’elettorato, quale espressione cioè della volontà del corpo elettorale. Che il Parlamento possa meglio legiferare con un numero di membri ridotto, è solo un’ipotesi non dimostrata. Al contrario, se il numero dei membri del Parlamento sarà ridotto, esso non sarà più in grado di assolvere ai suoi compiti istituzionali in un sistema complesso come il nostro. Al contrario, esso dovrà sempre più affidarsi al governo nell’elaborazione delle leggi, depotenziando sempre più il ruolo del Parlamento. “Svuotato e depotenziato dunque il Parlamento che ormai si limita a ratificare i provvedimenti presi dal governo: riceve decreti legge e li converte in legge, aggiungendovi i desiderata di questo o di quel gruppo o ministro”. Ad esprimersi così è il prof. Sabino Cassese già Giudice Emerito della Corte Costituzionale. Per quanto riguarda il secondo aspetto, in mancanza di una legge elettorale adeguata, non abbiamo alcuna garanzia che sia l’elettorato a esprimere con il suo voto i membri del Parlamento. Al contrario, se si continua ad applicare la legge elettorale in vigore, è certo che non ci sarà alcun rapporto diretto tra elettori ed eletti in quanto saranno i gruppi politici a riempire il Parlamento con i loro seguaci pronti ad obbedire alle scelte del capo. Con buona pace della norma costituzionale in base alla quale i membri del Parlamento rispondono del loro operato, solo alla loro coscienza e non alle imposizioni del gruppo politico di appartenenza che rafforza in questo modo il suo rapporto con i presunti rappresentanti del popolo, ma scelti in verità dai partiti politici di cui fanno parte. Viene a mancare dunque anche la seconda condizione che potrebbe giustificare in qualche modo questa scelta di ridurre il numero dei rappresentanti. E questo, purtroppo, si deve anche alla debolezza di un partito, il PD, che sacrifica così uno dei pilastri della democrazia parlamentare pur di salvare un governo che vacilla sempre più difronte a problemi che non sa gestire, limitandosi a governare a colpi di decreti continuamente riveduti e corretti, sempre a rischio di incostituzionalità. Mentre siamo pronti a condannare i pieni poteri che il Parlamento ungherese ha assegnato al premier Orban, che è stato pronto a rinunciarvi per non sottoporsi ad un ulteriore condanna da parte dell’UE, o a criticare il Capo del governo turco per le continue violazioni delle regole democratiche, non siamo in grado di condannare questo sistema inaugurato dal primo governo giallo-verde che si è rafforzato quando è scoppiata la pandemia in Italia e nel mondo, affidandosi gli italiani ad un governo che ha fatto largo uso dei poteri speciali, trincerandosi dietro lo schermo dello stato di emergenza, ricordando che oggi tale sistema è stato prorogato ancora fino al 7 ottobre prossimo. Unico stato in Europa ad averlo fatto. “La legge sulla riduzione del numero dei parlamentari rende fragile il Parlamento, indebolisce la democrazia rappresentativa e non favorisce la democrazia diretta”, conferma Luciano Violante sulle pagine di “La Repubblica” del 27.8: “la riduzione che voteremo a settembre si colloca quindi in un quadro di penalizzazione tanto del sistema decisionale quanto del ruolo rappresentativo del Parlamento” conclude. A favore del NO si sono espressi molti esponenti politici che hanno fatto la storia del partito democratico, partendo da Prodi ma, all’interno del partito oggi, dopo la sfuriata del segretario del partito, la bussola vira tendenzialmente sul SI’. Sulle colonne sempre de “La Repubblica” di martedì 1° settembre, Nicola Zingaretti, accusa i sostenitori del NO di voler abbattere il governo di coalizione. E’ vero che il governo potrebbe entrare in crisi nel caso di una vittoria del NO ma questo potrebbe avvenire soprattutto perché non sono state rispettate le promesse che si erano scambiati i due partiti al momento in cui hanno deciso di fare una coalizione di governo. Per essere più concreti, l’accordo di governo prevedeva la immediata modifica dei decreti di sicurezza voluti da Salvini. Ebbene sono passati circa dodici mesi e continuano a tener in piedi una legge voluta dall’esponente della Lega. Ancora oggi il Presidente del Consiglio Conte continua a ripetere che ci sarà tempo a riparlarne in ottobre. Così di mese in mese mentre continua ad essere applicata una legge che è stata ritenuta incostituzionale, piegandosi all’epoca il Presidente della Repubblica alla ratifica della stessa ma suggerendo di farvi delle modifiche per evitare un’accusa di incostituzionalità. Ancora, il voto sulla riduzione dei parlamentari era subordinato alla modifica della legge elettorale e all’adozione di alcuni correttivi indispensabili. Ebbene, solo nel mese di agosto, Zingaretti chiedeva che fosse approvata la legge elettorale almeno in un ramo del Parlamento; sette giorni dopo, abbassando la richiesta, il capo-gruppo Del Rio chiedeva che essa fosse discussa perlomeno in Commissione. Nulla di tutto ciò è avvenuto: e perché dunque sottostare ancora una volta al ricatto del M5S? Perché il PD ha fatto partire questa richiesta quando sapeva che non c’erano i tempi per attuarla? Perché non rinviare il voto sul referendum, legandolo invece alle elezioni regionali e comunali? Il Presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick, che è stato Ministro della Giustizia nel primo governo Prodi e Presidente della Corte Costituzionale in una intervista rilasciata al quotidiano “La Repubblica” del 2.9 u.s., critica il progetto di riduzione proposto dal M5S “per il modo in cui è stato presentato e attuato sia per le ragioni che l’hanno ostentatamente sorretto. Una misura sbagliata perché non tiene conto della differenza che vi deve essere tra una legge costituzionale ed una ordinaria, frutto quest’ultima di singole manifestazioni e intenzioni”. Il Presidente della regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini ribadisce il suo SI’ “Capisco tutte le ragioni di chi è contrario, ma resto coerente”, senza spiegare però a che cosa rimane coerente. Forse per il patto fatto con un alleato che si è mostrato contrario fino ad oggi ad ogni riforma? Difficile saperlo da Bonaccini. Intanto, anche nella sua regione molti membri della maggioranza hanno deciso di votare per il NO mentre oggi (era ieri) è in programma una manifestazione a Casalecchio dove i sostenitori del NO con Laura Boldrini, Carlo Smuraglia, presidente emerito dell’ANPI e il fondatore del Movimento delle sardine, spiegheranno le ragioni del NO. Anche la CGIL, pur lasciando liberi i propri iscritti di esprimersi, al suo interno cresce la preferenza per il NO per cui si è espresso per il no Luigi Giove, Segretario regionale in Emilia Romagna ma anche alcune sigle sindacali come “Lavoro e Società” hanno aderito al NO ritenendo “che nessuna alleanza di governo, nessuna astratta ragione politica possa giustificare la scelta di modificare negativamente l’assetto costituzionale e democratico del paese”. L’economista Carlo Cottarelli spiega perché voterà NO al referendum “La ratio dell’intervento – dichiara – mi pare una sola: risparmiare. Ma il risparmio, in questo caso, ammonta a circa 57 milioni l’anno, lo 0,007 per cento della nostra spesa pubblica. Non si stravolge la Costituzione per un beneficio tanto irrisorio. Farlo non è stato pericoloso ma stupido…in un momento in cui il Paese avrebbe bisogno di riforme importanti per ripartire, costituisce un precedente molto rischioso. Significa che domani chiunque abbia una maggioranza in Parlamento può cambiare la nostra Carta Costituzionale senza un motivo serio…Questo referendum è dannoso proprio dal punto di vista del principio”. L’opinione di Cottarelli viene condivisa anche dal costituzionalista prof. Clemente il quale dichiara che bisogna sfatare tre pregiudizi: “che si tratta di votare per risparmiare perché, secondo i dati di Cottarelli si tratterebbe dello 0,007 per cento della spesa pubblica, secondo che modificare il numero dei parlamentari non significa toccare la democrazia, infine, che la sola riduzione del numero porterà ad un miglioramento qualitativo della nostra democrazia”. “Il grave errore politico – aggiunge – è stato quello di immaginare che fosse possibile fare una riforma costituzionale in maniera “micro” …quando serviva una riforma “macro”. Questa invece arriva al referendum da sola, senza un progetto organico che tenga conto della complessità della Costituzione”. E conclude criticando che si stia andando un po’ “alla carlona” “dentro un silenzio ipocrita verso una delle più grandi riforme costituzionali che questo paese possa fare”. Una riforma che non può essere affidata ad un manipolo di avventurieri della politica, senza alcuna esperienza politica e con scarsa preparazione per affrontare una riforma così complessa. Non possiamo accontentarci delle parole rassicuranti dei nuovi protagonisti della scena politica, alfieri del più volgare populismo, assecondati, purtroppo da un partito come il PD che nel suo genoma pur dovrebbe ancora avere ricordo delle grandi battaglie politiche quando non c’era spazio né per i qualunquisti né per gli improvvisatori delle ultime ore. Davvero ignobile quanto accade oggi che si baratta il patrimonio politico di un’intera generazione per tener su un governo che naviga a vista, senza alcuna bussola e senza saper guardare al di là del proprio naso. Se a vincere sarà il SI’, bisognerà aprire una nuova stagione di lotte per le riforme di cui questo Paese ha bisogno, chiudendo le porte a quei personaggi che hanno scambiato il Paese per un “teatro dei pupi”.
10/9/2020
Referendum. Ultimo appello per il NO
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