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QUALE RUOLO POLITICO PUO’ GIOCARE OGGI L’UE?

E’ il quesito che si è posto l’ambasciatore italiano Giancarlo Aragona in un articolo comparso su “Affari Internazionali” del 16.10. Secondo l’autore “l’Unione fatica a definire una sua identità collettiva…”. In effetti fino ad oggi, l’UE non ha sviluppato una politica autonoma e indipendente. E’ vero che questo è stato sempre un limite del progetto europeo, sentendosi parte dello schieramento occidentale lasciando dunque che fossero i singoli Stati membri a collaborare per l’elaborazione di una linea politica all’interno della NATO. Non dimentichiamo che questa posizione, che è rimasta identica perlomeno per la seconda metà del secolo scorso, ha convinto anche partiti politici che apparentemente erano ben lontani dalla politica americana. Anche il PCI, quando si è trattato di scegliere nel periodo della guerra fredda, ebbe a dichiarare apertamente che si sentiva più sicuro sotto l’ombrello della Nato. E’ solo a cavallo tra questo secolo e quello precedente, o poco più tardi, e alla luce anche con la grave crisi finanziaria del 2008, che si cominciò a parlare di politica europea autonoma rispetto al gigante degli USA e soprattutto rispetto alle iniziative NATO molto spesso collegate alla politica di grande potenza degli USA. Ma nel disordine internazionale che oggi impera, e qui non stiamo ad illustrarne le ragioni anche se val la pena farne un cenno, si fa sempre più imperiosa la prospettiva di una politica europea unitaria che possa rendere l’UE uno degli indiscussi protagonisti del futuro della società. Questa prospettiva potrebbe realizzarsi a due condizioni: una interna all’Unione ed un’altra di carattere più generale. Non è un caso che la crisi economica in Europa ha riportato alla luce il fantasma del nazionalismo, oggi ribattezzato sovranismo, che pone un serio ostacolo all’ipotesi di un rafforzamento politico dell’UE, perché il trasferimento di potere politico all’Unione comporta un indebolimento della sovranità nazionale. Un primo problema, dunque, per una più incisiva politica europea, è quello di modificare i Trattati attualmente in vigore limitando il potere del Consiglio europeo, che spesso vanifica ogni iniziativa autonoma dell’UE, rivendicando la libertà per ogni paese membro di poter intervenire con una propria politica indipendente, dimenticando, ancora oggi, la complessità della situazione mondiale e l’ampiezza dei problemi che possono facilmente travolgere le piccole patrie ed il loro acceso sovranismo. Perché ciò avvenga, è inevitabile anche che si rafforzi uno spirito europeista “capace di plasmare – riprendendo l’articolo – una visione strategica comune tra i partner, superando le inevitabili diverse sensibilità in nome dei vantaggi dell’operare insieme”.  In questa direzione va rafforzato l’Euro che deve diventare la moneta unica dell’Unione. L’esperienza della crisi finanziaria, che ancora fa sentire i suoi effetti, ha dimostrato che una politica di difesa della tenuta dell’euro non solo ha fatto crescere la fiducia in questa moneta ma, di fatto, ha creato una maggiore coesione tra i paesi dell’euro che – attraverso una forte integrazione finanziaria – ha fatto crescere la condivisione dei problemi ed una collaborazione efficace. Non a caso una delle raccomandazioni del Presidente della Commissione uscente Juncker è stata proprio quella di estendere l’adozione della moneta unica a tutti i paesi membri, proprio perché cosciente che l’unità della moneta finirà per creare una più radicata collaborazione tra i paesi membri, riducendo così anche i tempi per un’integrazione politica.Occorre altresì lavorare per risolvere le crisi interne ai paesi membri. In primo luogo, quello della rivendicazione di indipendenza richiesta dalla Catalogna nei confronti dello Stato centrale. Se solo si rammentasse quali sono state le ultime tappe della costituzione dello Stato unitario spagnolo, si dovrebbe ammettere che tale prospettiva è stata sempre il sogno dei catalani, forti delle loro tradizioni. A tal proposito, ricordiamo che un emerito Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, non nascondeva le sue simpatie per la Catalogna, anche perché questa prospettiva era ancora attuabile anche per la Sardegna, l’isola in cui era nato, dove forte era il movimento indipendentista. Ma in una Europa integrata che senso potrebbe avere l’indipendenza nazionale difronte all’appartenenza ad uno Stato politico unitario, federalista come avrebbero voluto i fondatori dell’Europa moderna? Certo ci sono valori tradizionali che vanno rispettati, come la lingua e la religione. Questo patrimonio culturale e questa comunanza di valori non può essere valutato come fattore divisorio ma come fattore di arricchimento. L’apertura delle frontiere nazionali per milioni di cittadini europei, in primo luogo studenti ed intellettuali e poi operai, come i commercianti e le imprese, hanno fatto cadere ogni differenza tra cittadini di paesi diversi che non fosse che quella della lingua. Non nascondiamo quanto sia difficile questo percorso ma certamente lo è molto meno di quanto fosse 20 e 30 anni fa. E allora, perché non continuare su questa strada? Tanto per fare un esempio, ormai buona parte delle leggi nazionali è una diretta derivazione di quelle norme (regolamenti e direttive) che vengono approvate dagli organi dell’UE. Oggi, nel pieno della Brexit e senza sapere ancora se sia possibile che un gruppo di politici sia capace di riconoscere i propri errori, ricordiamoci che il 70% delle norme inglesi sono di derivazione europea per cui uno dei problemi più delicati sarà di verificare se mantenere in piedi queste norme, se abrogarle o sostituirle con altre. Un lavoro che durerà diversi anni, sconvolgendo anche il sistema giudiziario inglese. E ancora, sempre per riferirci alla vicenda inglese, se passa la Brexit, assisteremo ad uno sfaldamento del Regno Unito come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, tenuto conto che sia l’Irlanda del Nord che la Scozia, sarebbero pronte a chiedere l’indipendenza dalla Gran Bretagna per entrare a far parte dell’UE. Il nostro è un momento storico molto delicato che può portare addirittura alla scomparsa della razza umana come di tutte le specie viventi. Ordunque, bisogna perseverare a sviluppare momenti di unità, di collaborazione, di solidarietà tra i popoli europei per allontanare il fantasma del sovranismo, per scongiurare il ritorno all’Europa delle Nazioni che per cento e passa anni ha devastato con guerre sanguinose il nostro continente. Oggi il massacro non sconvolgerebbe solo l’Europa ma il mondo intero. Siamo proprio decisi a questo suicidio di massa? La ragione e la civiltà che sono alla base della nostra convivenza ci dicono di no per cui speriamo che lo sviluppo dell’UE possa contribuire alla salvezza di tutto il genere umano. Si accennava ad un fattore esterno all’Unione che frena la crescita politica di questo gigante. Si tratta di una serie di fattori facilmente individuabili. Come scrive su “Affari Internazionali” del 22 luglio u.s. Cesare Merlini – Presidente del Comitato dei Garanti dell’IAI – “il leader della prima potenza al mondo nostra alleata e garante di sicurezza nonché primo partner economico, è un avversario dichiarato del processo di unificazione del vecchio continente”. Lo ha dimostrato chiaramente Trump quando ha appoggiato apertamente Theresa May nella sua battaglia per uscire dall’UE, salvo poi a criticarla quando ha passato il testimone a Johnson al quale ha promesso ponti d’oro nel caso riuscisse a portar fuori il Regno Unito dall’Unione. Lo sta facendo ancora oggi, stringendo amicizia con i nemici dichiarati dell’integrazione, ricevendo al suo studio alla Casa Bianca Orbàn, membro del gruppo di Visegrad, che si oppone a qualsiasi tentativo di rafforzare l’integrazione e la solidarietà tra i paesi membri dell’UE. Questo è il primo ostacolo, forse il più forte, per uno sganciamento della politica europea da quella americana, che spesso è in contrasto con gli interessi dell’Europa. Lo dimostrano i fatti. Dopo l’accordo concluso dai paesi UE con l’Iran, è intervenuto Trump con prepotenza mettendo in discussione il rispetto degli accordi raggiunti e bloccando il commercio tra i paesi dell’UE e l’Iran, pena pesanti sanzioni economiche a carico dell’Europa. Senza dimenticare che fino ad oggi gli USA si servono della NATO per interventi militari che nulla hanno a che vedere con la sicurezza dei paesi europei. Non è più sostenibile questa unità solo apparente anche perché – dietro la potenza militare americana– ci sono gli interessi economici degli USA. L’atteggiamento dell’amministrazione Trump sta eliminando ogni dubbio sulla necessità per l’Europa di costruire un sistema di sicurezza che valga ad assicurare pace e benessere per i propri popoli. L’essere membri di una grande comunità internazionale – come lo è oggi l’UE – come scrive l’autore dell’articolo sopra richiamato “ci impone di avere ben chiare le sfide esterne – sistemiche – geo-politiche e geo-economiche – ed individuarne le conseguenti priorità”. Sulla scena mondiale ovviamente non vi è un solo protagonista ma altri Stati che stanno assumendo una posizione di primo piano come la Cina o come la Russia ed altri paesi ancora come l’India o il Giappone con i quali misurarsi. “L’Europa è un gigante dai piedi d’argilla” è il grido d’allarme lanciato molti anni fa. Facciamo in modo che l’Europa sia in grado di collaborare a livello mondiale per frenare i conflitti che ancora incendiano il mondo intero portando a tutti i popoli della terra un messaggio di stabilità e di solidarietà. Si tratta di una missione storica cui l’Europa non può rinunciare ma essa può avere successo solo a condizione che l’UE sappia vincere le resistenze nazionali e sviluppare una politica europea autonoma in quanto solo l’Europa Unita potrà essere protagonista dei futuri equilibri globali. Progetto politico ambizioso che va realizzato con gli sforzi congiunti di tutti i paesi membri.

Ottobre 2019

quale ruolo politico può giocare oggi l’UE

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