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PER NON DIMENTICARE

Nel corso di una breve vacanza, trascorsa in montagna, ho avuto modo di meditare un po’ sullo stato attuale della società umana a tener conto della sempre più devastante crisi sanitaria che sta mettendo in serio pericolo l’esistenza dell’uomo su questo pianeta. Ma, accanto a questo rischio determinato dalla profonda pandemia che sta interessando tutto il paese, vi sono ben altri motivi per temere seriamente che l’estinzione della società umana possa avvenire anche per il mutamento delle condizioni climatiche anch’esse determinate da uno sfruttamento delle risorse irrazionali del nostro pianeta. Ma forse la più temibile delle minacce è quella di una catastrofe atomica anch’essa determinata da una guerra atomica o anche da un disastro atomico nell’uso della energia atomica in campo civile.

 

HIROSHIMA 75 ANNI FA

Il 6 agosto scorso, c’è stato il 75esimo anniversario dell’attacco atomico che gli USA sferrarono al Giappone lanciando la prima volta nella storia umana un ordigno atomico sulla città di Hiroshima che fu in pochi minuti totalmente distrutta. Era il 6 agosto 1945 quando la guerra era ormai cessata in Europa dopo aver provocato decine di milioni di morti, senza contare i 12 milioni di vittime civili provocate dal genocidio posto in essere dai nazisti in Europa. Ma la guerra nel Medio-Oriente tra Giappone e Stati Uniti continuava con alterne vicende. Fu nei primi anni quaranta che, a seguito dell’arrivo in America di molti scienziati, in parte ebrei, che lasciarono l’Europa in fiamme, che gli USA accelerarono i piani per la realizzazione di una bomba atomica, l’arma che avrebbe potuto assicurare un potere immenso alla nazione che l’avrebbe realizzata. C’era già stato un test svolto ad Alamagordo, nel Nuovo Messico, dove era esplosa nel deserto una bomba di prova, confermando la potenza micidiale di questa nuova arma. Dopo la morte improvvisa di Roosevelt, il nuovo Presidente Harry Truman, nel massimo segreto nominava una commissione composta da due scienziati e due ministri per decidere se usare o meno l’atomica colpendo nella guerra contro il Giappone. Prevale la decisione di intervenire lanciando la bomba atomica per mettere fine alla guerra e convincere l’imperatore alla resa. E’ la politica della guerra totale condotta non contro un esercito in armi ma contro cittadini inermi. E’ terrore allo stato puro, già sperimentato nel corso della guerra in Europa, prima dall’esercito tedesco che, dopo l’invasione della Polonia, manda la propria aviazione a bombardare le città inglesi per piegare la resistenza del paese e costringerlo alla resa. Ipotesi che si dimostrò ben lontana dalla realtà in quanto i bombardamenti più spaventosi come quello della cittadina di Coventry e gli attacchi degli U-boat tedeschi anche alle navi civili, non riuscirono mai a piegare il paese.E’ lo stesso sistema usato dagli anglo-americani che, dopo lo sbarco in Sicilia, continuano a bombardare le città italiane come Napoli, Firenze, Milano, Roma, diffondendo il terrore in tutta la penisola e più ancora in Germania dove l’aviazione angloamericana sperimentò un nuovo tipo di bomba al fosforo che fece bruciare per settimane intere città come Dresda e Berlino per fiaccare le ultime sacche di resistenza dell’esercito tedesco, provocando solo a Dresda la morte di centinaia di migliaia di cittadini inermi. Insomma, una guerra che non risparmiava civili inermi, né chiese, né edifici civili allo scopo di distruggere ogni forma di resistenza. E’ quanto avvenne anni dopo nel corso della guerra del Vietnam. Insomma, sul piano bellico, ogni fine giustifica i mezzi, come purtroppo avviene anche ai nostri giorni sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno – se non poche minoranze – si indigni per questi crimini di guerra che sono crimini contro l’umanità intera. Ma ritorniamo ad occuparci del bombardamento atomico di Hiroshima. Secondo lo Stato maggiore americano, in alternativa all’uso della bomba, c’era solo l’invasione del Giappone che secondo i calcoli militari statunitensi poteva causare tra 100 e 500 mila morti in combattimento, soltanto tra le truppe USA. Ma c’era anche un secondo obiettivo “fare impressione, come affermava il Ministro degli Esteri USA, all’Unione Sovietica ed affermare il principio della supremazia americana”. Deciso che fu il bombardamento, si scelse la città di Hiroshima dopo aver accertato che era l’unica città giapponese – tra le quattro città individuate – che non avesse un campo per i prigionieri di guerra. Parte dunque l’ordine decisivo firmato il 25 luglio dal Capo di Stato Maggiore che prevede il lancio in qualunque giorno dopo il 3 agosto, in base alle condizioni metereologiche che vengono considerate ottimali. Il 6 agosto, con tempo sereno, l’aereo, dopo aver caricato la bomba, decolla verso il suo bersaglio. Alle ore 8:15 di quel lunedì 6 agosto 1945, la bomba viene lanciata sull’obiettivo, il cielo diventa all’improvviso rosso, il boato dell’esplosione a 580 m di altezza è insopportabile. In quel momento la temperatura arriva a 60 milioni di gradi centigradi, dieci volte più del sole. Le fiamme che si sprigionano subito dopo l’esplosione avvolgono tutta la città, il calore scioglie il ferro, distrugge le case, cancella ogni forma di vita in cielo e in terra e uccide in un sol colpo 80mila persone e ne ferisce 70mila che moriranno nel giro di qualche giorno per le pesanti ustioni riportate. Si calcola che le bombe sganciate ad Hiroshima e quella successiva sganciata a Nagasaki il 9 di agosto saranno responsabili della morte di quasi 400 mila persone. I medici, che non conoscevano i segreti dell’atomica, non sanno come curare le migliaia di cittadini che si lamentano in attesa di morire. Sotto il profilo bellico, l’obiettivo è stato pienamente raggiunto: nel giro di qualche settimana l’imperatore Hiro Hito è costretto a firmare la resa costata al paese la morte di centinaia di migliaia di cittadini inermi perché negli anni seguenti non si fermeranno le morti di migliaia di altri cittadini a causa delle radiazioni atomiche assorbite. La tragedia di Hiroshima rafforzò negli USA la convinzione di continuare la ricerca nel campo atomico per divenire la prima potenza mondiale-capace di dettar legge al mondo intero. Ma non fu così: grazie anche al rimorso di diversi scienziati che si sentivano colpevoli di aver inventato il più temibile strumento di morte, furono passate informazioni segrete all’altra potenza mondiale – l’Unione Sovietica- per costruire un ordigno nucleare. Il primo luglio 1946, a meno di un anno dal bombardamento di Hiroshima, gli USA sperimentavano una bomba atomica più potente sull’atollo di Bikini mentre un altro test verrà eseguito con successo il 17 maggio 1948. Ma gli altri Stati non stanno a guardare: il 23 settembre 1949 Radio Mosca annunciò che l’Unione Sovietica aveva realizzato una bomba atomica e nell’ottobre del 1952 la Gran Bretagna sperimentò la sua prima bomba atomica mentre gli USA sperimentavano nell’agosto del 1953 la prima bomba all’idrogeno, seguita a poca distanza dall’Unione Sovietica. E’ l’epoca del terrore atomico: un’epoca in cui gli Stati nazionali malgrado fosse passato meno di un decennio dalla fine del secondo conflitto mondiale si fornirono di nuovi e più potenti strumenti di distruzione di massa. Quella bomba scagliata dagli americani su una popolazione inerme mise fine alla guerra mondiale e dette il via alla guerra fredda e alla corsa agli armamenti nucleari che avevano bisogno, in America come in Russia, in Francia come in Gran Bretagna e in Cina, di centrali nucleari per produrre la materia prima che accese il sole mortale a Hiroshima e Nagasaki. La paura e la voglia del nucleare di troppi paesi sono figli di quella bomba che terrorizzò e bruciò la gente di Hiroshima. Se è vero che i bombardamenti sui civili non li hanno inventati gli americani, è anche vero che nessuno di questi bombardamenti ha mietuto tante vittime come i bombardamenti americani in Giappone nel 1945 che provocarono la morte di 300 mila- 900 mila persone condannando migliaia di altri civili ad un’agonia radioattiva che è durata per lunghi anni. Quella bomba atomica ha lasciato un’eredità che la distingue da tutti gli altri infiniti orrori della seconda guerra mondiale, ha creato un equilibrio del terrore che ha congelato il mondo per decenni. Doveva porre fine alla guerra con la guerra, quello che si chiama deterrente, e a 75 anni di distanza le guerre infiammano ancora il pianeta: anzi si può dire che dalla fine della seconda guerra mondiale fino ad oggi non vi è stato un solo giorno che non sia stato segnato da una guerra. Mai le armi hanno taciuto, provocando al contrario continui focolai di guerra accesi da contrasti economici principalmente e dalla sete di potere poi in un mondo in cui le organizzazioni mondiali faticano a metter fine ai conflitti tra i nazionalismi che, soprattutto in fasi critiche come quella che stiamo attraversando, cercano di sfruttare la situazione di estremo disagio in cui si trova l’umanità per accrescere il loro potere economico e militare. Qualcuno ha detto che la società umana, se non sarà distrutta da un conflitto mondiale, rischia di scomparire a causa di una epidemia diffusa. Quella che era un’amara considerazione di uno scienziato si sta rivelando un’ipotesi tutt’altro che irrealizzabile. La storia del nucleare nel mondo, è costellata da una miriade di incidenti che costituiscono la più importante conferma della sua pericolosità non solo per l’uomo ma per l’intero pianeta senza dimenticare che la proliferazione legale o illegale delle armi nucleari costituisce un oggettivo aumento del rischio atomico. Ma il pericolo per la salute dell’uomo e per l’ambiente legato alla radioattività non è solo da riportare agli incidenti: tra il 1945 e il 1991 sono stati effettuati 2024 esplosioni sperimentali, la maggior parte delle quali segrete. In tutti questi casi i primi ad essere esposti alle radiazioni sono i militari impegnati nelle operazioni, oltre naturalmente ai civili che, a loro insaputa, sono stati raggiunti dalle radiazioni. In questi anni sono centinaia gli incidenti nucleari – piccoli o grandi –che si sono verificati di cui alcuni solamente portati a conoscenza dell’opinione pubblica. Tra essi vanno annoverati per gravità l’incidente di Three Mile Island che si verificò negli USA il 28 marzo 1979. Esso provocò la parziale fusione del nocciolo avvenuto nella centrale nucleare nell’omonima isola in Pennsylvania. Ancora oggi l’impianto resta sotto monitoraggio, in attesa delle future azioni di smantellamento che è stato pianificato per il 2034, anni in cui ci sarà l’arresto definitivo dell’altra unità ancora in funzione.

 

CHERNOBYL – Cronaca di un disastro annunciato

Trentaquattro anni fa – il 26 aprile 1986 – il reattore n. 4 della centrale nucleare di Chernobyl, a circa 100 Km dalla capitale Kiev esplose durante un test di sicurezza. Fu il più grande incidente mai verificatosi in una centrale nucleare, classificato come catastrofico. Nell’area vivevano dieci milioni di persone di cui 2 milioni di bambini. Milioni di cittadini non furono informati di questo incidente per cui non fu cancellata la parata del primo maggio e migliaia di persone si riversarono per le strade di Kiev mentre una sottile nuvola di fumi spargeva veleni per le strade di Kiev. Passarono giorni prima che il governo sovietico svelasse cos’era realmente accaduto. Il reattore bruciò per dieci giorni rilasciando nell’atmosfera elementi radioattivi che contaminarono tre quarti dell’Europa. La Svezia fu la prima a lanciare l’allarme dopo che gli scienziati avevano rilevato il 28 aprile un picco dei livelli di radiazione. Anche il Segretario Generale del PCUS M. Gorbaciov ne parlò ufficialmente solo il 14 maggio. Quasi 350 mila persone che vivevano in un raggio di 30 km dall’impianto furono evacuati e circa 600 mila cittadini sovietici – che divennero noti come “liquidatori” – furono inviati con poca o nessuna attrezzatura protettiva- per costruire un sarcofago in cemento capace di contenere il reattore danneggiato. Solo due anni dopo il popolo sovietico venne a sapere che l’incidente era stato un disastro annunciato perché non furono soltanto gli errori umani e l’incompetenza dei tecnici impiegati nella centrale a causare l’esplosione in quanto il reattore era stato progettato in maniera “difettosa”. E il Cremlino lo sapeva. I “liquidatori” incaricati di eliminare le conseguenze dell’incidente – 600 mila persone esposte per anni alle radiazioni – non venivano controllate da medici esperti per cui non esistono statistiche affidabili sulla loro mortalità: da uno studio effettuato dall’Agenzia delle N.U. fino a 4000 decessi possono essere imputati alle radiazioni assorbite in diversi anni. Spinta dai venti, la nube radioattiva contaminò inoltre una superficie di oltre 200 mila kmq. (pari a circa due terzi dell’Italia), abitata da 5 milioni di persone per cui possibilmente si parla di 9 mila vittime, tenendo conto della vasta area in cui si era diffusa la pioggia radioattiva. In realtà, il numero delle vittime di Chernobyl potrebbe rivelarsi impossibile. L’insorgenza dei tumori dipende da molti fattori: quel che sappiamo è che la radioattività è un potente agente cancerogeno e che le vittime potrebbero essere migliaia, forse decine di migliaia ma, quale che sia il conto dei morti, molte altre sono le sofferenze causate dalla tragedia. Non tiene conto né dei 300 mila evacuati, intere famiglie, vecchi e bambini, costretti ad abbandonare le loro cose, né dell’agonia dei sopravvissuti che si chiedono ancora oggi se un giorno si ammaleranno, perdendo così la speranza nel futuro. Oggi Chernobyl è un luogo spettrale. Intorno al reattore è stata creata una zona di esclusione di 30 km di raggio destinata a rimanere disabitata per secoli anche se, alcuni anziani che hanno vissuto sempre in quei luoghi, ritornano nelle loro case diroccate per attendere lì la fine dei loro giorni. Qui le radiazioni impregnano i muri delle case abbandonate, i terreni che non possono essere coltivati e le acque che non si possono bere. Nel 1986 il reattore fu sepolto sotto un sarcofago di cemento, che è costato la vita di centinaia di operai, destinato a controllare quel che resta del nocciolo in attesa che, fra qualche secolo, forse la radioattività scenda al di sotto dei limiti di sicurezza. Purtroppo, dopo solo trent’anni nel 2016 è stato necessario che la struttura, ormai danneggiata, fosse ricoperta da un nuovo sarcofago costato un miliardo e mezzo di euro. E’ progettato per durare altri cento anni, dopo di che si dovrà costruire un terzo sarcofago “come una gigantesca matriosca nucleare”.

LA TRAGEDIA DI FUKUSHIMA

L’11 marzo 2011 uno tsunami colpiva la centrale nucleare giapponese causando l’incidente più disastroso dopo Chernobyl. Alle ore 14:16 locali, al largo delle coste nord-orientali del Giappone la terra a 30 Km di profondità trema: una scossa di magnitudo 9, in base alla scala Mercalli, che fa innalzare le acque sovrastanti fino a generare uno tsunami con onde più alte di 10 metri (fino a 40 raccontano le cronache). Le onde dello tsunami viaggiano abbattendosi sulla costa provocando la morte di circa 15.700 persone oltre 4.600 dispersi, 130 mila gli sfollati, 332 mila gli edifici distrutti, migliaia di strade e decine di ponti e ferrovie distrutte dalla forza dell’acqua. Ma il peggio è ancora da venire. Le onde arrivano ad investire anche la centrale nucleare di Fukushima superando le barriere protettive alte oltre 5 metri. Durante il terremoto i reattori ad acqua bollente hanno smesso di funzionare, in base al meccanismo di sicurezza posto in essere automaticamente ma rimaneva il problema di smaltire le enormi quantità di scorie residue prodotte dalla fusione. Questo smaltimento avvenne grazie ad un sistema di raffreddamento ad acqua che, però, in seguito al maremoto, smette di funzionare provocando il surriscaldamento dell’acqua con la conseguente produzione di enormi quantità di vapore ed idrogeno ed aumento della pressione che costringe i tecnici a far fuoriuscire una parte del vapore determinato dalla fusione dei noccioli 1,2 e 3 della centrale ed il rilascio nell’atmosfera e nel mare di iodio, cesio e cobalto radioattivi. A nove anni ormai dall’incidente, stando alle ultime stime, nelle aree aperte i livelli di radiazioni sarebbero altissimi da 5 a 100 volte più alti del limite massimo raccomandato: essi rimarranno tali per decenni costituendo un significativo rischio per la popolazione. Secondo uno studio USA ci sarebbero enormi accumuli di materiale radioattivo, in particolare cesio radioattivo intrappolato nelle sabbie e nelle acque sotterranee fino a 96 Km di distanza dalle coste giapponesi, anche se come riferito dai ricercatori “nessuno è esposto a queste acque e, quindi, non è un problema di primaria importanza per la salute pubblica”. Ma i tecnici giapponesi della società che gestisce la centrale nucleare hanno dichiarato che fino al 2022 sarà ancora possibile stoccare nelle riserve della centrale più di un milione di tonnellate di acque contaminate. Ma a partire dal 2022 l’unica soluzione possibile sarà quella di versarla nel mare. Le conseguenze oltre che ambientali riguarderebbero tutti gli altri paesi vicini in quanto la contaminazione riguarderebbe tutte le acque del Mar di Cina, provocando un disastro ambientale di inimmaginabile gravità.

UN FUTURO SENZA NUCLEARE

Il 5 marzo scorso è stato il 50esimo anniversario del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (Npt). L’anniversario poteva costituire un’occasione unica per educare le persone sulle catastrofiche conseguenze umanitarie delle armi nucleari per cui una nuova iniziativa è stata presa dagli organismi delle N.U. per sottoscrivere un nuovo trattato di divieto di possesso e di gestione delle armi nucleari che possa rafforzare l’Npt, messo in discussione unilateralmente dal Presidente Usa, Donald Trump. Nel 1970 l’arsenale atomico mondiale contava più di 38mila testate nucleari e, dopo un picco di 69.440 ordigni nucleari toccato nel 1986 a causa della politica di deterrenza reciproca, è cominciato a calare raggiungendo l’attuale quota di circa 28 mila testate nucleari senza contare che a partire dal 2000 è aumentato il numero dei paesi in possesso di testate nucleari o, comunque, capaci di costruire ordigni di distruzione di massa come Israele, India, Pakistan, Iran e Corea del Nord. Recentemente anche l’Arabia Saudita è entrata a far parte della famiglia dei paesi nucleari, accrescendo enormemente il rischio di una scheggia impazzita che potrebbe innescare un conflitto nucleare che potrebbe determinare la fine di ogni forma di vita sul nostro pianeta. Le grandi potenze, purtroppo, continuano a tendere i muscoli: una nuova corsa agli armamenti è già iniziata. Nell’agosto dell’anno scorso gli USA si sono ritirati unilateralmente dal Trattato INF che riguarda l’uso dei missili nucleari a corto e medio raggio, acuendo il rischio di un conflitto mondiale ed è possibile che gli USA e la Russia non confermeranno il trattato sulla riduzione delle armi nucleari strategiche, quando scadrà nel gennaio del 2021, a meno che non cambi la politica portata avanti dall’attuale governo russo. La Russia dichiara di avere ben diritto di utilizzare il proprio arsenale difensivo, compreso l’uso di armi nucleari contro il dominio detenuto dagli USA e dalla Nato. Non è un caso che in questo ultimo decennio sono entrati a far parte della Nato, sotto pressione USA, diversi paesi dell’Europa Centrale, anche membri dell’UE da cui potrebbero partire missili atomici verso la vicina Russia. Da parte sua – secondo il Pentagono – in un documento del febbraio 2018, l’opzione nucleare è stata prevista anche contro “gli attacchi strategici significativi” non nucleari, compresi i terroristi e le armi biologiche e chimiche. Solo la Cina fino ad oggi ha assunto l’impegno di non ricorrere per primi all’impiego delle armi nucleari. La conferenza di revisione dell’Npt che si doveva tenere nel marzo scorso, causa la pandemia in atto, è stata rinviata a gennaio 2021. C’è in gioco l’adozione di un nuovo Trattato sulla produzione delle armi nucleari (TPAN) attualmente in corso di ratificazione in vista della sua entrata in vigore (già 37 Stati sui 50 necessari lo hanno ratificato). Questo ritardo, non previsto, potrebbe permettere di giungere al numero di 50 ratifiche necessarie per mettere al bando l’uso del nucleare. Questo accordo colmerebbe un’importante lacuna nel diritto internazionale “vietando ai paesi di sviluppare, testare, produrre, fabbricare, trasferire, possedere e immagazzinare, minacciare di usare armi nucleari o consentire lo spostamento di armi nucleari nei territori”: la prospettiva è interessante. Essa potrebbe essere fatta propria da un movimento pacifista a livello mondiale. La Svezia, la Germania e tredici altri Stati hanno recentemente lanciato un appello pressante rivolto agli Stati del “club nucleare”. Inoltre, un appello del Parlamento Europeo potrebbe essere lanciato ai paesi dell’UE che sottoscrivere il Trattato, costituirebbe un’iniziativa molto interessante in vista della Conferenza prevista per il gennaio 2021. Papa Francesco ha dichiarato che “è da condannare con fermezza la minaccia dell’uso delle armi nucleari nonché il loro stesso possesso” ma oltre alla sua determinazione, occorre ancora che tutti noi, credenti e non credenti, che la pace, il disarmo e la giustizia sociale possano ancora risanare il pianeta malato. Per quanto riguarda l’uso del nucleare nel campo civile bisogna tener conto che spesso l’energia atomica è relativamente pulita e accessibile mentre le fonti rinnovabili sono limitate, costose e a volte inaffidabili per cui è necessario abbattere i costi delle fonti rinnovabili per poter disincentivare l’uso del nucleare. I disastri di Chernobyl prima e Fukushima poi hanno convinto molti paesi a mettere fine alla costruzione di nuove centrali fissando il 2030 come termine ultimo per disattivare quelle ancora in funzione mentre l’Italia ha deciso di fare a meno dell’energia nucleare anche se poi si appoggia ad altri paesi, come la Francia, per acquistare l’elettricità prodotta con i reattori nucleari in funzione in altri paesi come, ad esempio, i paesi dell’ex blocco sovietico  (come la Repubblica Ceca, la Polonia e la Slovacchia) o come la Slovenia dopo il disfacimento della Jugoslavia. Ma il declino delle centrali atomiche è ben visibile. Tra il 1970 e il 1990 sono entrate in funzione circa 17 centrali ogni anno; dal 1999 meno di due centrali all’anno. Nonostante una sensibile ripresa della domanda elettrica, si bloccano gli ordinativi di nuove centrali, mentre cala il numero di quelle in esercizio, scese in venti anni nell’UE di 34 unità: da 177 a 143. Il declino delle centrali si traduce nel declino dell’offerta elettrica che è passata dal 6% del 2000 al 2% nel 2010. Inoltre, il nucleare soffre sempre più la concorrenza delle fonti rinnovabili. Nel 2009 gli impianti eolici hanno prodotto una quantità di elettricità superiore a quella delle centrali atomiche entrate in funzione nello stesso anno, mentre il Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti ritiene che per gli impianti che entrassero in funzione dal 2020 il nucleare sarà una soluzione più costosa dell’eolico. C’è dunque una lunga battaglia da combattere innanzitutto per abbandonare definitivamente il nucleare nel campo civile, incrementando le fonti di energia pulita, per abbatterne i costi. Ma anche se non si raggiungesse la quantità desiderata, bisogna sforzarsi di dare impulso ad una nuova forma di economia che porti innanzitutto alla riduzione dei consumi e ad un uso razionale delle risorse disponibili a livello mondiale per garantire a tutta la popolazione mondiale di poter far uso di queste risorse materiali senza distruggerle. E’ un impegno collettivo questo di cui non si può far carico un solo paese, anche se fosse delle dimensioni della Cina o degli Usa. E’ una battaglia che coinvolge tutto il mondo se vogliamo salvare il futuro del nostro pianeta. Una battaglia che ci obbliga a riprendere la strada delle grandi manifestazioni di piazza contro i padroni del mondo. Una battaglia che idealmente si collega alle grandi battaglie combattute dalle generazioni passate per rivendicare la fine di ogni discriminazione economica e sociale. I nostri problemi oggi sono problemi globali per cui è necessario combattere quelle tendenze che non vedono l’ora di trascinarci ancora una volta nel vicolo cieco del nazionalismo, alimentando così l’illusione che la difesa del nostro benessere possa essere assicurata dalle guerre e dallo sfruttamento di altri esseri umani, come ancora oggi avviene. Siamo ad una svolta importante della storia umana, l’Homo Sapiens in poche migliaia di anni è diventato capace di dominare le forze della natura, di vincere le malattie ma socialmente non è stato ancora capace di eliminare le discriminazioni sociali, a partire da quelle economiche e quelle sanitarie che spesso finiscono per creare nuovi conflitti. E’ lo stesso Homo Sapiens che oggi potrebbe spegnere ogni prospettiva di benessere e di sviluppo in pochi istanti. E’ dovere di ognuno di averne coscienza. E’ ora che si metta fine a questa fase storica per costruire una società forte e solidale dove la ricerca del benessere collettivo sia l’unica bussola capace di guidare il cammino dell’umanità nei prossimi decenni.

18/08/2020

Per non dimenticare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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