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Parte 3° – MARCIA INDIETRO

Il raid americano che ha portato all’uccisione di Qassem Soleimani, è stata “una decisione USA e non della Nato” dichiara il segretario generale dell’Alleanza Atlantica a margine della riunione di emergenza degli ambasciatori della Nato che si è tenuta a Bruxelles il 6 u.s. per discutere della crisi tra USA e Iran: “Un nuovo conflitto non sarebbe nell’interesse di nessuno” ha dichiarato Stoltemberg, invitando la repubblica islamica “a evitare violenze e provocazioni”. Apparentemente una dichiarazione che esclude, per il momento, alcun intervento da parte dell’Alleanza ma non può dirsi proprio una dichiarazione equidistante perché, pur ribadendo quello che non si può negare, di fatto invita l’Iran a porre in essere azioni di rappresaglia nei confronti del paese che si è macchiato di un crimine politico. Segno che, malgrado tutto, un attacco agli USA potrebbe giustificare un intervento anche della Nato. Sul fronte europeo la presidente della Commissione UE ha annunciato una riunione dei Commissari mentre venerdì è previsto un incontro dei ministri degli Esteri dell’UE. Le reazioni scatenate dall’uccisione di Soleimani, mettono in discussione la presenza americana in Iraq. E’ lo stesso Trump a riconoscerlo anche aggiungendo che “questo non è il momento giusto”. Anche perché una ritirata adesso sembrerebbe dettata dalla paura di attacchi iraniani. Ma non si placano le polemiche all’interno degli Stati Uniti non solo sulla legalità di quella esecuzione che è stata ormai riconosciuta come una vera e propria ammissione di guerra dalla maggior parte degli osservatori politici, anche e soprattutto all’interno degli USA, per cui Trump è stato costretto a rimangiarsi anche la sua minaccia di bombardare, in caso di attacco iraniano delle basi americane, i siti culturali dell’Iran che sarebbe un’ennesima violazione di norme internazionali. Non è l’unico marcia indietro ma la confusione è diffusa tra gli alleati che non erano stati informati dell’attentato ma anche ai vertici del Pentagono costretti a ridimensionare il caso di una lettera ufficiosa- come scrive La Repubblica dell’8 c.m. – dove si annunciava il ritiro dei soldati americani da Bagdad. “E’ stato un errore, quella lettera era una bozza non firmata”, hanno dichiarato sia Mark Esper, segretario della difesa che Mark Miller, Capo di Stato maggiore. Ad aumentare la confusione ancora una volta sono le dichiarazioni estemporanee dello stesso Trump. “Se noi ce ne andiamo – ha detto il presidente – è la cosa peggiore che possa accadere al popolo iracheno. Verrebbero consegnati all’influenza dell’Iran. Ma molti non lo vogliono. Ma è chiaro che un giorno finiremo per andarcene”. Dichiarazione, dunque, che non esclude la decisione di restare nell’Iraq senza scadenza fissa e soprattutto di volerci restare per limitare l’influenza iraniana in Iraq. Troppo tardi, ormai, in quanto proprio la politica estera degli USA in quella martoriata regione ha provocato il rafforzamento di questa influenza che si allarga ormai anche al Libano e alla Siria. In realtà, Trump, con l’arroganza che ha sempre contraddistinto la sua politica, si rende conto di essersi cacciato in un brutto vespaio dal quale non sa effettivamente come uscire. Questa sensazione di incertezza è palpabile: in effetti “alleati o nemici non sanno più quali sono le reali intenzioni dell’America” scrive ancora La Repubblica. Sta di fatto che gli alleati si sono affrettati a spostare i propri contingenti militari in luoghi più sicuri come hanno fatto Germania e Canada mentre una cinquantina di carabinieri italiani sono stati spostati dalla base americana di Bagdad. Giusto in tempo, perché l’Iran proprio nella giornata di ieri ha lanciato un attacco missilistico in Iraq contro due basi americane che ospitano le truppe americane e quelle della coalizione, tra cui militari italiani. Senza, comunque, fare vittime. In effetti, come hanno scritto alcuni osservatori, si è trattato solo di un avvertimento che non voleva fare vittime ma mostrare che l’Iran è in grado di colpire le basi americane poste nel territorio iracheno.

10.01.2020

Parte 3. MARCIA INDIETRO

 

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