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PANDEMIA e DISOCCUPAZIONE

Era ancora la fine del 2020 che Gentiloni metteva in guarda l’UE, ma in particolare il nostro paese, da facili ottimismi. “La pandemia potrebbe durare più a lungo, e in questo caso, nel 2021 occorreranno misure di contenimento più stringenti e prolungate con crescita più bassa e disoccupazione più elevata” (La Repubblica del 6.11.2020). Più che giustificate oggi le richieste da parte del sindacato di prolungare il blocco dei licenziamenti almeno fino alla fine di settembre. Se la proposta, su cui si sta discutendo in questi giorni tra le parti sociali fosse respinta, dal 1° luglio le industrie potranno tornare a licenziare con 500mila posti di lavoro a rischio che rappresentano un forte problema sociale se sommato al milione di persone, soprattutto giovani a cui non sono stati rinnovati i contratti e donne che hanno perso il posto di lavoro per dedicarsi alla famiglia. Certo, anche se il blocco potesse restare per le imprese a rischio, l’industria italiana a gran voce chiede che venga tolto il veto riconoscendo al capitale la libertà di andarsi ad investire nei settori che generano un profitto maggiore. Su questi aspetti ha fatto sentire la sua voce anche il premio Nobel 2001 per l’economia Joseph Stiglitz che, in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica del 1°.6 u.s. lancia un monito “il sistema di Welfare è un disastro e porta la colpa di tanti morti” ribadendo che “l’egoismo dei ricchi va contenuto con una più giusta tassazione e che lo Stato deve difendere la collettività” aggiungendo che “la fame di profitto può prolungare la pandemia” e che i sussidi hanno cercato di limitare le conseguenze della disoccupazione ma essi non dureranno a lungo perché “un lavoro è sempre un lavoro”. In realtà si ritorna a ragionare in termini di contrapposizione tra profitto e occupazione. Per il grande capitale è importante produrre di più a prezzi bloccati – e tra essi ci sono innanzitutto i salari degli operai – per cui, se non può abbassare la soglia salariale si va alla ricerca di formule che possono diminuire il numero degli addetti. In altre parole si tratta, come spiegava Draghi qualche giorno fa, di aumentare il tasso della produttività. Ora, se Draghi e compagni ritengono che bisogna dare libero corso alla ripresa economica, non si può chiedere agli operai di sostenere i costi di questa ripresa per ingrassare i profitti. C’è bisogno di una moderazione da parte del grande capitale nella ricerca di profitti perché una crisi sociale potrebbe bloccare proprio la ripresa produttiva per cui è necessario che lo Stato intervenga a difesa proprio del tenore di vita della gran massa dei lavoratori sia con una politica fiscale che vada a coprire le grandi rendite e i profitti ma anche utilizzare i fondi del Recovery Fund per tutelare ed allargare la base produttiva senza concessioni ulteriori all’industria già gratificata dagli aiuti profusi in questi lunghi mesi della pandemia. La tenuta del Governo sarà messa a dura prova anche dalle scelte che esso saprà assumere per tutelare soprattutto il diritto dei lavoratori, a partire dalle fasce meno garantite. Episodi di queste ultime settimane mostrano come ci sia già un conflitto in atto tra i lavoratori e certi settori industriali pronti a liberarsi di quegli addetti che non sono disposti a subire il peso della crisi economica e soprattutto a fare le spese della ripresa economica.

Giugno 2021

Pandemia e disoccupazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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