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L’UE e i BALCANI: il summit di Trieste

E’ ancora molto forte nei Balcani il risentimento nei confronti dell’UE accusata spesso di intervenire nella regione solo al fine di riportare la stabilità quando essa viene a mancare, senza però occuparsi di promuovere in generale il corretto funzionamento democratico delle istituzioni locali. Sul piano economico, i paesi balcanici in generale lamentano anche la scarsità degli investimenti europei che costituiscono la chiave di volta per sviluppare e modernizzare il tessuto economico di questi paesi. In effetti l’economia della regione è ancora debole mentre solo due dei progetti infrastrutturali previsti dal processo di Berlino sono stati avviati. Di qui l’obiettivo lanciato da alcuni paesi, in primis la Germania, di tenere aperta la porta ad un dibattito sull’allargamento europeo verso i Balcani Occidentali tramite una serie di incontri programmati per portare a maturare quelle condizioni che consentono l’adesione formale di questi sei paesi all’UE. Si tratta della Serbia, del Kosovo, dell’Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro e l’ex repubblica jugoslava di Macedonia. Si tratta di un progetto ispirato dall’azione diplomatica della Germania, lanciato nel 2014 che prende il nome di “Processo di Berlino” che ha visto il coinvolgimento di sette Stati membri dell’UE: oltre alla Germania, l’Italia, la Francia, l’Austria, la Slovenia, la Croazia e strano a dirsi, la Gran Bretagna. Si tratta di un progetto che senza volersi sostituire al processo di adesione in corso che istituzionalmente è seguito dalla Commissione, intende agevolarlo, favorendo un dialogo tra le parti e promuovendo la modernizzazione delle infrastrutture economiche e lavorando a processi che portano ad una valorizzazione del principio democratico nelle istituzioni statali. Ma non mancano fattori che rallentano questo processo di allargamento perché i Balcani sono ancora spesso teatro di instabilità politica e di dispute territoriali. Ancora nello scorso settembre la “Republika Srpska“ che fa parte della Bosnia-Erzegovina ma che ha un proprio governo autonomo, parlamento e sistema giudiziario, ha lanciato un referendum malgrado la Corte Costituzionale bosniaca avesse dichiarato illegale il voto perché discriminava altre minoranze.                                         Il referendum è stato portato avanti, contribuendo dunque all’instabilità politica del paese. In effetti, questa repubblica è frutto della divisione della Bosnia tra i due gruppi etnici più forti: quello bosniaco di religione mussulmana, maggioritario e la minoranza serba che è andato a costituire questa enclave autonoma. Un’anomalia simile a quella del Kosovo che fu la scintilla che contribuì al crollo della ex Jugoslavia. Uno stato, quello del Kosovo, oggi autonomo ma che la Serbia considera ancora una soluzione provvisoria. Ne sono conferma i pannelli che abbiamo visto innanzi al Parlamento serbo, in un recente viaggio, nei quali si accusa i criminali albanesi (si tratta dei kosovari) di aver massacrato centinaia di serbi per cui la vicenda non può dirsi ancora chiusa. Ecco, se si vuole pervenire ad un allargamento dell’UE a questi paesi, è necessaria un’operazione politica che porti al superamento delle diffidenze che pongono un grosso limite ad una reale pacificazione della regione. Ancora, fino ad oggi la Grecia si è sempre opposta all’allargamento dell’UE alla ex repubblica jugoslava di Macedonia. E per finire, non bisogna dimenticare che, mentre l’UE discute, le altre potenze non stanno certo a guardare. Sembra impossibile che il Montenegro – che alcuni anni fa si liberò della tutela serba—e per diversi decenni vicina alla Russia che ancora oggi è il suo partner economico più importante, rappresentando il 30% degli investimenti stranieri, nel maggio di quest’anno sia diventato il 29° stato membro dell’Alleanza Atlantica. La adesione alla NATO è una garanzia di stabilità e sicurezza per il Paese anche se il Cremlino si è opposto apertamente all’adesione, definendola una “provocazione” contro la Russia. Ma, accanto a questi problemi specifici dell’area non dimentichiamo che l’UE, attraverso le sue istituzioni, si è mostrata scettica su questa ipotesi di allargamento. All’inizio del suo mandato, il presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, ha dichiarato che per i prossimi cinque anni non ci sarebbero stati mai allargamenti dell’Unione Europea. Questa posizione non fa che accrescere la disaffezione verso la prospettiva europea da parte dei cittadini dei sei paesi della regione per cui nel vertice che si è tenuto ultimamente in luglio a Trieste si è discusso della necessità di accelerare il processo di europeizzazione dell’area anche attraverso l’accordo centro-europeo di libero mercato, tappa intermedia verso la integrazione comunitaria. Questo accordo potrebbe avere un’influenza positiva anche nel superamento delle barriere etniche- tuttora esistenti – che costituisce una delle sfide più importanti per riportare stabilità nella regione, per rafforzare le democrazie ancora deboli, per attuare il principio dello stato di diritto e per contrastare tutti i tentativi di potenze estere di destabilizzare gli Stati della regione. Come ha scritto giustamente Jens Woelk, professore associato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trieste su A. I. “Lo Stato di diritto funzionante non è soltanto fondamentale per la libertà e per il funzionamento di un sistema democratico: una giustizia funzionante ed una libera stampa sono presupposti necessari per i diritti dei cittadini ma anche per lo sviluppo economico” aggiungendo che “l’obiettivo  non può essere soltanto l’adesione all’UE ma deve essere quello di sostenibilità e stabilità con sistemi democratici per i propri cittadini e per favorire lo sviluppo economico e sociale”. Per raggiungere tale stabilità a lungo termine, l’Ue deve insistere nel completamento della transizione democratica rafforzando la società civile come contrappeso al leaderismo e aiutando gli Stati ad evitare la tentazione di seguire il modello russo di un sistema autoritario”. Allo stato attuale i Balcani sono ancora una polveriera pronta ad esplodere se non si è disposti a fare i conti col passato, un passato recente al quale ha contribuito anche l’azione dell’UE per cui è essenziale che l’intervento oggi dell’UE non può essere semplicemente quello di favorire l’ingresso di questi paesi nell’UE ma aiutarli sia sotto il profilo economico che sotto il profilo politico a costruire le premesse per una stabilità a lungo termine, come si accennava sopra. I tempi di questa prospettiva dipenderanno dunque innanzitutto dalla collaborazione che l’UE offrirà a questi paesi per ritrovare un destino comune, che passa attraverso una maggiore comprensione reciproca. I conflitti esterni non sono superabili se non attraverso una concertazione continua. In questo quadro incontri intergovernativi ciclici, come quelli proposti da questo gruppo di lavoro del Processo di Berlino, possono essere l’occasione per la formulazione di politiche cruciali per l’integrazione comune, il miglioramento delle infrastrutture, la lotta alla corruzione e alla disoccupazione. Il vertice di Trieste non ha prodotto molti risultati apprezzabili. I paesi balcanici non hanno bisogno solo di un intervento economico per migliorare le loro infrastrutture ma di un sostegno di lungo periodo anche per riprendersi la loro anima, per ritrovare un’identità che è stata persa con il disfacimento della ex Jugoslavia. Coscienza dunque, di appartenere alla UE, far parte di un sistema integrato politico economico nel quale riconoscersi, abbandonando ogni mira nazionalista. Una identità che certamente oggi l’UE non riesce a dare, per la quale non può fornire garanzie, tenuto conto dei problemi che dovrà risolvere nei prossimi mesi, per quanto riguarda sia l’immigrazione sia per superare il populismo diffuso. Di questa difficoltà è conferma la decisione proprio presa a Trieste di affidare a Londra la presidenza 2018 del Processo di Berlino sui Balcani. “Molti dubitano – scrive Francesca Voce su “Affari internazionali del 5.8 “– dell’efficacia e della legittimità di un processo di allargamento dell’Ue verso Est portato avanti da uno Stato divenuto ormai un simbolo del possibile fallimento del processo d’integrazione europea”. Certamente sconcerta questa decisione anche sulla base della considerazione che il ministro degli Esteri della Gran Bretagna ha annunciato che la presidenza inglese si occuperà soprattutto di implementare la sicurezza della zona. Il che contrasta con il progetto dell’UE di rilanciare, dopo le elezioni tedesche del 24 settembre, la cooperazione tra i 27 paesi nell’ambito della sicurezza comune. Progetto al quale si è sempre opposta la Gran Bretagna nel corso di questi anni per cui davvero stridente appare questo aspetto che non sfuggirà neppure ai paesi balcanici. Insomma, sembra proprio che l’UE non avrà molto da offrire ai paesi balcanici, limitandosi a rinviare a tempi migliori l’adesione formale ma senza che vi sia un lavoro di preparazione a questo obiettivo finale. Non può essere messo in discussione che quello lanciato dal gruppo dei 7 paesi sia un progetto serio e largamente condiviso, malgrado i limiti dell’azione europea. Nei prossimi mesi – anche alla luce delle elezioni tedesche – vedremo se questo progetto possa contare su una più forte cooperazione europea. I Balcani fanno parte della storia di questo continente, nel bene e nel male, per cui non si può ignorare che l’allargamento dell’UE servirà a rafforzare il progetto europeo e sviluppare le energie dei popoli di questa regione per la costruzione di un futuro di superamento dei nazionalismi e di costruzione di una società democratica e pluralista.

Settembre 2017

(Avv. E. Oropallo)

L UE e i BALCANI, il Summit di Trieste

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