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L’IGNORANZA AL POTERE

Negli anni della contestazione – il mitico ‘68 – gli studenti scendevano in piazza con una richiesta che davvero lasciava perplessi: la fantasia al potere. Per chi non avesse compreso, e nessuno allora lo comprendeva, i giovani per una volta chiedevano con ironia ai propri Governi di lasciar da parte gli schemi tradizionali del potere dando la parola anche a chi da quelle stanze era lontano per un cambiamento radicale della politica. Ebbene, tutti sappiamo come finì la vicenda: chi aveva lottato per il cambiamento, si trovò la strada sbarrata dalla chimera del riformismo. Per dirla con le parole dello scrittore (Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo Il Gattopardo) ”bisogna cambiare tutto per non cambiare niente”. Gli anni che seguirono, dopo le ultime fiammate di un ribellismo senza storia, generò una classe politica che, sull’onda di un miracolo economico pagato soprattutto dai ceti sociali più deboli, diede ingresso ad una corruttela politica sfacciata che fu travolta in pochi giorni da una semplice manovra giudiziaria, aprendo le porte ad un’epoca che a parole dichiarava di ispirarsi al principio di legalità ma che, in realtà, aprì la strada al periodo più buio di questa Repubblica, affondando nella melma del nepotismo e del consociativismo più becero. E fu l’epoca d’oro di Berlusconi e della sua ciurma. Purtroppo, fu proprio a causa di mancanza di programma e di una dissennata politica liberista, generosa soprattutto verso le industrie che furono ampiamente sovvenzionate da aiuti di Stato e di investimenti sbagliati, ma segnata anche da scandali personali del premier del governo, che lo stesso dovette passare in mano ai soloni del potere economico, novelli salvatori della patria che fecero largo, dopo una breve parentesi, ai nuovi giovani della politica che scesero in campo per sgominare il vecchio potere. Mai fu combattuta battaglia più cacofonica dei nuovi arrivati. Guerra per bande, direbbe qualcuno. In un articolo comparso sull’Espresso del 24 settembre scorso, forse non a caso poco letto o oscurato dalla rete, l’autore Raffaele Simone ricorda che “nel governo Gentiloni più di un ministero è presidiato da non laureati e non laureate: istruzione e salute, lavoro e giustizia….La legislatura attuale – continua l’articolo – ha una percentuale di laureati tra le più basse della storia …di poco sopra il 68 percento, un dato che mette tristezza a confronto col 91 per cento del primo Parlamento repubblicano”. Ma questo panorama riflette la situazione in genere dello stato dell’istruzione in Italia. “I laureati sono pochi non solo nel ceto politico ma nel paese, in calo perfino rispetto a quelli del 2000. L’obiettivo della riforma, che era quello di aumentare il tasso di laureati è mancato”. Certo questa fuga dall’Università è dovuta sostanzialmente a due fattori: la prima di natura economica in quanto è diventato sempre più costoso per le famiglie italiane mantenere un figlio all’Università. Ma c’è un secondo motivo molto più forte che dovrebbe far riflettere su questo fenomeno. In effetti, secondo le statistiche europee noi siamo tra gli ultimi paesi per percentuale di laureati e questo perché si investe sempre meno nell’istruzione ma anche perchè il titolo di studio superiore non garantisce più un agevole ingresso nel mondo del lavoro. Anzi, al contrario, può oggi costituire un ostacolo anche perché il lavoro che si offre ai giovani che escono oggi dalle Università sono spesso sottopagati, costretti ad accettare lavori (ad es. nei call-center) dove la loro professionalità viene svilita e ciò spiega perché siano sempre di più i giovani che decidono di abbandonare l’Italia. Fenomeno che creerà grossi problemi nel futuro di questo paese quando ci sarà bisogno di una nuova generazione di professionisti, ad es. nel settore della sanità per cui saremo costretti a importare laureati dal resto del mondo. Ma torniamo ad occuparci dell’ignoranza dei nostri governanti: sembra che questa realtà rispecchi quanto scriveva (nel 1919) Max Weber nel saggio Politica come professione: “lo Stato moderno, creato dalla Rivoluzione, mette il potere nelle mani di dilettanti assoluti”. “Gli incompetenti si sono procurati ulteriore spazio– commenta l’Espresso – sfruttando senza ritegno il tormentone del rinnovamento generazionale”. “Largo ai giovani”, ha sintetizzato l’ex premier Renzi circondandosi di una schiera di ministri senza esperienza politica. “Essere giovani in politica è ormai un titolo di merito di per sé…anche se la giovinezza garantisce con sicurezza assoluta una cosa: l’inesperienza, altra faccia dell’incompetenza”. “Nel 2008 la ministra Madia, eletta in Parlamento a 26 anni, non ancora laureata, non aveva difficoltà ad ammettere che l’unica cosa che portava in dote era la sua inesperienza”.  Ma se i giovani del PD non hanno alcun ritegno a nascondere la loro inesperienza  ( e incompetenza), va ricordato che nel passato ventennio berlusconiano il partito del presidente – a cominciare proprio da lui – ha infoltito allegramente il club degli ignoranti. Ricordiamo che il Cavaliere, all’epoca aveva espresso il desiderio di andare a conoscere Alcide il padre dei martiri della Resistenza morto trenta anni prima; che al vertice Nato di Pratica di Mare parlasse di “Romolo e Remolo”o che traducesse “tot capita, tot sententiae” con “tutto capita nelle sentenze”. Come un altro forzista che confondeva il Darfur con il “fast foud” (eh il Darfur…a noi italiani piace il buon mangiare). “Oggi c’è il grillino Di Maio il quale parla di Pinochet” – dittatore del Venezuela – laddove dovrebbe essere notorio, che si trattava del Cile mentre Di Battista, parlando di Napoleone, ricorda che combatté ad Auschwitz al posto di Austerlitz. In questa classifica i grillini sono i più numerosi, ma in realtà tutt’altro che soli. Accanto ai grillini possiamo collocare Salvini, quando dichiara che “migrante è gerundio quando migri sei un migrante” oppure la vistosa gaffe della ministra per l’istruzione Germini che, dopo la sensazionale scoperta dei neutrini, parla di un tunnel dalla Svizzera al Gran Sasso che suscitò una generale ilarità. Ma – per ritornare al presente – c’è poco da sorridere – se poi Giorgia Meloni racconta di essere tornata da un viaggio a Dublino in Scozia o chi, come il pentastellato Davide Trepiede – parlando alla Camera – annuncia di voler essere “breve e circonciso” cui risponde l’azzurro Simone Baldelli dal banco della presidenza che lo corregge sbagliando anche lui “coinciso, si dice” e il forzista Ignazio La Russa che chiama “Kazackistani” gli abitanti del Kazakistan. Per finire, anche Matteo Renzi può dirsi, a ragione, di far parte di questo club, quando osò dire a Junker “Hic manebimus optimus” al posto di “Hic manebimus optime” (trad. qui staremo benissimo) anche se poi  è  stato pronto a correggersi ma non abbastanza da evitare l’ironia della  rete  che così commenta: “dopo aver massacrato l’inglese e il francese ora se la prende con il latino che essendo morto non si può difendersi”. Potremmo continuare con le citazioni e gli sproloqui dei nostri rappresentanti politici, ma riteniamo che l’ampio campionario fornito sia sufficiente per dubitare fortemente  sulle capacità di questi giovani, che tra qualche giorno ci verranno a chiedere di votare per loro, a riprova della validità del motto di Andreotti “il potere logora solo chi non lo possiede”. Non è a caso che spesso l’Italia – malgrado la sua storia e la sua importanza geo-politica nell’ambito internazionale, riscuota scarsa considerazione nell’ambito UE grazie anche a questa allegra e squinternata schiera di incompetenti. Oggi l’UE teme per la tenuta della democrazia in Italia, teme per l’ingovernabilità del nostro paese ma bisogna chiedersi se questa classe politica meriti davvero un riconoscimento da parte dell’elettorato. Qualunque sarà il raggruppamento favorito dalle urne, resterà un problema di fondo da risolvere: quello del rinnovamento della classe politica e del cambiamento di rotta necessario per uscire dalla crisi. Una classe politica che combatte contro i fantasmi del passato, che non è capace di tener fede alle sue promesse (basti ricordare la mancata approvazione della legge sullo Jus soli) che non sa rispettare gli impegni assunti nell’UE, considerata ancora un corpo estraneo, non merita alcuna fiducia da parte dell’elettorato. In un’intervista concessa al giornale “La Repubblica” il 23 febbraio scorso, ad una domanda dell’intervistatore su come giudica la odierna politica, Andrea Camilleri risponde “….la politica ha perso la “P” maiuscola. Questa non è una campagna elettorale, è uno scambio di insulti e false promesse”. Siamo pienamente d’accordo con questa critica. Purtroppo, è un nodo che non può sciogliere però l’esito del voto.

Febbraio 2018

(Avv. E. Oropallo)

L.’ignoranza al potere

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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