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LE LORO LEGGI E LE NOSTRE

La vicenda della Sea Watch 3 ormai è giunta all’epilogo. Il GIP di Agrigento non ha ritenuto di convalidare l’arresto eseguito dalla GdF di Lampedusa e di contestuale applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Agrigento nei confronti della comandante Carola Rackete accusata del delitto di cui all’art. 1100 codice della navigazione ritenendo insussistente il reato e, quanto al reato di cui all’art. 337 c.p., facendo valere l’operatività della scriminante di cui all’art. 51 c.p.. ordinandone, dunque, la immediata scarcerazione. Crediamo che la vicenda meriti un accurato e sereno commento, peraltro sostenuto da schiere di validi giuristi, oltre ad illustrare gli episodi di cronaca che hanno procurato più di una preoccupazione per la violenza di certe affermazioni – soprattutto da parte degli organi di governo – irriguardosi della dignità della persona e di aperto contrasto con l’operato della Magistratura che ancora una volta ha dimostrato di non essere legata al carro governativo. Partiremo proprio da una rapida disamina di questo nuovo decreto sicurezza bis che ha modificato il decreto Salvini dell’ottobre scorso varato dal governo che già presentava numerosi profili di incostituzionalità. Come vedremo nel commento che ne fa la rivista on-line “Diritto penale contemporaneo” del 18.6 u.s. non è che tali dubbi siano scomparsi. “Pur senza entrare nel merito delle scelte politiche effettuate dal Governo – scrive la rivista – non passano inosservati alcuni profili di criticità. Anche questo nuovo intervento risulta ispirato da finalità tra loro eterogenee, tenute insieme soltanto da generici riferimenti all’ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica.  Ebbene, appare oggettivamente difficile sostenere che, rispetto alle menzionate generiche finalità di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, il Governo si trovasse nella necessità di adottare misure talmente urgenti da risultare incompatibili con il normale svolgimento dell’iter legislativo parlamentare.  Il decreto in esame appare dunque adottato in un contesto nel quale si fatica davvero a ravvisare gli indici fattuali di quel deficit di “sicurezza” e “ordine pubblico” che il preambolo individua quale ratio giustificatrice dell’intervento. Alla luce di quanto osservato, in conclusione, appare prospettabile una questione di legittimità costituzionale del decreto in esame per violazione dei requisiti di legittimità della decretazione d’urgenza fissati dall’art. 77 Cost.. Passando all’illustrazione dei contenuti del decreto, il capo I racchiude, anzitutto, una serie di previsioni finalizzate al contrasto dell’immigrazione irregolareA tal fine l’art. 1 modifica l’art. 11 del T.U. immigrazione, introducendo il seguente nuovo comma 1-ter:“Il Ministro dell’interno, … può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, …per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 2, limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti”. La norma conferisce al Ministro dell’Interno – di concerto con i Ministri della Difesa e dei Trasporti, e informato (ma non “sentito”), il Presidente del Consiglio – il potere di emanare provvedimenti volti a vietare o limitare l’ingresso, il transito o la permanenza nelle acque territoriali di navi , laddove ricorrano due ordini di presupposti alternativi: i) “motivi di ordine e sicurezza pubblica”; ii) concretizzazione delle condizioni di cui all’art. 19, comma 2, lett. g) della Convenzione di Montego Bay, …..E’ l’ipotesi in cui tale nave effettui “il carico o lo scarico di persone in violazione delle leggi di immigrazione vigenti nello Stato costiero”. Il nuovo comma 1-ter richiama almeno in parte testualmente i contenuti delle direttive recentemente emanate dal Ministro dell’Interno nell’ambito della c.d. politica dei “porti chiusi”La c.d. politica dei “porti chiusi” è stata oggetto di severe critiche da parte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.  Dopo l’approvazione del decreto Sicurezza bis, arriva “puntuale” la critica da parte dell’Onu che con l’Unhcr chiede di “riconsiderare” e “modificare” le norme appena varate dal governo. “Con il decreto Sicurezza bis di fatto il Viminale ha dato un ulteriore stretta sul fronte dei salvataggi in mare da parte delle navi delle Ong che, ignorando spesso le direttive delle Guardie Costiere, imbarcano i migranti per poi chiedere un porto sicuro in Italia”. Nessuna nave o nessun comandante – afferma l’agenzia dell’Onu – dovrebbe essere esposto a sanzioni per aver soccorso imbarcazioni in difficoltà e laddove esista il rischio imminente di perdita di vite umane. In una fase in cui gli Stati europei si sono per lo più ritirati dalle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, le navi delle Ong sono più cruciali che mai“.“Le Ong svolgono un lavoro molto importante. Da quando le Ong hanno dovuto ridurre i salvataggi e quindi anche gli interventi, la proporzione dei morti con quelli che arrivano aumenta e questo è inaccettabile“. Insomma tra l’Onu e il Viminale si riapre il braccio di ferro. “La presenza di un espresso riferimento al necessario “rispetto degli obblighi internazionali” renderà più agevole il sindacato per violazione di legge, con eventuale annullamento o disapplicazione in sede giurisdizionale.  A corredo dei poteri ministeriali appena illustrati, l’art. 2 del decreto sicurezza-bis introduce specifiche sanzioni nei confronti dei trasgressori dei divieti di ingresso, transito e sosta. La disposizione interviene sull’art. 12 del T.U. imm., ossia la fattispecie incriminatrice del c.d. favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Nei confronti del comandante, dell’armatore e del proprietario della nave è prevista, anzitutto, una sanzione amministrativa pecuniaria da 10 mila a 50 mila euro ciascuno.  È inoltre prevista la sanzione accessoria della confisca della nave, sebbene solo in caso di “reiterazione con l’utilizzo della medesima nave”, con immediato sequestro amministrativo. Sempre con riferimento alla normativa generale in materia di sanzioni amministrative, vengono in rilievo le cause di esclusione della responsabilità di cui all’art. 4 l. 689/1988. La norma ribadisce quanto già si può evincere dai principi generali, ossia che non risponde della violazione “chi ha commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa”. Cominciando dall’adempimento di un dovere, vengono in rilievo le norme di diritto internazionale (in primis l’art. 98 della Convenzione di Montego Bay e l’art. 10 della Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimo) che obbligano il comandante della nave a salvare le persone in pericolo ed a condurle, senza esporli ad ulteriori rischi, presso un place of safety, ossia un luogo dove il rispetto dei diritti fondamentali è garantito. Nella casistica è venuto altresì in rilievo lo stato di necessità, che ha portato i giudici ad escludere la responsabilità dei soccorritori ed allo stesso tempo affermare quella degli scafisti veri e propri”. Dopo l’entrata in vigore del decreto, nella giornata di sabato 15 giugno è stato firmato il primo divieto di ingresso alla nave Sea Watch 3 ferma al largo di Lampedusa con oltre 53 persone a bordo, raccolte in acque internazionali. In realtà, la nave della ONG tedesca aveva salvato 53 migranti raccolti in zona SAR controllata dalla Guardia Costiera libica, rifiutandosi – su richiesta della stessa – di sbarcare i profughi a Tripoli non considerato porto sicuro – secondo le disposizioni internazionali – per cui faceva rotta sull’Italia. Il divieto di entrare nelle acque territoriali italiane viene mantenuto anche nei giorni seguenti, malgrado le condizioni dei migranti vadano gradualmente ad aggravarsi anche a causa delle alte temperature che si registrano. Su “La Repubblica” del 25.6 scrive Luigi Manconi che il blocco paradossalmente viene mantenuto malgrado, nelle stesse ore, altri naufraghi venivano soccorsi da motovedette italiane e fatti sbarcare a Lampedusa, denunciando che “il Ministro degli Esteri e quello degli Interni tedeschi hanno avviato contatti verso i corrispettivi italiani, ma senza ottenere alcun segnale di interesse”.  Ancora il 25 giugno, sempre sulle colonne de “La Repubblica” la capitana della nave Carola Rackete, dichiara di voler entrare in porto a Lampedusa. “So che cosa rischio: le denunce e il sequestro, ma i 42 naufraghi (una parte è stata autorizzata a sbarcare per le gravi condizioni in cui versavano) che ho a bordo sono allo stremo….sto aspettando cosa dirà la Corte Europea dei diritti dell’uomo. Poi non avrò altra scelta che sbarcarli li”. Ricordiamo che il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, aveva emanato una raccomandazione rivolta ai 47 Stati membri dell’organizzazione internazionale nella quale “pur ribadito il diritto degli Stati di adottare misure a tutela della sicurezza dei confini – ricorda come – non possa in nessun caso avvenire a detrimento dei diritti fondamentali delle persone coinvolte” ricordando ancora una volta che “la Libia non può essere considerata un porto sicuro”. Osserva sempre la commissaria che “l’individuazione del porto sicuro e lo sbarco dei migranti devono avvenire entro un tempo ragionevole evitando ritardi che possono avere conseguenze negative per la salute delle persone soccorse, costituendo violazione dell’art. 5 della CEDU”. Forte di questa indicazione di un organo autorevole come il Consiglio d’Europa un gruppo di migranti aveva proposto ricorso alla Corte EDU di Strasburgo per consentire lo sbarco, in considerazione delle gravi condizioni che si erano venute a creare, dopo che era stato rigettato un loro ricorso al TAR. In effetti, come rileva in un articolo Giampaolo Coriani, “il ricorso chiedeva l’applicazione dell’art. 39 del Regolamento della Corte che prevede la possibilità per la Corte di adottare misure provvisorie ove ritenute necessarie nell’interesse delle parti. In particolare una procedura d’urgenza, assimilabile a quella prevista dal nostro codice di procedura civile (art. 700 cpc e segg.)”. Purtroppo la Corte respinge il ricorso negando la sussistenza dei presupposti per le misure provvisorie richieste.  “Le misure previste dall’art. 39 del Regolamento della Corte – scrive ancora Coriani – sono adottate nel quadro dello svolgimento del procedimento davanti alla Corte e non pregiudicano le decisioni ulteriori sull’ammissibilità o sul merito dei casi in questione. Anche solo l’esame del comunicato stampa è sufficiente per chiarire come non sia affatto vero che il comportamento del Governo e in particolare del ministro Salvini sia legittimo e che questo sia stato confermato dalla CEDU. La CEDU dice solo di non poter agire in via d’urgenza. Quindi non ha valutato il merito, ma la valutazione della CEDU sul suo comportamento potrà avvenire solo nella procedura ordinaria, quando saranno esauriti i ricorsi giurisdizionali interni”. Salvini ha sbandierato ai quattro venti che finalmente anche una Corte Internazionale aveva mostrato di condividere le scelte legislative del governo italiano. Ma le cose non stanno proprio così, come si è detto sopra e come ribadisce anche un ulteriore commento che la rivista “Diritto penale contemporaneo” dedica alla vicenda il 26 giugno. “La circostanza che la richiesta di misure provvisorie sia stata respinta, non sembra discostarsi da quanto normalmente accade nell’ambito delle procedure d’urgenza dinanzi alla Corte di Strasburgo; proprio per tale ragione – questo il punto che vorremmo evidenziare – non deve essere interpretata né come un’anticipazione della posizione della Corte rispetto ad un eventuale ricorso proposto dalle stesse persone per violazione dei propri diritti fondamentali; né, tanto meno, come autorevole avallo sovranazionale della politica dei porti chiusi che sta portando avanti il Governo italianoLeggere il rigetto odierno come conferma della legittimità, al metro della Convenzione europea, del decreto sicurezza-bis e dei provvedimenti in base ad esso adottati, costituirebbe allora un clamoroso fraintendimento della posizione espressa dalla Corte, la quale – giova insistere sul punto – si è limitata a ritenere che la situazione a bordo della Sea Watch non fosse tale da creare un rischio di danni irreparabili per la salute delle persone”.La posizione del Consiglio d’Europa – cioè dell’organizzazione di cui la Corte di Strasburgo è braccio giurisdizionale –  è chiara e cristallina in quanto ha espressamente condannato le campagne denigratorie in corso nei confronti delle organizzazioni internazionalinonché l’avvio di indagini penali e la previsione di sanzioni amministrative suscettibili di ostacolarne l’attività, che mettono a rischio la vita di moltissime persone per mere esigenze di contenimento dei flussi migratoriLa decisione della Corte, in conclusione, merita di essere segnalata forse più per ciò che non dice, che per ciò che statuisce. Dopo la decisione della Corte EDU, Carola Rackete, prende la decisione di entrare nelle acque territoriali dell’Italia. La ONG commenta la sua scelta “Nessuna soluzione politica e giuridica è stata possibile. La nostra comandante non ha scelta”. In effetti la nave ignora l’alt della G.d.F. e prosegue in direzione del porto di Lampedusa fermandosi a tre miglia dal porto. Immediata la reazione di Salvini. “Non sbarca nessuno, ora scattino gli arresti”. Per sbloccare la situazione il vice premier pretende l’arresto della capitana e l’espulsione per l’equipaggio, sequestro della nave e l’impegno di Bruxelles a redistribuire subito i migranti. Conte dall’estero si allinea alle scelte di Salvini dichiarando che “il comportamento della capitanaè di una gravità inaudita”.Rimasta ancora a tre km dal porto per tutta la notte, la comandante forza il blocco e raggiunge il molo di Lampedusa, dove è stata accolta da insulti e dileggi. Scortata dalla GdF, il comandante della Sea Watch 3 arriva al Palazzo di Giustizia per la convalida dell’arresto. La Procura di Agrigento con in testa Luigi Patronaggio e l’aggiunto Salvatore Vella, chiedono la convalida dell’arresto per i reati previsti dall’art. 1100 del codice di navigazione che è resistenza a nave da guerra e 337 del c.p.. In effetti, per accostare alla banchina la nave ha urtato una imbarcazione della GdF e qui subito la vox populi – diffusa ad arte – ha parlato di resistenza a nave da guerra, laddove la stessa capitana si era scusata per la manovra sbagliata a causa della concitazione prevedibile in quei momenti così drammatici. Difronte alle proteste di altri paesi europei – come la Francia e la Germania – Salvini reagisce con il suo solito stile da borgataro: “La Germania si occupi di ciò che accade al suo paese” ha detto il vice premier italiano ed “inviti i suoi concittadini a evitare di infrangere le leggi italiane, rischiando di uccidere uomini delle Forze dell’Ordine italiane. A processare e mettere in galera i delinquenti ci pensiamo noi”. Pensava qui il Salvini di aver dato un’altra lezione alle ONG e a quanti – italiani e non- che avevano protestato contro le sue decisioni. Ma la vicenda non poteva dirsi ormai risolta – anche perché – lo stesso Conte, lasciando il Consiglio europeo dichiarava all’ANSA: “Merkel mi ha chiesto della comandante della Sea Watch 3 e le ho detto che in Italia, come in Germania, l’esecutivo è distinto dal potere giudiziario: è nelle mani della Magistratura“. Per fortuna è così ancora in Italia: malgrado tutte le pressioni della politica, la giustizia si dimostra ancora capace di essere autonoma rispetto al potere politico. E qui bisogna chiarire: per legge non possono intendersi solo le norme emanate da un organo nazionale, come può essere il Parlamento o il Governo, ma tutte le norme soprattutto quelle che ci provengono dalle adesioni ai trattati internazionali che, per quanto ci riguarda, sono obblighi sanciti anche dalla nostra Costituzione, ricordando che – come membri dell’UE – è il Trattato stesso che specifica come, in caso di contrasto, la norma europea prevale su quella interna che va disapplicata a favore di quella sovra-nazionale. E ciò non dovrebbe suscitare scandalo perché con i trattati europei si è avuta una cessione di sovranità all’organismo sovranazionale, senza dimenticare che vi sono decine di convenzioni internazionali le cui norme non possono essere derogate da una legislazione interna. E così è avvenuto anche in questo caso. Nella premessa del provvedimento successivamente assunto dal GIP del Tribunale di Agrigento, il Giudice scrive che: “La Carta Costituzionale, le convenzioni internazionali, il diritto consuetudinario ed i Principi Generali del Diritto riconosciuti dalle Nazioni Unite, pongono obblighi specifici sia in capo ai comandanti delle navi che in capo agli Stati contraenti, in ordine alle operazioni di soccorso in mare. Va premesso ancora, si legge in sentenza che, “In base all’art. 10 della Costituzione, l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Tra queste rientrano quelle poste dagli accordi internazionali in vigore in Italia, le quali assumono, in base al principio fondamentale pacta sunt servanda, un carattere di sovraordinazione rispetto alla disciplina interna ai sensi dell’art. 117 Cost.. In primo luogo, va fatto riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 10 dicembre 1982. L’art. 98 della Convenzione impone al comandante di una nave di prestare assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare nonché di recarsi il più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà qualora venga informato che tali persone abbiano bisogno di assistenza, nei limiti della ragionevolezza dell’intervento”. “L’obbligo di diritto internazionale, incombente sul comandante di una nave di procedere al salvataggio, trova in particolare nel diritto interno, un rafforzamento di tipo penalistico nell’art. 1158 Codice della Navigazione che sanziona penalmente l’omissione da parte del comandante di nave, nazionale o straniera, di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne sussiste l’obbligo a norma dell’art. 490 del codice medesimo”. “L’attracco della Sea Watch alla banchina del Porto di Lampedusa – scrive ancora il GIP del Tribunale di Agrigento nella sua ordinanza – appare conforme alla previsione dell’art. 10 ter dlgs 286/98, nella parte in cui fa obbligo – al Capitano ed alle Autorità nazionali indistintamente – di prestare soccorso e prima assistenza allo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare. Ritiene, peraltro, questo Giudice che, in forza della natura sovraordinata delle fonti convenzionali e normative sopra richiamate, nessuna idoneità a comprimere gli obblighi gravanti sul capitano della Sea Watch 3, oltre che delle autorità nazionali, potevano rivestire le direttive ministeriali in materia di “porti chiusi” o il provvedimento (del 15 giugno 2019) del Ministro degli Interni di concerto con il Ministro della Difesa e delle Infrastrutture (ex. art. 11, co. 1-ter T.U. Imm.) che faceva divieto di ingresso, transito e sosta alla nave Sea Watch 3 nel mare territoriale nazionale”. In conclusione scrive ancora il GIP: “In via assolutamente preliminare va esclusa la ricorrenza, dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 1100 del Codice della Navigazione. Invero, per condivisibile opzione ermeneutica del Giudice delle Leggi, le unità navali della Guardia di Finanza sono considerate navi da guerra solo “quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia una autorità consolare”. Nella fattispecie, al contrario, la nave della Guardia di Finanza indicata nell’atto della incolpazione operava in acque territoriali, all’interno del Porto di Lampedusa. Residua, dunque, la sola ipotesi di reato di cui all’art. 337 c.p., in ordine alla quale deve osservarsi, sulla scorta delle dichiarazioni rese dall’indagata, (a tenore delle quali ella avrebbe operato un cauto avvicinamento alla banchina portuale), e da quanto emergente dalla visione del video in atti, che il fatto dev’essere di molto ridimensionato, nella sua portata offensiva, rispetto alla prospettazione accusatoria fondata sulle rivelazioni del p.g.; non di meno l’aver posto in essere una manovra pericolosa nei confronti dei pubblici ufficiali a bordo della motovedetta della Guardia di Finanza, costituente il portato di una scelta volontaria…. permette di ritenere sussistente il coefficiente soggettivo necessario ai fini della configurabilità concettuale del reato in discorso. Detto reato, ad ogni modo, deve ritenersi scriminato, ai sensi dell’art. 51 c.p. per avere l’indagata agito in adempimento di un dovere”. “Conclusivamente la Rackete ha agito conformemente alla previsione di cui all’art. 51 c.p., che esime da pena colui che abbia commesso il fatto per adempiere a un dovere impostogli da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità”. Ovviamente il Ministro dell’Interno, dopo aver sbandierato ai quattro venti che ormai anche la Magistratura si fosse adeguata ai suoi diktat, difronte alla decisione è rimasto di sasso, ma solo per poco, in quanto ha parlato ancora una volta di Magistratura politicizzata, nemica del paese per cui ha lanciato la proposta di cambiare il volto alla Magistratura. “Ancora una volta – scrive l’Associazione Nazionale Magistrati – commenti  sprezzanti  verso una decisione giudiziaria, disancorati da qualsiasi riferimento ai suoi contenuti tecnico-giuridici, che rischiano di alimentare un clima di odio e di avversione, come dimostrato dai numerosi post contenenti insulti e minacce nei confronti del Gip di Agrigento pubblicati nelle ultime ore”. “Quando un provvedimento risulta sgradito al ministro dell’Interno, scatta immediatamente l’accusa al magistrato di fare politica. Appare poi estremamente grave – sottolinea ancora l’Anm – la prospettazione di una riforma della giustizia finalizzata a selezionare i magistrati in modo che assumano esclusivamente decisioni gradite alla maggioranza politica del momento”. I giudici “applicano le leggi interpretandole secondo la Costituzione e le norme sovranazionali”. Ancora per qualche giorno la comandante è costretta a restare in Italia fino al 9 luglio – in piena libertà – quando avrà luogo l’udienza per difendersi dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione. Si tratta di una formalità perché escludiamo che ella possa aver agito per favorire l’immigrazione clandestina. A lei e a tutti gli altri come lei auguriamo di poter continuare a fare questo lavoro tanto difficile quanto essenziale per la salvezza di migliaia di vite umane. Dal nostro modesto osservatorio, cercheremo di essere al fianco di quanti abbiano scelto di restare dalla parte degli umili e degli oppressi per difendere i loro diritti inalienabili, molto spesso dimenticati o compromessi da questi nuovi soggetti politici.

Luglio 2019

Le loro leggi e le nostre

 

 

 

 

 

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