skip to Main Content

LA VERITA’ SUL SEQUESTRO DEI MARINAI ITALIANI IN LIBIA

Dal 2 settembre scorso – scrive La Repubblica del 5 u.s. – otto pescatori siciliani – insieme ad altri 10 di diversa nazionalità – sono trattenuti dalle autorità libiche della Cirenaica che fanno capo al generale Khalifa Haftar, il leader libico ricevuto ripetutamente con i massimi onori a Roma, mentre sono stati sequestrati anche i loro pescherecci che si trovavano in acque internazionali. Nulla si sa delle trattative tra il governo italiano e il regime di Haftar per riportare in Italia i marinai ma ormai sono più di due mesi che i familiari in Italia non hanno più alcuna notizia dei loro cari trattenuti in Cirenaica. Sembra – in base alle informazioni trapelate – che il sequestro dei due pescherecci sia avvenuto a seguito delle minacce rivolte all’equipaggio dei due pescherecci da miliziani armati con kalashnikov imbarcati su un gommone. Il tutto avvenuto a causa del mancato intervento di un elicottero di un cacciatorpediniere della Marina Militare Italiana che era 115 miglia dall’area del sequestro.  Un intervento prima annunciato dalle autorità italiane e poi – dopo due tre ore del silenzio del telefono delle autorità italiane – annullato con la scusa che “ormai il caso è diplomatico e che non c’è nulla da fare”. Nei giorni scorsi a due mesi dall’incidente montano le proteste dei familiari dei pescatori sequestrati dai libici. Le polemiche si sono infittite dopo che è trapelata la notizia che la nave italiana si trovava in zona non è intervenuta. Questo è il racconto che ne ha fatto “La Repubblica” ma la versione non corrisponde in tutto e per tutto alla verità dei fatti. Prima di sollevare altri polveroni, è importante esaminare la vicenda sotto il profilo giuridico. I due pescherecci, innanzitutto, non si trovavano in acque internazionali ma nella zona economica esclusiva libica (ZEE), istituita nel 2009, a circa 35km da Bengasi. “In questa zona lo Stato costiero ha diritto esclusivo di pesca non solo nelle sue acque territoriali ma anche nella ZEE che si estende ben oltre le acque territoriali – scrive la rivista “Affari Internazionali” dell’11 u.s. -. Detto ciò, la pesca in questa zona da parte di battelli di diversa nazionalità è da ritenersi illegittima. Va detto che, per tutta la giornata del 1° settembre, una vedetta libica è intervenuta nell’area di pesca – riferisce una fonte – “come se stessero osservando le operazioni”. Ora la prima domanda che ci viene spontanea è di sapere perché i pescherecci, che avrebbero dovuto conoscere il divieto di pesca in quella zona, non si siano allontanati, continuando a pescare invece come se niente fosse avvenuto. La Marina Militare ha dichiarato che l’intervento del nostro naviglio sarebbe stato impossibile a causa delle distanze – in effetti è vero – ma un loro intervento a difesa degli equipaggi sarebbe stato illegittimo. Il fatto è che “Khalifa Haftar” (o chi per lui) ha il controllo sul territorio della Cirenaica, può esercitare tale attività anche nelle acque adiacenti per l’esercizio dei diritti di cui la Libia è titolare. D’altra parte, scrive ancora la rivista sopra citata, “l’Italia ha riconosciuto Tobruk come rappresentante di questo governo insurrezionale, per cui non si può equiparare l’intervento delle milizie di Haftar ad un atto di pirateria”. Altra questione è quella delle modalità adottate dal governo insurrezionale di far rispettare i suoi diritti di pesca. La Convenzione sul diritto del mare prevede che lo Stato costiero è obbligato al pronto rilascio di navi ed equipaggi in caso di infrazione dei diritti di pesca, dietro adeguata garanzia. Ma la Libia non ha mai ratificato tale convenzione che, tra l’altro, proibisce la condanna alla reclusione per la pesca illegale. A ben vedere, a parte il diritto di sfruttamento delle risorse naturali, la ZEE, che comprende una zona di alto mare, fuori dal mare territoriale, può essere legalmente frequentato anche da navi italiane ma è da ritenersi illegittimo un diritto di protezione dei nostri pescherecci, dediti alla pesca non autorizzata. In definitiva, dal punto di vista del diritto internazionale, la Marina Italiana non aveva alcuna possibilità di intervenire a difesa di un’attività economica (la pesca) che, viola il diritto esclusivo dello Stato costiero. Ben diverso sarebbe stato se Haftar non fosse stato riconosciuto dal governo italiano, come in effetti è avvenuto, ed è questo il motivo per cui si parla di “caso diplomatico” per cui oggi solo sul piano politico si può sciogliere questo intricato pasticcio. La soluzione indicata dalla rivista “Affari Internazionali”, in attesa di una soluzione definitiva della questione libica, sarebbe quella di aprire un negoziato diretto tra le associazioni dei pescatori italiani e le autorità che controllano di fatto la Cirenaica che autorizzi anche i navigli italiani a pescare in questa zona protetta (ZEE), che non sarebbe contraria alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e non coinvolgerebbe la responsabilità dell’Italia. In contemporanea, il governo italiano dovrebbe intervenire per ottenere la liberazione dei pescatori, richiamando la Convenzione del diritto del mare che proibisce l’arresto degli equipaggi e che prevede inoltre, in caso di pesca illegale, solo sanzioni pecuniarie per le violazioni commesse. Questo caso potrebbe essere archiviato rapidamente, sempre che la diplomazia italiana riesca a trovare gli argomenti adatti per convincere Haftar a rilasciare i pescatori italiani. Diversamente, la vicenda potrebbe continuare ancora per mesi, riconoscendo che probabilmente in questa vicenda anche i pescherecci italiani hanno le loro responsabilità per aver violato una zona di pesca esclusiva, istituita in base al Trattato intervenuto nel 2009 con la Libia.

18/11/2020

LA VERITA’ SUL SEQUESTRO DEI MARINAI ITALIANI IN LIBIA

Back To Top
Translate »