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LA GUERRA “SANTA” DI ERDOGAN

Non accenna a quietarsi l’attività della Turchia di Erdogan nella direzione di uno Stato islamico vero e proprio, sempre più isolato non solo rispetto al resto dell’Europa ma che solleva molte perplessità nella parte di quella popolazione turca e di quella cultura che fanno riferimento al laicismo del paese. Dopo la trasformazione della basilica di Santa Sofia in moschea, è ora la volta di un’antica chiesa ortodossa, esempio fulgido di architettura bizantina che diventerà moschea. Con un decreto firmato dal presidente Erdogan, la chiesa bizantina della “Chora” tornerà ad essere moschea. Questo ha deciso Erdogan “per compiacere – scrive “La Repubblica” di sabato scorso – gli elettori conservatori assieme agli alleati nazionalisti”. E dire che proprio nel quartiere in cui si trova la chiesa di San Salvatore in Chora non è che ci fosse bisogno di moschee che certo non mancano. La chiesa, che fu trasformata in moschea solo nel XVI secolo, dal 1958 è ridiventata un museo molto apprezzato in quanto conserva mosaici del XIII secolo e affreschi splendidi la cui sorte rimane incerta poiché non è possibile ricoprirli con teli, col timore che essi vengano cancellati perché incompatibili con la fede islamica, cancellando i segni della passata cultura bizantina, con grave danno non solo per gli studiosi dell’arte e della storia bizantina ma di quanti possono dirsi interessati a conservare le tracce del passato, se si vuole, anche dei turisti interessati all’arte e alla cultura bizantina che, in questi anni, prima di passare alla visita di Santa Sofia, venivano accompagnati al vecchio quartiere per essere iniziati ai misteri bizantini. Questa islamizzazione del paese non è fine a se stessa, in quanto sul piano internazionale la Turchia di Erdogan ha fatto capire quali siano i suoi obiettivi nel Mediterraneo e nell’Africa Occidentale: costruire una forte coalizione islamica sotto la guida turca. Una volta sottoscritto un patto di collaborazione con il presidente libico riconosciuto da una parte dei paesi europei come rappresentante ufficiale del paese, Erdogan sta accelerando le tappe, inviando in Libia un forte contingente militare turco che è entrato ad occupare il porto di Misurata che il governo ufficiale libico ha concesso alla Turchia per 99 anni. Esso costituisce la base per le operazioni navali nel Mediterraneo Occidentale. Ma, anche l’uso dell’aeroporto di al Watiya in Tripolitania, fa parte del “pacchetto” ove, secondo fonti vicine al generale libico ribelle Haftar, l’aeronautica turca ha inviato una cinquantina di velivoli. Ma non è estranea all’accordo intervenuto la Germania perché a Tripoli lo stesso giorno c’era anche il Ministro degli Esteri di Berlino per ufficializzare un suo appoggio alla politica di espansione del governo turco mentre la Francia di Macron sta prendendo posizione contro Ankara. Come si vede, i paesi europei mostrano di avere una diversa posizione sulla Turchia e sulle sorti del Mediterraneo che vede sempre più giustificato l’immobilismo dell’UE. Con l’intesa raggiunta tra la Turchia e la Libia, Roma riceve il via libera per le navi dell’ENI, con il permesso di poter trivellare nell’area marittima prevista dal memorandum firmato nel novembre 2019 da Turchia e Libia, anche se la posizione del governo italiano è stata criticata da esperti militari italiani non più in carica. Con la grave crisi economica con cui si trova a fare i conti il governo italiano, una operazione del genere dà la possibilità all’Italia di poter contare sui profitti assicurati dallo sfruttamento delle risorse petrolifere ma il destino del Mediterraneo non può affatto ritenersi concluso perché sono ancora tanti i protagonisti politici che potranno sconvolgere l’assetto attuale dell’intera area con l’UE obbligata anche a farsi da parte per consentire che Erdogan controlli i profughi siriani e provenienti anche da altre aree di guerra all’interno della Turchia. Dopo aver dichiarato unilateralmente la cessazione del fuoco in tutta l’area libica, a conferma della estrema tensione che grava sull’area, il generale ribelle Haftar ha prontamente ribattuto di non accettare l’accordo del “cessate il fuoco” per cui nelle prossime settimane è facile che si riprenda a combattere tra le due fazioni libiche, con l’aggravante che la Turchia, in forza dell’accordo di collaborazione sottoscritto con la Libia, potrebbe far intervenire il suo esercito, peraltro già schierato all’interno del paese, mentre molti sono i paesi che vorrebbero impadronirsi delle ricchezze petrolifere della Libia. Una situazione che può definirsi senz’altro esplosiva a tener conto soprattutto che tutta l’area del Mediterraneo è interessata da continui conflitti che rendono la pace sempre più un miraggio, anche perché il fenomeno migratorio non si è mai arrestato anche in periodi di maggior crisi.

24/8/2020

La guerra santa di Erdogan

 

 

 

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