LA GRANDE SETE
Uno dei problemi più urgenti che può dirsi già attuale, ma che crescerà enormemente nei prossimi anni, è quello dell’acqua insufficiente a soddisfare i bisogni dell’umanità. Già oggi intere popolazioni in tutti i continenti soffrono di carenza di acqua per cui molto spesso, utilizzando acqua inquinata, si peggiora sempre di più la situazione epidemica di tanti paesi soprattutto in Africa e in Asia. I paesi che oggi posseggono acqua che scorre nel loro territorio si stanno organizzando già per vendere a caro prezzo ai paesi confinanti questo bene sempre più raro. E’ il caso oggi dell’Etiopia che ha in programma la costruzione nell’alto Nilo di una grande diga, un’opera imponente realizzata dall’italiana Webuild (ex Salvini Impregil). Sarà la maggiore centrale idroelettrica dell’Africa, permettendo a 64 milioni di etiopi di collegarsi ad una fonte energetica ma che oggi rischia di cambiare gli equilibri regionali. Quando, infatti, sarà finita l’opera, la portata del fiume a valle potrebbe scendere del 25% creando problemi, in caso di siccità, senza però mettere a rischio l’approvvigionamento a valle del Sudan e dell’Egitto. Nonostante le copiose riserve dell’imponente diga di Assuan, il Presidente egiziano Al Sisi – appoggiato dagli USA – rivendica diritti storici sul Nilo preoccupato che in caso di necessità l’Etiopia chiuda i rubinetti. Per evitare questa ipotesi, l’Egitto ha chiesto che i flussi vengano regolati per iscritto, pena la non entrata in funzione della diga e che il riempimento della vasca sia graduale in un periodo compreso fra i 12 e i 21 anni, mentre l’Etiopia, in piena crescita economica, grazie anche agli investimenti cinesi, ha fretta e vuole la diga operativa al massimo entro sette anni. Il Primo Ministro etiope voleva imporre il riempimento della vasca per metà luglio, per provarne la tenuta. In effetti si tratta di un test, già previsto da tempo, anche se la mancata produzione di energia potrebbe costare miliardi di dollari alle casse etiopi, tra imprese ferme e mancato export verso i paesi confinanti, compreso l’Egitto. Dal punto di vista giuridico, l’Etiopia ha il diritto di gestire le proprie risorse naturali: l’Egitto e il Sudan insistono a chiedere un arbitrato internazionale ma l’Etiopia insiste per raggiungere un accordo con la mediazione dell’unione africana. La trattativa è sospesa in quanto l’Egitto ha fatto sapere di essere pronto a tutto pur di difendere gli interessi nazionali, compreso un intervento militare, non dimenticando che l’Egitto ha il più forte esercito continentale e gode dell’appoggio sia degli USA che della Lega Araba. In mezzo resta il Sudan che è interessato alla prospettiva di acquistare energia a basso costo ma nello stesso tempo teme la prossimità della diga distante solo 20 km dal confine con il rischio che, una volta riempito, in caso di incidente, possa causare inondazioni. E’ certo che l’Etiopia non vuole sentirsi obbligata a firmare niente che possa danneggiarla per il futuro mentre l’Egitto teme perché uno studio del 2019 prevede che il 35% delle persone lungo il corso del Nilo entro il 2040 avranno carenza d’acqua a causa del cambiamento climatico. Dopo aver respinto già nel febbraio scorso un tentativo di accordo promosso dagli USA, oggi l’Etiopia ribadisce che il riempimento porterà conseguenze anche se fino ad oggi sembra aver sospeso ogni operazione. Difficile anche la posizione del Premier etiope che si dichiara a favore della diga ma che viene accusato dagli avversari politici di voler sacrificare la diga in omaggio alle potenze mondiali, pur di vincere la sfida nel prossimo anno di un nuovo appuntamento elettorale, anche se ha giurato ai parlamentari che i programmi non subiranno ritardi. Un difficile equilibrio sia sul piano diplomatico che politico.
Una prima avvisaglia di quello che potrà essere in un futuro prossimo ma non lontano una vera e propria battaglia per l’acqua. Le risorse idriche del Nord, a causa dello scioglimento dei ghiacci che scivolano verso il mare, cominceranno a scarseggiare anche su al Nord, ponendo in crisi sia il settore agricolo che quello dell’allevamento del bestiame. Già alcune potenze hanno stretto un patto per spartirsi le risorse del Polo Nord e non è stato per gioco che Trump ha chiesto alla Danimarca di voler acquistare parte della Groenlandia, che rientra tra le risorse comuni dell’UE. Quello che oggi può apparire come una crisi regionale può considerarsi un campanello d’allarme per l’accaparramento di questo bene essenziale alla vita. E’ questo, aldilà del facile scetticismo e di un’accusa di allarmismo, potrebbe essere uno scenario tutt’altro che avveniristico. A meno che gli organismi che oggi rappresentano la quasi totalità dei paesi del mondo, non intervengano per firmare un accordo sull’uso dell’acqua che deve restare un bene disponibile per tutta l’umanità.
18/8/2020