LA GRANDE CRISI
Se siamo ancora nel pieno della emergenza sanitaria che si è allargata al mondo intero, è giusto che si cominci a valutare la risposta che bisogna dare al dopo-crisi, tenuto conto dell’impegno economico per riavviare il sistema. Senza ombra di dubbio, la emergenza coronavirus rappresenta la sfida più difficile del terzo millennio per l’UE, molto di più della crisi economica e finanziaria del 2008 e della cosiddetta crisi migratoria del 2015-2016. Su “Affari internazionali.it” – del 16 Marzo scorso – “si esclude di poter reagire ad una pandemia globale con misure esclusivamente nazionali: il virus non conosce confini e soltanto un’azione coordinata di tipo transnazionale sembra in grado di limitare la sua diffusione”. “Per quanto riguarda la risposta all’emergenza, occorre sottolineare – si legge nell’articolo – che gli Stati membri hanno competenza esclusiva per quanto riguarda la definizione delle politiche nazionali in materia di salute”. Questo, come lamenta anche la Commissaria UE alla sanità, viene a bloccare l’intervento diretto dell’UE, come sarebbe stato auspicabile. Di qui, nessuna critica si può fare alle istituzioni europee di non aver preso in carico questa emergenza. L’UE ha solo un ruolo di completamento delle politiche nazionali sulla base dell’art. 168 del Trattato di funzionamento dell’UE per cui un’azione più coordinata avrebbe potuto essere promossa da Bruxelles, ed in particolare dai ministri della salute dei 27 Stati membri. Neppure questo c’è stato per cui abbiamo assistito nelle settimane scorse a provvedimenti – come quello posto in essere da diversi paesi-della chiusura delle frontiere per frenare la diffusione della malattia. Una misura, che ha messo in crisi anche il sistema Schengen per cui è stato necessario l’intervento della Commissione a ricordare che la sospensione del sistema può essere adottata e consentita solo dalla Commissione. Ma l’Italia non ha ritenuto opportuno neppure di far appello alla “clausola di solidarietà” prevista dall’art. 222 del TFUE che doveva essere attivato tramite richiesta da far pervenire al Consiglio Europeo perché probabilmente il governo riteneva di potercela fare da solo senza ricorrere all’assistenza dell’UE. Sul piano economico è necessario adottare tutte le procedure previste dal Trattato per la ripresa delle attività produttive dopo la sospensione decisa in questi giorni per rallentare la diffusione del virus. L’ex Ministro dell’Economia Padoan, intervistato da “La Repubblica” del 16.3, dopo aver criticato l’improvvida dichiarazione della Presidente della BCE che ha fatto schizzare in alto lo spread italiano, dichiara che “serve un’azione concertata di Commissione e BCE con i singoli Stati per affrontare la crisi economica che si prospetta all’orizzonte, sospendendo innanzitutto gli impegni previsti dal patto di stabilità e rilanciare investimenti pubblici come volano per la ripresa chiedendo anche una deroga alle norme sugli aiuti di Stato” non nascondendo che “purtroppo l’Italia arriva a questa fase già sfibrata”. Facendo presente anche che “l’Italia potrebbe accedere alla linea di credito precauzionale straordinaria prevista dal MES per accrescere la sostenibilità del debito e beneficiare di tassi di interesse contenuti”. Proprio nella giornata successiva arriva il via libera della Commissione al nuovo quadro temporaneo per gli aiuti di Stato che consente ai governi di mettere in piedi schemi di aiuti diretti fino a 500mila euro alle aziende e a dare garanzia per i prestiti. Un primo provvedimento che va dunque nella direzione dei provvedimenti suggeriti da Padoan. Qualche giorno dopo, e siamo al 21 marzo, in linea con la prospettiva indicata da Padoan, di dare impulso alle opere pubbliche, il governo italiano decide di sbloccare decine di opere pubbliche già cantierabili, non appena lo stato di emergenza sanitaria sarà terminato facendo presente che oltre l’80% della spesa prevista pari a 47 miliardi è già coperta da adeguata copertura finanziaria. Lo sblocco dei cantieri permetterebbe la creazione almeno di 50mila posti di lavoro nel settore edile e dei lavori stradali. E veniamo adesso alla videoconferenza sulla crisi che si è svolta il 24 u.s. tra i Ministri delle Finanze della zona Euro che finisce dopo sei ore di trattative senza aver raggiunto alcun accordo. “La Repubblica” del 25 marzo scriveva che “L’utilizzo del Fondo Salva Stati (MES) non passa. Per l’Italia sarebbero stati 36 miliardi per tamponare la crisi. Tutto fermo anche sugli Eurobond, lo strumento per Roma, Parigi e Madrid, per uscire dalla pesante recessione che la pandemia si lascerà alle spalle”. Per cercare di superare le contrapposizioni e avviare un accordo di compromesso, tutto viene rinviato ad un paio di settimane o poco più. Vediamo di capire quali siano i motivi del contrasto. Aveva Padoan lanciato la possibilità di poter disporre del meccanismo previsto dal MES. E su questo non c’è stata alcuna opposizione da parte dei paesi europei ma si litiga invece sulle condizioni per sbloccare i 410 miliardi del MES. Il fatto è che, per accedere alle sue linee di credito, occorre sottoscrivere un programma con forti impegni sulla riduzione del debito comunemente identificati in austerità e controllo da parte dell’UE. C’è anche un altro vantaggio, se si precisano le condizioni per l’erogazione della linea di credito, che è la possibilità di acquisto illimitato da parte della BCE di titoli emessi dal paese beneficiario utile per abbassare i tassi e liberare le risorse. Per consentire questa operazione, Austria, Olanda, Finlandia e Germania vogliono mantenere i vincoli previsti dagli accordi in vigore, nel timore che, paesi come l’Italia, già fortemente indebitati, un domani possano finire in mano ai sovranisti. Un rischio che non può essere escluso perché, in caso di default, la crisi potrebbe trascinare dietro di sé tutti i paesi della zona Euro. Pertanto i paesi del Nord Europa si dicono d’accordo a far riferimento al fondo salva Stati, ma adottando lo stesso schema già utilizzato nei confronti della Grecia che oggi ha pagato il suo debito con grave sacrificio economico. Ma se non è il paese richiedente che si assume la responsabilità del rimborso delle rate che potrebbe avvenire anche in un decennio, come e perché dovrebbe essere l’UE a farsene carico? Si tratta di norme, quelle di garanzia, che fanno già parte dei trattati per cui non è che si voglia impedire all’Italia di uscire dal tunnel ma solo che il governo attuale si impegni a fornire adeguate garanzie per i rimborsi. E’ su questo punto che salta la trattativa in quanto l’Italia dichiara di non accettare di sottoscrivere alcuna condizione, pur prevista esplicitamente dal Trattato. Se nei prossimi giorni non ci sarà chiarimento sul punto, il governo italiano dichiara “che farà da solo”. Non sappiamo cosa possa nascondere questa osservazione. Uscire dall’Euro? Certo che no perché sarebbe un vero e proprio suicidio con conseguenze incalcolabili né è in discussione di uscire dall’Europa. A tal proposito i campioni del sovranismo nostrano, hanno già fatto sentire la loro voce, alzando i toni della discussione e coprendo di insulti ancora una volta l’UE e le sue istituzioni. All’apparenza, non v’è alcuna disponibilità da parte del governo Conte di accettare la soluzione prospettata dai paesi del Nord Europa. E’ una pessima notizia in quanto, in alternativa, non ci sarà altra possibilità per l’Italia che quella di ricorrere a prestiti sul mercato finanziario mondiale che comporterebbe una spesa supplementare tra i 600 e 700 milioni di euro. Sarà disposto Conte ad assumersi la responsabilità di aumentare il debito pubblico dell’Italia? Quella di Conte può apparire una forzatura in quanto sul piatto c’è anche la disponibilità della BCE che ha varato un finanziamento di ben 750 miliardi di euro per l’acquisto dei titoli di Stato emessi dagli Stati membri dell’UE, tra i quali rientra anche l’Italia senza dimenticare che il primo atto della Commissione è stato quello di sospendere il patto di stabilità. In fondo, in poco tempo l’UE, con le sue istituzioni ha mostrato di voler fornire ai paesi tutti gli strumenti di cui dispone per ripartire dopo la crisi. “L’ importante – ha dichiarato Gualtieri – è che la rete di protezione del fondo, sia il primo passo verso gli eurobond”. Anche Gentiloni accenna che “avremo bisogno di una grande prova per la ricostruzione” citando anche gli eurobond. “E’ dall’emissione di titoli comuni che l’Europa potrà mobilitare almeno 1000 miliardi per ripartire” “E’ un dibattito fantasioso” è la risposta del Ministro tedesco per l’Economia Peter Altmaier. E vedremo tra poco le ragioni di questo rifiuto. A richiamare per primo l’idea degli Eurobond è stato il Presidente del Consiglio Conte che ha proposto l’emissione di bond comuni per la gestione della crisi sanitaria in atto in tutta l’Europa. Il rendimento dei titoli emessi dai singoli Stati è garantito dallo Stato emittente ed esso dipende dallo stato di salute del paese che lo emette. E così i titoli di Stato emessi dalla Germania promettono un rendimento di poco superiore al 3% mentre l’Italia per vendere sul mercato finanziario i propri BPT ha dovuto garantire un rendimento a volte superiore del 6%. Se fossero emessi eurobond comuni, ebbene la spesa per i paesi più forti salirebbe e diminuirebbe quello dei paesi più indebitati come l’Italia: la media sarebbe del 4,4%. I paesi in difficoltà quindi avrebbero un grande vantaggio economico, dovendo spendere molto meno per pagare gli interessi.
L’idea degli eurobond lanciata da Conte prevede che i titoli fossero emessi da un’apposita Agenzia europea per il debito, di cui si farebbero garanti tutti i paesi membri. Soluzione scartata dal fronte del Nord che non vuole prendersi in carico il debito dei paesi del Sud.
A fine riunione, i membri dell’Euro decidono di dare mandato all’Eurogroup di formulare una proposta di accordo nelle prossime due settimane. Il dibattito dunque continua anche se i segnali sono poco rassicuranti.
Il 28 u.s., la Presidente della Commissione UE in un’intervista ha precisato che sia la Germania che gli altri paesi nordici non intendono riaprire il discorso sugli eurobond. L’accordo potrà esserci solo discutendo sulla base degli strumenti previsti dal Trattato UE. E tra questi non figura certo l’ipotesi di emissione di titoli a rischio comune. “Insistere dunque su questo punto significa portare il dibattito fuori dai binari della correttezza istituzionale” ha commentato il Ministro tedesco dell’Economia.
Il Capo del MES, il tedesco Claus Regling, è a favore di prestiti senza condizioni ma a decidere ancora una volta sono gli Stati e niente accade senza l’OK di Berlino e dell’Aja. A questo punto, per giungere ad una soluzione la Commissione dovrebbe presentare nei prossimi giorni un grande progetto di rilancio che preveda una gestione coordinata dell’uscita dalla pandemia ed il rilancio dell’economia. La copertura di spesa dovrebbe essere assicurata dall’emissione di bond emessi dalla Banca Europea degli investimenti. Un’impresa tutt’altro che facile perché, nel caso di fallimento, salterebbe anche la poltrona del Presidente della Commissione.
Il Commissario Gentiloni ha fatto sapere che ci sono le premesse per raggiungere un accordo anche se in questi giorni è proprio il governo Conte a parlare di una manovra di spesa di oltre 4,4 miliardi fatta in deficit aumentando dunque il debito italiano e questo non fa che accrescere le preoccupazioni dell’UE e dei paesi membri.