LA DERIVA GIUSTIZIALISTA
Abituati ormai dagli anni della lontana giovinezza a far i conti quotidianamente con una giustizia che spesso genera solo “mostri” da offrire in pasto ad una famelica opinione pubblica che fa il tifo per le Procure di questa Repubblica ormai fatte passare per i veri difensori della legalità, non mi sorprende per gli errori giudiziari che spesso rovinano carriera e onesti padri di famiglia. I magistrati sono protetti da una legge che, solo in caso di grave colpevolezza e negligenza professionale, rispondono dei loro errori ma si tratta di una legge così farraginosa e così orientata a favore di chi sbaglia che sono pochissimi i ricorsi che sono stati promossi nei confronti di un magistrato e soprattutto non si ha notizie di casi in cui siano state accertate le responsabilità di un magistrato. Il testo originario della legge Vassalli, che prende nome dal Ministro della Giustizia che l’ha proposta, per la sua limitata incisività venne successivamente modificata nel 2015 a seguito delle critiche sollevate anche dalla CEDU ma senza che, purtroppo, fosse modificato l’impianto originario.
Penso ai tanti ricorsi proposti in base alla legge Pinto che ho seguito prima innanzi alle Corti di Appello poi alla CEDU, per violazione di articoli della Convenzione, che non sono stati ancora risarciti dallo Stato, a distanza anche di dieci anni dall’emissione del provvedimento da parte della CEDU. In questi lunghi anni di attività professionale ho creduto e continuo a credere ancora nella sacralità della giustizia intesa come sistema di difesa dei diritti dei cittadini contro le angherie del potere, contro un sistema che non rispetta spesso il dettato costituzionale, ostacolando così la ricerca della verità. Insomma, mi sono costruito una corazza per difendere i torti subiti dai cittadini che non hanno avuto accesso alla giustizia.
Non si tratta solo di un mio pensiero personale ma di un diffuso senso di inadeguatezza in cui gli avvocati sono costretti a lavorare. Ed è sempre più difficile, grazie anche alla pandemia, al processo-farsa da remoto, al fiorire di riti alternativi, essere sicuri sulla dritta via della giustizia soprattutto quando essa arriva con anni di ritardo, quando ormai il peggio è fatto.
Il caso Tortora dovrebbe far scuola ma è sempre più raro che la politica ed anche l’avvocatura siano capaci di dettare regole per avere un processo che si possa dire equo. Ne è conferma oggi la battaglia che è in corso tra avvocatura e governo per l’ennesima riforma della giustizia. Senza tener conto dello squallido quadro che offre oggi il CSM, con un caso che sta scoprendo che cosa si nasconde dietro le quinte del potere, diffondendo amarezza e delusione in larghi settori della popolazione.
Ma veniamo adesso a raccontare una storia che mi ha fatto venire i brividi. La notizia è riportata dal quotidiano “Il Riformista” del 22.7 u.s., di cui vi accludo il testo.
Se proprio non volete leggerlo per intero, ma ne vale la pena a mio avviso, è un ennesimo caso non di errore giudiziario, il che sarebbe anche ammissibile nel quadro generale della crisi della giustizia, ma di una vera e propria persecuzione nei confronti – come scrive il giornale – di un indagato che dal dicembre scorso è protagonista di un’incredibile vicenda giudiziaria.
Prescindendo dalla fondatezza o meno delle accuse, quello che fa paura è il totale stravolgimento di ogni norma posta a difesa di un indagato che non può certo considerarsi colpevole, fino a prova contraria – come dice la legge -.
Nel corso di una inchiesta giudiziaria aperta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, alle tre del mattino del dicembre scorso, alcuni agenti bussano a casa di Pittelli, di professione avvocato, per arrestarlo.
Prima di portarlo in carcere, lo portano nel suo studio di avvocato per una perquisizione che dura fino alle 17.30. Alle 21 Pittelli entra in carcere senza che mai abbia bevuto o mangiato qualcosa in queste 18 ore. Il giorno seguente alle 9.30, senza conoscere gli atti del giudizio (circa 30 volumi) viene chiamato per rispondere all’interrogatorio di garanzia, in condizioni fisiche e psicologiche da film dell’orrore. Si avvale della facoltà di non rispondere perché nulla sa dei fatti che gli vengono contestati. Alle 15 dello stesso giorno con un aereo militare, viene trasferito da Catanzaro al carcere Badu e Carros, salito alla notorietà negli anni del terrorismo per aver ospitato diversi terroristi, un luogo ben difficilmente raggiungibile. Perché? E’ questa una prima domanda che non trova risposta. Di quale infame delitto si sarebbe macchiato questo individuo per fare la fine di Edmond Dantès meglio conosciuto come il Conte di Montecristo? Forse qualcuno ancora oggi si ricorda di questa storia narrata da un celebre scrittore francese. Comunque, l’indagato che ancora mostra di aver fiducia nella giustizia, si augura di essere interrogato al più presto. Ma il tempo passa senza che niente accada per cui propone istanza al Tribunale del Riesame. Viene portato a Sassari per essere interrogato alle 9 del mattino del 9 gennaio scorso e qui resta in attesa di essere interrogato fino alle 21 di sera. Dieci minuti a sua disposizione: l’indagato riesce a farfugliare poche cose che per altro non vengono neppure prese in considerazione. Qualche giorno fa – sono ormai sette mesi passati dal suo arresto – Pittelli chiede ancora una volta di essere interrogato. Giorni fa – racconta il giornale – viene convocato da un PM di Nuoro che non conosce niente dell’inchiesta che lo ha portato in carcere. Si tratta della famosa inchiesta avviata dalla Procura di Catanzaro nota come “Rinascita-Scott”, celebrata da tutti i giornali e presentata dall’Ufficio della Procura come la più grande inchiesta anti-mafia dopo quella di Falcone. Pittelli, dunque, si rifiuta di rispondere ed insiste per essere interrogato dai PM che hanno chiesto il suo arresto. Niente, anche se sul versante giudiziario, la Cassazione il 25.6 annulla senza rinvio, cioè in modo assoluto e definitivo, le accuse più gravi di cui doveva rispondere l’indagato, lasciando in piedi solo il reato di abuso di ufficio e violazione di segreto d’ufficio. L’avvocato Pittelli è sempre in cella per cui è normale che il giornalista alla fine si chiede “Vi pare che ho esagerato nel parlare di persecuzione? Vi pare di intromettermi se chiedo ai politici che siedono in Parlamento …di fare qualcosa per restituire ad un cittadino della Repubblica i suoi diritti di essere umano?” Domande che ci sembrano ragionevoli tenuto conto dell’isolamento più totale in cui continua a trovarsi l’indagato, vittima di un accanimento che non si giustifica neppure dal punto di vista processuale. Sembra che si ripeta qui un copione che non fa certo onore alla giustizia italiana, dopo la stagione delle inchieste della Procura di Milano contro la corruzione, che non ebbe la mano leggera sui presunti corrotti e corruttori, usando spesso il carcere come strumento di pressione nei confronti degli indagati.
Certo, se non ci sarà alcun chiarimento da parte della Procura, credo che non esista altro strumento per contrastare questi che possono definirsi veri e propri abusi di diritto che rivolgersi alla CEDU che sempre più spesso deve intervenire, purtroppo a fatto compiuto, per riequilibrare la bilancia della giustizia. Ma esistono anche strumenti più celeri per far cessare questo abuso. Vorrei che l’avvocatura si interrogasse su questo caso portando la sua solidarietà a questa ennesima vittima della giustizia non per spirito di casta ma per far sentire la sua voce affinché la misura carceraria e addirittura l’isolamento dell’indagato, non siano soprattutto utilizzate per vincere la sua resistenza. Che sia o meno colpevole sarà il processo a dircelo ma non si può adottare una forma di privazione della libertà personale quando non ne ricorrano le indicazioni del caso.
E’ strano che la stampa si sia poco occupata di questa vicenda quasi che si desse già per scontata la colpevolezza dell’indagato o, nella migliore delle ipotesi, quasi che non si volesse disturbare il manovratore anticipando un verdetto che non può essere affidato all’opinione pubblica ma deve essere reso da un Tribunale che neppure in questo caso sembra che abbia brillato per imparzialità.
27/7/2020