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La crisi spagnola e i limiti della politica dell’UE

Fermato in Germania, mentre cercava di rientrare a Bruxelles, Puigdemont è in attesa di una decisione della magistratura tedesca che dovrà rispondere alla richiesta di estradizione pervenuta dal governo spagnolo. Ritorneremo su questo ultimo aspetto ma va ricordato innanzitutto che le libere elezioni del governo catalano che si sono tenute il 21 dicembre scorso, hanno confermato e rafforzato le posizioni indipendentiste catalane. Puigdemont, in esilio in Belgio dall’ottobre scorso, ha rinunciato alla sua candidatura ma anche il nuovo candidato, Jordi Sànchez, non si è potuto presentare in Parlamento perché è in carcere. In effetti, una parte dei deputati eletti, che facevano parte della passata coalizione di governo, sono in galera accusati di gravi reati contro la sovranità statale mentre il governo spagnolo, sotto la guida di Rajoy, blocca l’elezione di un Presidente scelto dal Parlamento, di fatto impedendo al popolo catalano, che si è espresso democraticamente a favore dei partiti indipendentisti, di avere un proprio governo. In una recente intervista rilasciata al quotidiano “La Repubblica” del 18 marzo scorso lo stesso Puigdemont ha ammorbidito la sua posizione, insistendo in una soluzione politica del conflitto, anche rinunciando al progetto di indipendenza. “Non riesco a immaginare una soluzione senza un negoziato che veda la partecipazione di una terza parte che possa svolgere il ruolo di mediatore. Non chiedo alla comunità europea di sostenere l’indipendenza della Catalogna, ma di sostenere i diritti civili e politici fondamentali”. In effetti, come afferma in altra parte dell’intervista “l’indipendenza non è l’unica strada. Siamo disposti a lavorare su altri modelli per arrivare a un accordo…Ma per arrivarci, bisogna riconoscere che esiste un problema politico. Bisogna riconoscere l’altro come un soggetto politico con cui dialogare senza luci rosse. E’ quello che non si è riusciti a fare nel caso della Spagna…che bisogna riconoscerci come attore politico e non come soggetto criminale”. In realtà, facendo un passo indietro, gli eventi drammatici di ottobre scorso confermano che il governo spagnolo ha agito con mano pesante, facendo riferimento sempre all’art. 155 della Costituzione in base al quale poi è stato sciolto il governo legittimo e perseguito come criminali i suoi rappresentanti politici. Il successo dei partiti indipendentisti, determinato dall’esito delle elezioni, ha sorpreso il governo centrale che ha intensificato la sua persecuzione contro i rappresentanti liberamente eletti che continuano a stare in prigione, impedendo, dunque, a molti di partecipare ai lavori del nuovo Parlamento e impedendo di eleggere il candidato scelto dai partiti di maggioranza. Si tratta di un attacco diretto alla democrazia e un rifiuto di misurarsi con i partiti che sono stati confermati dall’elettorato.  E’ una democrazia malata che non ha ancora fatto i conti con la storia e che rifiuta ogni dialogo con la controparte. Insomma, nel silenzio assoluto dell’Europa, ha trasformato un conflitto politico in un problema di ordine giudiziario. Come vedremo, il mandato di arresto che era stato spiccato dalla magistratura spagnola nel novembre scorso, era stato ritirato per favorire un clima di serenità in vista delle elezioni che si sono tenute nel dicembre scorso. Sconsideratamente, però, qualche settimana fa esso è stato riattivato dalla magistratura consentendo che potesse essere arrestato Puigdemont  all’ingresso in Germania, malgrado l’avvocato di Puigdemont aveva assicurato il suo rientro in Belgio dove si sarebbe posto a disposizione del magistrato che avrebbe esaminato la richiesta di Madrid. Nel frattempo anche il nuovo candidato presentato dal Presidente del Parlamento catalano, Roger Torrent, è stato bloccato dal potere centrale in quanto il nuovo candidato, Tierrell, è fra gli arrestati. Nel corso della seduta Torrent ha denunziato “la gravità della situazione e un processo di involuzione democratica”. La novità è stato l’appoggio che i partiti indipendentisti hanno trovato in Xavier Domènech, leader di Comú- Podem, la piattaforma civica dei Podemos in Catalogna. Domènech ha aperto la porta ad una nuova alleanza di governo “un fronte ampio ….in difesa della democrazia e delle libertà”, condannando anche la richiesta del giudice di riattivare il mandato di cattura che ha poi determinato l’arresto di Puigdemont. In effetti, se Rajoy intendeva isolare i partiti indipendentisti, ha ottenuto il risultato opposto, quello di allargare il fronte dell’opposizione ai metodi repressivi posti in essere dal governo centrale. L’arresto di Puigdemont alla frontiera tedesca ha posto fine al suo esilio: il leader catalano in Germania si trova ad essere meno tutelato sia politicamente che giuridicamente; in caso di consegna a Madrid rischia fino a trenta anni di reclusione. Per questo, già il giorno successivo all’arresto, migliaia di persone a Barcellona hanno invaso le Ramblas per protestare contro il governo Rajoy e l’Europa sventolando bandiere indipendentiste. Ma anche con l’arresto di Puigdemont, non si può dire che il problema della Catalogna possa considerarsi risolto. La presa di posizione del Parlamento catalano lascia chiaramente capire come l’opposizione catalana al piano di Rajoy e del governo centrale non sia disposta ad accettare una soluzione che travolga le scelte del popolo catalano, ponendo ancora una volta l’UE in una posizione davvero critica in quanto essa è stata apertamente chiamata in causa dai catalani. In realtà, qua non si tratta di salvare Puigdemont dal carcere ma di tutelare i diritti dei cittadini catalani che sono anche cittadini europei cui di fatto è stato impedito di scegliere liberamente i loro rappresentanti. Certo si tratta di posizioni distanti ma non è detto che non si possa trovare una ragionevole soluzione che valga a non mettere in discussione la sovranità statale e a non reprimere quei movimenti che tendono ad ottenere una più ampia autonomia. Autonomia che trova la sua ragion d’essere nella storia passata e recente di questa regione, una sorta di compensazione per la repressione del popolo catalano da parte del potere franchista. “Adesso che l’Europa ha arrestato Puigdemont in nome e per conto della Spagna, si spera farà più fatica a voltarsi dall’altra parte e fingere apertamente di ignorare la questione catalana e l’uso strumentale della giustizia da parte di Madrid, come ha fatto finora”. Scrive Andrea Bonanni sul quotidiano “La Repubblica” del 26 marzo scorso. In effetti, l’arresto di Puigdemont in Germania, preparato sicuramente nei dettagli dalla polizia spagnola in collaborazione con quella tedesca, finirà per rendere più evidente e colpevole, il silenzio dell’Europa. Perché, ci si chiede, non è stato arrestato Puigdemont in Finlandia o in Belgio o in Olanda? “Non lo hanno fatto – chiarisce sempre il quotidiano – perché in quei paesi non è previsto il reato politico di “ribellione e sedizione” che gli contestano per cui hanno aspettato che entrasse in Germania dove esistono figure di reato simili a quelle del codice spagnolo” per cui saranno i giudici tedeschi a decidere sull’estradizione richiesta dalla Spagna in base alla normativa europea, quella sul mandato di arresto europeo. Uno strumento voluto dall’UE per combattere meglio le mafie internazionali ma che servirà oggi a consegnare al governo spagnolo il capo riconosciuto del movimento indipendentista. Vedremo ora se l’UE continuerà a disinteressarsi della sua sorte e di quella di tanti altri dirigenti che si sono rifugiati in altri paesi dell’UE come la Scozia. Se continuerà ad ignorare – come abbiamo visto- che il Parlamento catalano non è in grado di funzionare perché non può nominare un governo in quanto i potenziali candidati sono in galera o ricercati. “Se l’Europa, commenta ancora il quotidiano, mette sotto accusa la Polonia per una legge sulle nomine dei giudici costituzionali, potrà fingere di non vedere quello che accade in Catalogna? Certo il governo conservatore polacco non è influente come quello spagnolo che sarà essenziale per le prossime elezioni europee”. Ma, conclude il giornalista, “il modo in cui i leader popolari di mezza Europa gestiranno la crisi catalana…che è diventata ormai una crisi comunitaria, avrà pure qualche influenza sugli elettori di un partito che pretende di essere un cardine della democrazia nell’UE”. Una speranza legittima ma che si scontra con un arretramento dell’UE su tutti i fronti sensibili dell’intero panorama internazionale. Ne è conferma il modo in cui è stata affrontata “l’emergenza migratoria” affidando i migranti alla custodia di un despota come Erdogan, libero di reprimere in Siria e Iraq oltre che in Turchia il popolo curdo. Un’Europa che mantiene il silenzio sugli accordi sottoscritti dall’Italia con la Libia cui è stato affidato il compito di frenare l’esito dei disperati verso le coste siciliane. Senza dimenticare che si è mossa all’unisono, assieme alla Gran Bretagna agli USA e alla NATO, ad alimentare la crisi diplomatica con la Russia, prendendo pretesto dall’avvelenamento di un colonnello russo che si era rifugiato in Gran Bretagna cui aveva fornito tutta una serie di dati segreti sul servizio di spionaggio russo. Un clima pesante è calato oggi in Europa: un clima che mette a rischio ogni credibilità dell’Europa, che mina i rapporti internazionali, che segna una ripresa della guerra fredda. Ipotesi davvero delirante a tener conto che diverso è lo scenario geo-politico mondiale, mutati ne sono i protagonisti, diversi e più gravi i problemi da affrontare. Se non si è capaci di liberarsi di una visione che fa rinascere il passato, l’Europa è condannata a subire la storia fatta dagli altri rinunziando ancora una volta e forse per sempre a quei valori che sono, e bisogna qui ribadirlo, le basi fondanti della sua stessa esistenza.

Marzo 2018

Avv. E. Oropallo

La crisi spagnola e i limiti della politica dell’UE

   

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