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La catastrofe incombente

Se torniamo ad occuparci oggi ancora una volta della Brexit, è perché la Gran Bretagna si sta avvicinando a grandi passi alla resa dei conti. Come scrive su “La Repubblica” del 9 u.s. lo scrittore inglese Timothy Garton Ash, professore presso l’Università di Oxford, nonché autore di numerosi saggi “la fine del Regno Unito è un probabile esito della hard Brexit verso cui il primo ministro Boris Johnson sta portando il paese a rotta di collo. Che prospettive ci sono?” si chiede lo scrittore aggiungendo che “a detta dell’ex primo ministro Tony Blair si dovrebbe andare dritto ad un secondo referendum”. Ipotesi molto lontana dalla realtà in quanto in tre anni di trattative, malgrado le indicazioni che venivano da più parti, sia la May che oggi Johnson si sono rifiutati categoricamente di prendere in considerazione questa ipotesi, lasciando dunque che si rafforzasse sia la posizione degli scozzesi autonomisti, decisi a procedere oggi ad un referendum per uscire dalla Gran Bretagna, che degli irlandesi i quali – difronte ad una catastrofe economica in caso di Brexit – stanno dialogando per realizzare infine la agognata riunificazione del paese tanto attesa da decenni ormai. La Great Britain si prepara dunque a diventare la Little Britain, rinunziando al suo passato ma soprattutto alla prospettiva di rientrare nella coalizione europea. Un gesto di arroganza del governo? Non improbabile, anche perché non si conoscono altre motivazioni. L’uscita dall’UE ridimensionerà il ruolo della Gran Bretagna in Europa e nel mondo ma soprattutto renderà il paese sempre più dipendente dall’ ingombrante alleato USA che sta preparandosi per far accogliere il paese nella sua orbita politica. L’istrione inglese che oggi occupa il posto di primo ministro, individuo conosciuto più per le proprie stravaganze che per esperienza politica, è sordo anche agli appelli che gli provengono dal mondo economico, preoccupato per l’isolamento in cui finirà il paese e per la incertezza nel futuro. A conferma della gravità della crisi, in questi giorni lo speaker della Camera dei Comuni, John Berkow, ha dichiarato di dare le dimissioni al più tardi il 31 ottobre, dopo aver occupato quel posto per dieci anni. Nel suo discorso di addio egli ha difeso strenuamente il Parlamento dichiarando, con le lacrime agli occhi “se degradiamo il Parlamento, siamo tutti quanti in pericolo” meritandosi un’aula di applausi scroscianti anche da parte dei laburisti. Scrive il corrispondente da Londra de La Repubblica “Comunque la si pensi su di lui, Mr. Speaker lascerà un vuoto enorme. E Londra perderà un’altra delle poche certezze rimaste”.   Qualche settimana ancora resta al premier Johnson, prima della scadenza prevista del 19 ottobre, per fare marcia indietro rientrando in Europa. Ormai può contare solo su alcuni sodali, essendo stato abbandonato anche dal fratello, per cui, dignitosamente, potrebbe riconoscere i suoi errori e riportare la pace in Europa. Sarà capace di farlo? Saprà rinunziare alla sua arroganza? Poche speranze ci sono ma il panorama potrebbe ancora cambiare, soprattutto se resta la minaccia di arresto (e sarebbe la prima volta nella storia del Parlamento inglese) se non rispettasse la legge che lo obbliga a richiedere all’UE un ennesimo rinvio della Brexit, se non avesse un accordo sottoscritto entro il 19 di ottobre. Inoltre, nell’ultima ed unica seduta del Parlamento inglese, dopo la pausa estiva, l’opposizione ha ottenuto che fosse votato un ordine del giorno che obblighi il governo a presentare la documentazione della trattativa svolta in questo periodo con l’UE, così come a parole ha dichiarato il premier. Quello che non ha ottenuto il Parlamento e la protesta di larghi strati della popolazione, potrebbe essere ottenuta con la minaccia di un arresto per oltraggio al Parlamento.

11/9/2019

(Avv. E. Oropallo)

 

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