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IL GRUPPO VISEGRAD E LA CONVENZIONE DI ISTANBUL

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro le violenze nei confronti delle donne e la violenza domestica, venne adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7.4.2011 in occasione della 121° sessione del Consiglio dei Ministri che si tenne ad Istanbul. La violenza sulle donne e sulle bambine rappresenta una estesa e grave violazione dei diritti umani, universalmente presente in ogni paese o area del globo, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali e culturali e a tutti i ceti economici mentre gli abusi e le violenze sono perpetrate nella maggior parte dei casi all’interno del nucleo familiare: si stima che circa sette donne su dieci nel mondo abbiano subito in qualche momento della loro vita una qualche forma di violenza, nella maggior parte dei casi perpetrata da persone a loro vicine. Queste stime tengono anche conto degli episodi di violenza che non vengono denunziati dalle donne. In Australia, Canada, Israele, Sud-Africa e Usa, la violenza di genere costituisce tra il 40 e 70% degli omicidi. Le statistiche sul femminicidio in Italia mostrano come anche in Italia il fenomeno è in aumento. Ma ci sono varie forme di violenza domestica e sessuale come i matrimoni contratti prima dell’età adulta, le mutilazioni genitali o l’uso dell’acido per sfigurare la donna, e ancora le minacce ed il terrore psicologico, a cui è riconducibile il fenomeno dello stalking. L’adozione della Convenzione fu accolta con grande favore in ambito internazionale ed è stata firmata da molti Stati europei tra i quali l’Italia che l’ha ratificata all’unanimità nel 2013. Purtroppo, fino ad oggi, alcuni Stati membri dell’UE non hanno ancora ratificato la Convenzione. Secondo un documento pubblicato dall’UE nel 2018 c’erano ancora 11 Stati membri che non l’avevano ratificata, come scrive recentemente sulle pagine della rivista web “Affari Internazionali” Massimo Congiu. In particolare, l’autore si occupa della decisione assunta dal governo ungherese di non ratificare la Convenzione perché promuoverebbe “ideologia di genere distruttiva” e “sarebbe contraria alla legge ungherese e alle posizioni dell’esecutivo”. Per questo ultimo aspetto non abbiamo dubbi che la legge non sia gradita al potere esecutivo. Per David Vig, direttore di Amnesty International Ungheria, scrive sempre l’autore dell’articolo, “la mancata ratifica del Trattato che il paese aveva già firmato nel 2014 è un grave errore” in quanto a suo avviso “i violenti potranno contare su una certa impunità”. Ribatte Orbàn, premier ultra-conservatore che “le leggi in vigore nel paese sono più che sufficienti a contrastare la violenza sulla donna e quella domestica in generale”. La posizione ungherese non è affatto isolata in Europa. Altri Stati non hanno ratificato la Convenzione e c’è da aggiungere – si legge ancora nell’articolo che – “anche laddove la ratifica ha avuto luogo si verificano sovente lentezze e problemi nell’applicazione del Trattato”. Tra i paesi che fanno parte del gruppo “Visegrad” la Repubblica Ceca si è limitata a firmare solo la Convenzione nel 2016 senza ratificarla, come la Slovacchia. Insomma questo gruppo di paesi si può dire vanno d’accordo sia per quanto riguarda il problema migranti sia per quanto riguarda la violenza di genere a conferma dell’esistenza di una forte discriminazione nei confronti delle fasce sociali più vulnerabili. Del gruppo fa parte anche la Bulgaria. Dopo che era stato firmato nel 2016 il Trattato dall’allora Ministro della Giustizia, nel 2018 la Corte Costituzionale di Sofia ha dichiarato che il documento è incostituzionale, perché ammette tra l’altro anche il matrimonio omosessuale e il terzo sesso, aspetto inconciliabile con la Costituzione che riconosce solo due sessi. Insomma, tutto fa brodo perché la donna continui ad avere un ruolo subalterno in un paese che inneggia alla religione e alla famiglia, valori ritenuti sani e inviolabili. Niente di nuovo sotto il sole: anche nella nostra penisola, Orbàn e soci, sono in buona compagnia. Certo, anche se questa società, perlomeno nelle sue intenzioni migliori, tenta di arginare questo vasto fenomeno, va ricordato che ogni forma di discriminazione sociale è difficile da estirpare in una società divisa in classi, dove si perpetua lo sfruttamento di larga parte dell’umanità per tenere alta la bandiera del nazionalismo, il mostro che genera queste forme di discriminazione. E ciò ci dice perché nonostante decenni di mobilitazione e sensibilizzazione della società, la violenza continua a dilagare e a fare migliaia di vittime innocenti. Nonostante la Convenzione possa ritenersi un valido strumento giuridico per la difesa delle donne, bisognerà incidere profondamente sull’assetto della nostra società che legittima questa ennesima forma di discriminazione. La lotta dunque delle donne non può costituire un capitolo chiuso perché sarà il carburante necessario per accelerare il cambiamento sociale.

19/5/2020

 

Il gruppo Visegrad e la Convenzione di Istanbul

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