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IL FUTURO DELLA SCUOLA ITALIANA

Mi voglio qui occupare di un argomento lontano, ma solo in apparenza, dai miei interessi. Una buona scuola che possa licenziare allievi con un’adeguata preparazione è il presupposto necessario per garantire buoni cittadini e professionisti in grado di svolgere decorosamente il loro impegno professionale. Purtroppo, aver frequentato una “buona” scuola, non è più una garanzia di buona preparazione professionale, qualunque sia il settore nel quale si lavora. Più grave ancora è l’assenza di un’adeguata preparazione di chi lavora nella scuola e prepara i giovani per il loro inserimento nel mondo del lavoro. Perché se manca un’adeguata preparazione dell’insegnante, questo non può che riflettersi sulla preparazione generale degli studenti, che si rivolgono spesso – per risolvere un problema o affrontare un argomento di cultura generale – alla rete, fonte di informazioni molto spesso approssimative se non false. Ebbene ciò che non si può nascondere che la scuola italiana, anche per la crisi che attraversa ormai da decenni, per l’assenza di una programmazione, di una carenza ormai patologica di docenti, non fa che trasmettere una cultura lontana sia della realtà sociale che dal mondo della produzione allargando il divario tra scuola e società. Conseguenza ne è che i nostri studenti della scuola superiore hanno un certo gap rispetto ai coetanei di altri paesi europei, soprattutto nel settore delle scienze esatte, come matematica e fisica. Per la scuola italiana oggi c’è bisogno di “forti investimenti” per avere innanzitutto delle strutture idonee, soprattutto al Sud dove i problemi sono molto più gravi che al Nord, ma anche per l’aggiornamento periodico del personale insegnante. La scuola deve diventare una palestra dove si possa discutere, dialogare, confrontarsi con gli altri senza pregiudizi e soprattutto superando ogni forma di discriminazione. Non a caso anche nella scuola spesso si riflette il clima di violenza che si respira nella nostra società, soprattutto nei confronti delle donne, per cui è necessario fornire agli insegnanti gli strumenti essenziali per allontanare il rischio che si trasferisca anche nelle aule scolastiche una violenza maschilista o anche di gruppo. Per evitare ciò, c’è bisogno di una maggiore collaborazione tra docenti e studenti, tra professori e famiglie e soprattutto, aprendo le scuole anche a professionisti che lavorano nei diversi settori della società, per fornire sia ai docenti che agli studenti gli strumenti culturali per affrontare questi problemi in maniera non più settoriale ma attraverso una più approfondita conoscenza della società nella quale oggi viviamo. Avviando in questo modo un processo di recupero di quanto è stato dimenticato in questi anni, a partire dalla conoscenza della storia, del mondo classico, dello sviluppo scientifico in modo da poter assicurare alla società un ricambio generazionale per gli anni a venire. Certo, e qui mi riporto all’episodio di cronaca, fatti come quelli raccontati da un commissario d’esame nel concorso per dirigenti scolastici – riportato nel quotidiano La Repubblica del 28 agosto scorso – non ci può sorprendere anche se ci dispiace. In effetti, molti esaminandi, superate le prove scritte, si son visti bocciare agli orali da una Commissione ritenuta troppo severa. Chi presiedeva quella Commissione ha raccontato che non gli era mai capitato – nel corso della sua lunga carriera scolastica – di trovarsi difronte, in un concorso così importante, a candidati “che fossero così deboli, spaventati o impreparati”.   Con scarsa conoscenza delle lingue straniere soprattutto, ma vi era stato anche chi non era in grado di calcolare una percentuale o che non sapesse quale fosse la differenza tra sciopero bianco e serrato, tanto per riportare qualche esempio. Non dubito che le cose siano andate proprio così anche perché – nella mia breve ma interessante esperienza scolastica – come insegnante nelle scuole superiori – parlando con i miei allievi, ho verificato come spesso i giovani avessero una scarsa propensione alla lettura, base essenziale per migliorare la conoscenza della grammatica e della sintassi mentre ho conosciuto tanti colleghi più anziani di me – all’epoca – che dopo anni di insegnamento si sentivano disillusi  per il loro lavoro di docenti, vuoi a causa dello stipendio basso, vuoi a causa delle incrostazioni burocratiche e corporative della struttura  scolastica. Va ricordato che la società italiana, anche dopo la seconda guerra mondiale, presentava una grossa percentuale di analfabetismo che è stata la costante degli anni ‘50. Elemento questo negativo per l’innalzamento del tenore di vita e della crescita culturale della società tutta. Un grosso passo avanti fu fatto negli anni ‘60-‘70, quando il boom economico aprì la scuola italiana a milioni di giovani e adolescenti che andavano a costituire, ai vari livelli, la struttura portante dello sviluppo industriale. Oggi ci troviamo per molti versi in crisi: mancano molti addetti alla produzione ed il sistema sociale non è più in grado di assicurare un lavoro alle nuove generazioni che sono costrette ad emigrare mentre si diffondono nuove forme d’ignoranza che bloccano il ciclo produttivo mentre l’assenza di una pur minima forma di programmazione lascia ampi settori produttivi fermi per cui si è costretti ad importare personale tecnico per colmare i vuoti determinati dall’ emigrazione intellettuale. Si pensi alla carenza di medici, ma anche di infermieri o di addetti nel settore agro-alimentare. Tra i primi impegni di questo nuovo governo ci dovrebbe essere quello di avviare un processo di rinnovamento del sistema scolastico, e dell’educazione che possa mettere il paese alla pari con gli altri paesi europei. Impresa direi titanica alla luce sia delle scarse risorse che oggi ci sono ma soprattutto a causa della classe politica che non riesce ad avviare un piano di intervento nei settori portanti del paese, a cominciare proprio dalla scuola, perché la scuola, benché qualche benpensante ritenga il contrario, alla fine è il vivaio cui dobbiamo attingere per assicurare un futuro al nostro paese.

Il futuro della scuola italiana

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