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IL DOPO REFERENDUM: ALTRA BATTUTA DI ARRESTO PER LE RIFORME

Forse qualcuno credeva che, all’indomani della vittoria del Sì, il governo avesse preso in seria considerazione l’ipotesi di accelerare i tempi sia per quanto riguarda la revisione dei decreti Salvini sia per quanto riguarda l’approvazione della legge elettorale. Ma così non è. Per quanto riguarda il primo obiettivo, se sul piano europeo c’è molto da lavorare per modificare il Trattato di Dublino sull’asilo politico, potrebbe già essere in dirittura d’arrivo l’approvazione alle Camere del “decreto immigrazione” da settimane sul tavolo del premier Conte. Il testo è quello controfirmato il 12 agosto da tutti i capi della delegazione della maggioranza, M5S compreso. Il decreto che va oltre anche le modifiche richieste dal Presidente Mattarella con l’ampliamento della protezione speciale, offrendo possibilità di integrazione anche ai richiedenti asilo e non solo ai rifugiati, attende solo di essere approvato. Il PD ha fatto capire che non intende modificare neanche un punto del testo, pur temendo lo sgambetto di una parte del M5S che verrebbe a suscitare nuove polemiche, nonostante il capo della delegazione del M5S abbia precisato che il decreto va solo modificato ma non cancellato, come volevano alcune frange della sinistra del PD. Comunque il testo è condiviso formalmente anche dal terzo settore, ONG compreso. Il capo dei deputati PD alla Camera, Graziano Del Rio, dichiara nel corso di un’intervista resa a La Repubblica di venerdì scorso che “bisogna smettere di usare l’immigrazione come propaganda politica….la Destra ritiene che più si allargano i diritti più la società diventa debole, noi invece l’opposto: che con più diritti si rafforza la democrazia”. Vedremo se alle parole seguiranno i fatti ma è sulla legge elettorale che lo scontro è più visibile. “La maggioranza è spaccata – scrive La Repubblica del 24 settembre – la legge doveva andare in aula alla Camera questa settimana, invece slitta rivelando tutte le contraddizioni in seno alla maggioranza. LEU vuole abbassare lo sbarramento e Renzi dice ancora no al sistema proporzionale mentre Grillo continua ad opporsi ad entrambe le ipotesi, sia a quello del sistema maggioritario che a quello proporzionale, riprendendo il solito refrein”. “Credo nella democrazia diretta, non in quella parlamentare” senza alcun timore di far sorridere come era solito fare sulla scena o nelle piazze. Forse sarebbe pronto a ritornare in piazza per far votare le leggi dal popolo tra un bicchiere di vino e una risata. Nulla di più indecente di quanto fa questo governo che ormai ha esautorato il Parlamento, continuando ad emettere decreti a raffica. Lo stesso Del Rio nell’intervista sopra richiamata ha criticato il governo “Non si usa – ha dichiarato – la decretazione d’urgenza come strumento ordinario”. Ed anche al Parlamento va restituito autorevolezza. Eppure il governo ha ottenuto il prolungamento dello stato di emergenza fino ad ottobre, pensando Conte di prolungarlo fino alla fine dell’anno, potendo così decidere il governo come investire i fondi che arriveranno nei prossimi mesi senza alcun controllo da parte dell’organo parlamentare. Per ritornare alla legge elettorale il prof. Prodi “stronca il sistema proporzionale che condannerebbe l’Italia ad una situazione di instabilità”. Fedeli al sistema maggioritario restano anche altri importanti fondatori del partito, come l’ex premier Gentiloni e l’ex Segretario del PD Valter Veltroni. “Rimettere in discussione il sistema proporzionale significa far saltare l’accordo raggiunto con il M5S e noi non ce lo possiamo permettere” fa notare Gianni Cuperlo mentre Matteo Orfini, ex presidente del partito, osserva che “il PD per sua natura è a vocazione maggioritaria ma quella vocazione si esprime meglio con il proporzionale”. “I tempi lunghi della riforma non potranno che alimentare la discussione in casa dem.” scrive La Repubblica del 24.9. Insomma, zuffa continua fidando che poi alla fine si troverà un “ragionevole accordo”. Nel frattempo la legge elettorale, che sembrava fosse essenziale approvare al più presto, rischia di infognarsi in una polemica che potrebbe durare anche anni (tanto le prossime elezioni sono previste per il 2023), rivelando che spesso l’unica soluzione su cui si trovano l’accordo sia quella di rinviare a tempi migliori, fino a quando sia possibile, salvo poi, all’ultimo momento, partorire una soluzione pasticciata che non finirebbe che sollevare nuove polemiche. Mentre non crediamo al fatto che il M5S resti al palo: come un gatto soriano, aspetta il momento opportuno per aprire la bocca, aggiungendo altra carne a cuocere.

28/9/2020

Il dopo referendum,altra battuta di arresto per le riforme

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