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IL CASO REGENI

Dopo un vertice tra il procuratore capo di Roma e il procuratore generale del Cairo, che si è chiuso con un nulla di fatto, la Procura di Roma ha rinviato a giudizio i cinque agenti della National Security senza la collaborazione giudiziaria del Cairo che ritiene ancora ignoti i sequestratori del giovane ricercatore italiano per cui la Procura del Cairo procederà con un processo autonomo poiché ritiene che il ricercatore sia stato ucciso da una banda di “falsi” poliziotti nel corso di una rapina ai danni del giovane. Neppure il Governo egiziano ha ritenuto di fornire il domicilio dei cinque poliziotti indagati dalla procura di Roma per cui si rischia di porre in discussione la legittimità del processo che sarà celebrato in Italia. Nel comunicato congiunto si legge che “la Procura Generale d’Egitto rispetta le decisioni che verranno assunte dalla Procura di Roma nella sua autonomia” un passaggio questo importante – secondo alcune fonti – perché sembra che l’Egitto “si impegna a rispettare l’esito del processo, circostanza niente affatto scontata” scrive La Repubblica del 1° dicembre perché “il Tribunale di Roma non aveva bisogno di vedersi riconosciuta la piena sovranità nel celebrare un processo nei confronti di cittadini stranieri accusati di aver commesso un reato ai danni di un cittadino italiano”. L’avvocato di Regeni, Alessandro Ballerini ha dichiarato che “le strade fra le due procure non sono mai state così divise”, denunciando i numerosi tentativi di depistaggio da parte degli organi giudiziari del Cairo, mentre non si è fermata la collaborazione commerciale tra le due sponde, ché, anzi, la fornitura di armi all’ “alleata” è andata a buon fine nel silenzio più assoluto. In realtà, fin dall’inizio di questa storia era stato fatto presente il punto di vista della diplomazia italiana che si trattava di due vicende diverse che non potevano andare nella stessa direzione. “In questi anni – spiegano i genitori di Giulio – è stata data priorità alla normalizzazione dei rapporti tra Italia ed Egitto per sviluppare i reciproci interessi nel campo economico, finanziario, militare e del turismo”. “Come mai Giulio – si chiede la madre – un cittadino italiano non è stato salvato da un paese che era amico e che continua ad essere amico?” aggiungendo qualche mese fa, dopo la decisione del governo di vendere le armi all’Egitto, di sentirsi traditi mentre l’avv. Ballerini chiede al governo di mostrare che “la giustizia non è barattabile”. Al contrario, la decisione di vendere le armi all’Egitto, l’ipocrisia di un governo che parla di rispetto di diritti e poi, dietro le quinte, va a braccetto con Al-Sisi – ma non è il solo a farlo – dovrebbe insegnarci che il terreno politico oggi è lastricato da vittime innocenti e che non esiste la Giustizia, come ci hanno insegnato nelle aule universitarie, ma una “ragion di Stato” che dietro le quinte nasconde la debolezza del diritto. Se si guarda alle vicende di questi ultimi anni, la ragion di Stato ha consentito non solo l’omicidio come strumento da utilizzare per eliminare l’avversario politico ma ha giustificato anche l’uso della tortura nei confronti di innocenti, senza dimenticare gli eccidi di massa di cittadini sacrificati agli interessi nazionali. Chi pagherà per questi delitti? Non si illudano i genitori di questo giovane italiano che ci sarà ai chi pagherà per questo crimine. In altre situazioni analoghe, altri giovani innocenti come Giulio, hanno perso la vita, colpevoli solo di aver creduto alla sacralità della vita, al loro impegno professionale, restando vittime innocenti di un disegno criminale che ormai fa parte della politica internazionale. A questi giovani che hanno sacrificato la loro vita, ai loro familiari va la nostra più ampia solidarietà, considerando che il loro sacrificio non sarà stato vano se riusciremo a cambiare questo sistema politico a cui non possiamo riconoscere più alcuna legittimità nel costruire il futuro delle giovani generazioni.

15/12/2020

Il caso Regeni

 

 

 

 

 

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