skip to Main Content

IL CASO REGENI e i LIMITI DELLA POLITICA

Ritorna il caso Regeni, in verità mai chiuso, dopo gli ultimi sviluppi della situazione. Dopo che i genitori di Regeni avevano criticato la linea seguita dal Ministro degli Esteri che pochi giorni prima aveva salutato i solidi legami politici con l’Egitto che ha acquistato materiale militare ad alta tecnologia, il quale con una lettera inviata al suo omologo egiziano ricordava che “i rapporti bilaterali tra Italia ed Egitto non possono prescindere dalla verità sulla morte di Giulio Regeni. Per questo serve un rapido riscontro alla rogatoria richiesta dalla Procura del Tribunale di Roma, in particolare fornendo all’autorità giudiziaria italiana il domicilio legale degli indagati”. Atto necessario, come abbiamo scritto, per formalizzare l’apertura del procedimento penale nei confronti degli indagati. Rogatoria che poi si è tenuta il primo luglio scorso con esito del tutto negativo, anche dopo una telefonata intercorsa tra il presidente Conte che era stato rassicurato da parte egiziana dell’incontro tra le due procure e della restituzione dei vestiti di Giulio. Il gesto simbolico promesso da Al Sisi si è rivelato un’altra presa in giro in quanto gli oggetti restituiti alla famiglia sono gli stessi che a marzo 2016 non furono riconosciuti appartenenti a Regeni. Giuseppe Conte nell’audizione davanti alla Commissione d’inchiesta sul caso del ricercatore italiano ha difeso la scelta “di mantenere un’interlocuzione con l’Egitto e di non interrompere il dialogo bilaterale” non considerando utile il ritiro dell’ambasciatore italiano che era stato suggerito anche dal Presidente Fico. Ancora peggio è andato l’incontro da remoto tra le due procure in quanto la Procura egiziana non ha fornito alcuna risposta alla rogatoria inviata dalla Procura di Roma nell’aprile dello scorso anno e non ha comunicato neppure l’indirizzo dei cinque agenti della National Security indagati dalle autorità italiane suscitando l’ira dei genitori di Giulio. Mentre il PD risponde con il silenzio, Giuseppe Conte (La Repubblica del 2.7 invece) non cambia idea “non è il tempo di ritirare l’ambasciatore e non ha senso legare il dossier Regeni con quello della vendita delle fregate al Cairo” ed anche Luigi Di Maio non sembra disposto allo strappo definitivo. Infine in un articolo pubblicato sulle pagine sempre de “La Repubblica” del 2.7, Carlo Bonini afferma che “da qualunque parte lo si voglia osservare, l’esito del vertice da remoto, è uno schiaffo senza precedenti non solo alla famiglia ma ad un intero paese” aggiungendo che “nella mossa egiziana c’è evidentemente del metodo. Confondere le acquisizioni di quattro anni di cooperazione giudiziaria e mettere in discussione la figura di Giulio” che si vorrebbe far passare come uno spione al soldo della Gran Bretagna. Ma la mossa egiziana, ed è quello che più conta, porta allo scoperto “tutta la drammatica improvvisazione, debolezza e balbettio della gestione di Palazzo Chigi e della Farnesina di questa vicenda  che ha soltanto contribuito a convincere definitivamente il Cairo che Roma brandisce una pistola semplicemente scarica” “una vera e proprio Caporetto diplomatica di Palazzo Chigi” è l’affondo finale del giornale. Rinunzierà dunque il governo a vendere all’Egitto la fornitura di armi? Si tratta di una fornitura di diversi miliardi di euro per cui, in questi periodi di magra, aggiungeremmo un’altra perdita secca al bilancio statale, mettendo in crisi anche le industrie di Stato che hanno lavorato sia per la produzione che per la consegna di questo materiale. C’è da aggiungere che è stato proprio Di Maio ad illudersi che potesse usare come merce di scambio, per chiudere la vicenda Regeni, la fornitura di armi per l’Egitto. Al contrario, sono proprio Conte e Di Maio ad essere rimasti prigionieri di questo passo falso, illudendo sia la famiglia Regeni che l’opinione pubblica italiana ed internazionale di avere tutti i mezzi  sia per chiudere il contratto che per ottenere soddisfazione da parte egiziana. Il fallimento politico potrebbe giustificare anche le dimissioni di entrambi ma è illusorio, in questa situazione in cui versa oggi l’Italia, pensare che ne abbiano il coraggio. Non abbiamo dubbi che la vendita ci sarà e che il governo troverà anche le parole per giustificarsi ma anche il PD con il suo silenzio, dopo aver tanto richiesto, conferma di seguire la linea scelta dal Capo di Governo. La battaglia della famiglia Regeni, lo ripetiamo, non è solo una battaglia per assicurare alla giustizia gli assassini di Giulio ma ci ricorda anche che i diritti umani non possono essere calpestati impunemente. Se resta impunito anche questo ennesimo delitto di Stato, finiremo per giustificare altre nefandezze del sistema politico per cui in questo, come in altre occasioni, dobbiamo essere pronti a rivendicare e difendere il primato del diritto universale a garanzia dei valori fondanti della nostra convivenza umana e per questo il caso Regeni resta un caso aperto che continueremo a seguire fino a che non ci sarà un giudice a Roma o a Bruxelles che sappia ridare fiducia a chi ancora crede nella solidarietà umana e nel rispetto della giustizia. Solo allora potremo dirci soddisfatti.

9/7/2020

Il caso Regeni e i limiti della politica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

www.dirittoineuropa.eu

Back To Top
Translate »