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GIUSTIZIA ALLA DERIVA

Alla ripresa dell’attività giudiziaria, è continuata la pioggia di messaggi provenienti dagli Uffici giudiziari che sono andati ad intasare le nostre scrivanie. Si attendeva, sinceramente, visto che sono passati due mesi dalla chiusura che, dietro le porte chiuse, le Cancellerie avessero potuto utilizzare quel tempo libero dagli impegni quotidiani per trasmettere in via telematica provvedimenti, sentenze e ordinanze emesse dai giudici. Niente di tutto ciò perché i Cancellieri non erano stati autorizzati ad entrare nella rete e, peraltro, ben hanno fatto i Magistrati a starsene a casa, lontani dalle scartoffie. Insomma, siamo rimasti senza lavoro e gabbati da questo carrozzone di burocrati che non ha saputo fare in modo che alla riapertura le udienze, anche quelle da remoto, potessero svolgersi regolarmente. All’apertura, si sono vissute scene di ordinario disordine. Lunghe code davanti ai varchi e difficoltà di mantenere la distanza di sicurezza con file interminabili in particolare alle Cancellerie. Un vero e proprio colpo di grazia ad un sistema che già viaggiava a scartamento ridotto prima della pandemia. Le aule non climatizzate sono subito diventate poco vivibili, anche per la carenza del personale in servizio. A Roma, Torino, Napoli e Milano si sono vissute ore difficili. Il Presidente dell’Unione delle Camere Penali italiane ha osservato che “la fase 2 sembra partire per tutti ma non per la giurisdizione, vediamo processi già fissati a maggio e a giugno rinviati in alcuni casi all’anno prossimo”.Dati confermati in quasi tutti i Tribunali senza eccezione alcuna. Con la sospensione dei termini, anche per il deposito di provvedimenti giudiziari, si sono allungati i tempi delle cause. Il Consiglio Superiore della Magistratura ha promesso di lavorare per introdurre linee guida che garantiscano una tendenziale uniformità dei criteri di gestione per la progressiva ripresa dell’attività giurisdizionale a tener conto degli oltre 200 protocolli adottati fino ad oggi dagli uffici giudiziari sollevando un coro di proteste per l’uso sempre più massiccio del Processo Telematico. Luigi Bobbio – Magistrato presso il Tribunale di Nocera Inferiore, ex PM dell’antimafia napoletana – concorda con gli avvocati che “il processo va fatto in aula e l’unico protocollo da seguire deve essere il codice, quello di procedura penale e di procedura civile”. “Sembra quasi –osserva Bobbio – che qualcuno abbia voluto cogliere nella vicenda dell’epidemia un’occasione quasi insperata per spingere verso lo stravolgimento delle regole e non va bene” osserva “e che il processo telematico, con il distanziamento, lo sbilanciamento e la perdita di concretezza del rapporto processuale, appare come un ulteriore tentativo di marginalizzare il ruolo dell’avvocato nell’ambito del processo penale”. Si tratta certamente di una voce fuori dal coro ma è un dato di fatto che “il processo telematico non è un processo ma un’altra cosa” aggiunge Bobbio. Purtroppo c’è da aggiungere che anche una parte dell’avvocatura è d’accordo nella valutazione di questo strumento perché ritengono che esso sia in grado di velocizzare i processi. A parte che questo non corrisponde alla realtà, non si è valutato la marginalizzazione del nostro ruolo. Bisogna dunque lavorare per restituire alla nostra funzione la dignità che la Costituzione ci riconosce e che oggi viene calpestata da una classe politica che sta limitando sempre di più gli spazi di libertà.

14/5/2020

giustizia alla deriva

 

 

 

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