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CRISI ENERGETICA IN EUROPA

Al convegno sull’energia, “l’UE si spacca sulla crisi del gas con l’aggravante che la Germania ha deciso di agire per conto proprio con un fondo da 200 mld. Un vero colpo all’Unione con i 27 costretti a muoversi singolarmente come è accaduto due anni fa all’inizio della pandemia”.

Si tratta di una decisione che ha reso evidente come l’Europa sia divisa su questi temi, soprattutto quando la Germania e l’Olanda si sono opposte a fissare un tetto al prezzo del gas come aveva richiesto un gruppo di Stati tra cui l’Italia. Tutto rinviato, nel migliore dei casi, al prossimo incontro in attesa di una nuova proposta della Commissione. Via libera, dunque, solo all’accordo sul taglio del 5% dei consumi nelle ore di punta. Anche questa è una decisione che non porta da nessuna parte essendo basata solo su una scelta volontaria dei singoli Stati. La discussione proseguirà. Modo per prendere tempo ed evitare uno scontro che potrebbe essere pericoloso per il futuro dell’UE. “La notizia del piano tedesco è stata inusuale – ha ammesso il capo di Gabinetto all’Energia Simson –  nei tempi e, anche se legittima, mostra chiaramente che ogni misura nazionale è insufficiente ed iniqua”. Molti dei presenti hanno fatto riferimento alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Draghi che aveva criticato con asprezza la scelta di Scholz. Anche il Commissario Gentiloni è stato abbastanza duro “non possono pensare che di fronte una crisi di questo genere, che riguarda tutti, ciascuno risponda per sé. Effettivamente la decisione del governo tedesco ha colto di sorpresa gli altri capi di Stato e di governo presenti al convegno. Di nuovo viene fuori la spaccatura tra paesi del Nord-Europa  e la fascia dei paesi mediterranei”.

Ma non si può criticare il comportamento della Germania che, probabilmente, si sta rendendo conto come la decisione di accodarsi alla scelta degli USA di lanciare una sfida alla Russia, non sia stata una scelta dettata dal buon senso. Una scelta che era stata appoggiata soprattutto dall’ex premier italiano che si era più volte sentito con il Presidente USA parlando a nome di tutta l’UE per cui i tedeschi hanno dovuto fare  buon viso a cattivo gioco per mantenere salda l’Unione. In effetti, anche l’Italia non è stata da meno in quanto il nostro Ministro degli Esteri, in questi ultimi mesi, ha avuto contatti sia con il governo di Algeri che con quello egiziano  per assicurare all’Italia la fornitura di gas in risposta alla decisione del Presidente russo di bloccare le forniture ai paesi dell’UE che aveva preso una serie di pesanti sanzioni nei confronti della Federazione russa. A conferma che, in periodi di crisi, i singoli paesi fanno presto a dimenticare gli obblighi derivanti dalla loro appartenenza all’UE. In effetti, 15 paesi – compresi l’Italia, la Francia e la Spagna- avevano chiesto che si mettesse un tetto al prezzo del gas (Price cap) mentre Borrell spingeva per imporlo solo alla Russia temendo che i carichi via mare potessero prendere altre direzioni. E’ il caso anche del nostro Paese che, da paese importatore, è diventato paese esportatore. Le cause di questo fenomeno sono diverse. Il gas russo è stato sostituito dal gas in arrivo via nave da fornitori come la Norvegia e Azerbaijan; inoltre le temperature non si sono ancora abbassate mentre le riserve per il prossimo inverno sono arrivate al 90% per cui l’Italia potrebbe vendere il proprio gas in surplus.

Anche se, a causa della manutenzione di 32 centrali nucleari su 50 in Francia, questa potrebbe bloccare l’export in Italia di energia elettrica prodotta con il nucleare nei prossimi due anni e senza l’elettricità l’Italia avrebbe bisogno di più gas. Insomma l’Italia resta un paese a rischio. Con il calo delle forniture dalla Norvegia e i timori sulle infrastrutture  in Algeria e in Egitto, non è esclusa una brutta sorpresa. Lo stesso presidente dell’Eni è stato chiaro, “difficile essere ottimisti”. L’Italia potrebbe sganciarsi dalle forniture del Cremlino solo nel 2024 sempre che entri in funzione la nave rigassificatrice a Piombino per la prossima primavera. Ma anche questa è una scommessa che potrebbe farci passare l’inverno al freddo e che potrebbe far crollare il PIL italiano allo 0,1 %, come ha ripetuto Descalzi. Per ora, in Italia c’è abbondanza di gas, dopo il contratto sottoscritto con l’Azerbaijan.

Sul mercato interno, il prezzo di riferimento del gas è di 130 euro al termawattora contro i 168 euro di riferimento alla Borsa di Amsterdam. Con questa differenza di prezzo qualche trader ha venduto all’estero una parte del gas. Il 4 ottobre ne sono stati esportati 19 milioni di metri cubi, un quinto dei consumi giornalieri, confermando così i dubbi espressi dalla Commissione europea di non poter controllare questi flussi che fanno solo alzare i profitti dei fornitori scorretti. Ancora Descalzi, l’altro giorno, diceva “di fare in modo che questo non avvenga”. In alternativa al gas si può ricorrere anche ai combustibili di origine vegetale che, però, sono diventati introvabili e hanno prezzi raddoppiati a causa del blocco dell’export deciso dai paesi dell’Est. “La legna da ardere – scrive La Repubblica del 3 ottobre – è diventata l’oggetto del desiderio di molti Italiani, terrorizzati dall’idea di rimanere senza gas”. I prezzi rispetto al 2021, conferma la Direttrice dell’Associazione italiana Energia Agro-forestale – sono aumentati dal 30 al 50% alla tonnellata.

Un’altra conseguenza della crisi è stata l’assalto all’acquisto di stufe a legna e pellet. Nel primo semestre 2022 si è avuto un incremento dell’8% delle vendite e “per le prossime consegne ormai andiamo già al 2023“ – spiega Carlo Rover, titolare della omonima ditta. Come ultima risorsa c’è il carbone che è ritornato “di moda” da quando Putin ha avuto l’idea di invadere l’Ucraina facendo crescere l’inquinamento atmosferico e così il mondo intero che si era appena salvato da una pandemia ora rischia di ritrovarsi nell’incubo recessione. Dall’Asia all’Europa, i governi riaccendono le centrali a carbone con una crescita esponenziale di CO2. Negli USA alcuni Stati hanno riaperto gli impianti e lo stesso ha fatto la Cina perché non voleva ripetere i razionamenti di energia del 2021. Che sia un’energia sporca, oggi poco importa, ma non si vuole bloccare la produzione industriale. Ci risiamo con il mito del PIL. Non è possibile che oggi con un’economia circolare si debba tenere presente le esigenze della grande, media e piccola industria dimenticando gli interessi collettivi del mondo.

Insomma, il mondo intero rischia di entrare in un tunnel in fondo al quale si intravede solo la fine della nostra civiltà pur di tenere in piedi un sistema economico che ha fatto il suo tempo, solo per soddisfare la brama di potere delle grandi potenze. L’attuale classe politica dimostra di essere incapace di offrire risposte che vadano incontro agli interessi di tutta la popolazione.

Purtroppo, neanche l’UE si distingue dagli altri paesi: la Germania, che aveva abbandonato il nucleare dopo il disastro di Fukushima, produce oltre il 40% delle sue energie con il più inquinante dei fossili e anche l’Italia ha chiesto agli operatori di aumentare la produzione delle 6 centrali ancora in attività che ora coprono il 7 – 8 % del fabbisogno, mentre la Polonia ha confermato di chiudere le miniere solo nel 2050, sempre che sia superata questa crisi energetica. Produrre più carbone significa anche aumentare gli investimenti. Il Wall Street Journal ha segnalato che “la produzione di carbone in Cina e in India ha contribuito con un aumento del 10% degli investimenti globali nel 2021“.

La decisione del governo russo di bloccare le forniture di gas ha sconvolto il mercato dell’energia costringendo il mondo intero a ricorrere alle fonti energetiche tradizionali, in primo luogo del carbon fossile.

Ottobre 2022

CRISI ENERGETICA IN EUROPA

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