CONGO UNA TERRA SENZA PACE
L’uccisione dell’Ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo “accende – come scrive l’ISPI – i riflettori sulla Repubblica Democratica del Congo e sulle dinamiche di insicurezza profonda che attraversa la regione”. Lontana da questa realtà, l’Europa sembra sorprendersi per episodi efferati come questi. Ma è davvero tanto lontana l’Europa? Se si cercano le responsabilità per questo ennesimo eccidio, ebbene non bisogna escludere alcuna ipotesi. Un’altra rivista – Affari Internazionali – in un articolo del 25 u.s. a firma di Jean-Léonard Touadi – scrittore e accademico – scrive che “i conflitti nella regione dei Grandi Laghi ci riguardano da vicino”. L’Ambasciatore Attanasio si trovava nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, a 1.500 Km dalla capitale Kinshasa per rendersi conto di persona dello stato di avanzamento di progetti finanziati dalla cooperazione italiana ed in particolare di quello del World Food Programme che si occupa di fornire cibo e sostegno ai bambini delle scuole. Una regione di forte instabilità, destabilizzata dalla presenza di gruppi di guerriglieri, milizie armate e signori della guerra, in parte finanziato dai paesi vicini e in parte – scrive ancora la rivista – “da colossali interessi extra-africani”. Sarà molto difficile per questo individuare con precisione responsabili, mandanti ed esecutori. D’altronde, si trattava di un convoglio dell’ONU, generalmente scortato dai caschi blu presenti in gran numero in questa zona per cui viene da chiedersi – come ha lamentato la famiglia dell’Ambasciatore – perché non ci fosse alcuna scorta quando un altro convoglio di funzionari Onu la settimana precedente l’eccidio, percorrendo queste strade, era scortato da un drappello di “caschi blu”. Fatalità forse ma ci rifiutiamo di pensare che esso sia avvenuto per caso. Alcuni testimoni hanno parlato di un tentativo di rapimento: nella stessa area nel 2018 furono rapiti e poi rilasciati anche dei turisti inglesi e il loro autista. Inoltre, si ricorda che il convoglio dell’ONU è riconoscibile per le bandierine installate sull’auto. Quello che sconcerta è che in questa immensa regione dei Grandi Laghi su cui si affacciano diversi paesi come il Congo ma anche il Ruanda si è radicata una vera e propria “economia di guerra” ed è qui che si è combattuta la “prima guerra mondiale africana” che vide la sconfitta dei miliziani Hutu che lasciarono il Ruanda inoltrandosi nel territorio congolese, incalzati dai militari congolesi, che non sono mai riusciti ad espellerli. E’ incredibile che si parli di economia di sopravvivenza quando ci troviamo nell’area più ricca non solo dell’Africa ma del mondo intero. “L’area è ricca di minerali di pregio presenti nelle sue miniere dall’uranio ai diamanti passando per l’oro e il coltan, continua a scrivere la rivista, diventati negli ultimi anni il prodotto più strategico delle multinazionali”. Queste preferiscono trattare con i signori della guerra, alimentando così un circolo vizioso in cui le milizie vengono rifornite di armi e collaborano apertamente con queste aziende multinazionali. Gli abitanti di questa regione sono solo delle vittime escluse da questo “benessere materiale” che finisce nelle tasche dei grandi gruppi minerari che hanno sede in Europa e in altri Stati come gli USA. Questa è l’area dove lo stupro viene utilizzato come strumento di guerra e dove i bambini vengono inquadrati nelle milizie armate. La regione dei Grandi Laghi inoltre ha visto anche la penetrazione dei jihadisti dell’ISIS che vi hanno trovato terreno fertile per l’espansione dell’islamismo e del fondamentalismo anche se non si può definire il conflitto in atto come una guerra etnica. “Siamo difronte – conclude la rivista – a una guerra contemporanea, frutto della globalizzazione ed è bene rendersi conto che quello che è successo riguarda da vicino il nostro modo di vivere e di consumare”. Le imprese europee partecipano a questo saccheggio delle ricchezze di un paese che continua ad avere un tenore di vita ai limiti della sopravvivenza, sfruttando mano d’opera locale e mantenendo in molte regioni, soprattutto quelle ricche di risorse minerarie, in uno stato di guerra perenne. Scrive Giovanni Vernetti sul quotidiano La Repubblica che “la responsabilità di proteggere deve diventare una vera priorità per la comunità internazionale. Tornare ad occuparsene con serietà è una priorità per l’Italia e l’Europa”. In effetti l’Africa non ha bisogno solo di notevoli aiuti materiali ma di poter essere messa in grado di sfruttare le proprie risorse. L’ Europa si deve far carico di trasferire in Africa la nostra tecnologia ed investire nel settore ambientale per consentire anche ai popoli di questo Continente di poter sviluppare tutte le loro potenzialità, mettendo fine a questa politica di spoliazione che non consente a questo grande Continente di affrancarsi dalla fame, dalle malattie e dalle guerre.
Marzo 2021