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CARCERE E DEMOCRAZIA

Nonostante l’intervento sia delle Camere Penali che di Magistrati e di tante personalità del mondo politico e istituzionale a favore di un provvedimento di svuotamento delle carceri utilizzando gli strumenti previsti dalla normativa, senza dunque fare ricorso a strumenti emergenziali, continua il silenzio del Governo ma soprattutto del Ministro Bonafede che ormai da settimane non dà più segni di vita…
Recentemente, come scrive “Il Dubbio”, è intervenuto nel dibattito l’eurodeputato Giuliano Pisapia il quale ha dichiarato che “se vogliamo dare piena attuazione all’art. 27 della Costituzione che prevede la rieducazione del condannato ed indica come le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, l’unica strada da dover intraprendere è una più decisa e allargata applicazione delle pene alternative al carcere”, chiedendo, come richiesto da più parti, indispensabili modifiche migliorative al decreto legge all’esame del Parlamento che prevede la possibilità, per chi ha un residuo di pena da scontare minore a due anni, di ottenere gli arresti domiciliari.
Come richiesto anche da larga parte della Magistratura, ultimo l’intervento del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano. E va segnalato anche il recente intervento del Presidente f.f. del CNF che ha richiesto un intervento del governo sulle carceri evidenziando che “l’emergenza sanitaria in atto….impone soluzioni non più procrastinabili per ridurre la cronica situazione di grave sovraffollamento delle nostre carceri”.
Anche il segretario nazionale del PSI in una lettera inviata al direttore de “Il Dubbio” lamenta che nei confronti di questo argomento scomodo, “la politica ha assunto, specialmente in questo momento, un atteggiamento troppo timido, spesso inconsapevole, a volte reticente”, ricordando che “lo Stato ha il dovere, dettato dalla Costituzione, di tutelare la salute pubblica e che questo dovere è ancora più forte nei confronti di chi, privo della propria libertà, è sotto la custodia dello Stato stesso”. Difronte all’inefficienza ed al silenzio persistente del ministro Bonafede chiede “che si faccia da parte, da subito e fino a fine emergenza”,ribadendo che “vada emesso un decreto legge, per ragioni di urgenza, per concedere la detenzione domiciliare immediata a detenuti non socialmente pericolosi, non recidivi e che non si sono macchiati di reati gravi”. “Non sarebbe un atto di debolezza dello Stato, non un cedimento ad un presunto ricatto, ma al contrario un atto fondamentale di salvaguardia della salute pubblica”.
Se tutto ciò è vero, comincia a vacillare la nostra fiducia sulla tenuta democratica del nostro paese che, grazie anche ad una inefficienza dell’attuale compagine governativa, rischia di scivolare verso una deriva autoritaria che potrebbe riservarci brutte sorprese, se resta inascoltata la voce di quanti si battono, l’avvocatura è in prima linea a farlo, per il rispetto dei diritti umani e della democrazia soprattutto in questa fase così difficile che sta investendo il nostro paese.
Non possiamo stare tranquilli e credere ciecamente a quanto va ripetendo il nostro Presidente del Consiglio Conte, che continua a ripetere “che andrà tutto bene”. Vi sono segnali – soprattutto nel mondo carcerario – che l’uso della violenza non sia solo prerogativa della delinquenza ma anche a volte di organi dello Stato che non si giustifica, a maggior ragione, quando essa si esercita nei confronti di persone soggette a misure detentive da parte dello Stato. E’ ancora una volta “Il Dubbio” che ci informa come, a seguito di una protesta avvenuta nel carcere campano di Santa Maria Capua Vetere, “ci sarebbero stati presunti pestaggi perpetrati nei confronti di detenuti” che avevano protestato perché alcuni detenuti erano risultati positivi al Covid-19. Si era trattata di una protesta pacifica, che non aveva fatto danni e che era subito rientrata, senza scontro alcuno tra detenuti e polizia carceraria. “Quasi trecento poliziotti – scrive il quotidiano – a volto coperto e in tenuta antisommossa, avrebbero fatto irruzione nel padiglione Nilo, sarebbero entrati nelle celle e avrebbero cominciato i pestaggi”.
A farne le spese sarebbe stato anche un detenuto che non avrebbe partecipato alla protesta che, dopo pochi giorni, era uscito dal carcere per aver scontato la propria pena. L’ex detenuto, avrebbe presentato – come dichiarato – denunzia ai CC, allegandovi tre file audio WhatsApp dove diversi familiari denunciano le violenze subite dai detenuti, dopo che il mattino stesso della protesta il Magistrato di Sorveglianza si era recato in prigione a sentire i detenuti che hanno smentito la ricostruzione fatta da alcuni
sindacati di polizia che parlavano di una violenta rivolta. Il pestaggio sarebbe avvenuto, secondo le dichiarazioni rese al giornale, nel pomeriggio quando 300 agenti in tenuta antisommossa e a volto coperto hanno costretto i detenuti ad uscire dalle celle “dopo che ci hanno denudati e colpiti a calci e manganellate”. Se ciò verrà confermato, e si spera che ci sia una rigorosa inchiesta giudiziaria che accerti le responsabilità degli agenti, c’è da denunciare come il tessuto democratico comincia a cedere facendo tornare alla memoria sia i fatti di Genova ma soprattutto i sistemi di tortura utilizzati dalla polizia cilena nel colpo di Stato che mise fine alla primavera cilena.
La storia sembra ripetersi e certamente non possiamo garantire che siamo vaccinati contro queste violenze: anzi, grazie alla componente più conservatrice della nostra classe politica, sembra che questi episodi di violenza, commessi da organi dello Stato, siano raramente perseguiti e a volte addirittura tollerati “a difesa della legalità”. Quella che invocano i partiti di destra, o chi chiedeva “i pieni poteri”. Se il pianeta carcere esplode, lo si deve anche a questi signori che, in nome della “legalità” chiedono leggi speciali e giustificano la “legittima difesa”. Se questi sono i fatti, bisogna pur far sentire la voce di chi crede ancora nei valori costituzionali soprattutto in questa fase “emergenziale” che sta sacrificando i diritti inalienabili dell’individuo alla pandemia incombente.
E dopo, cosa resterà del tessuto democratico? E’ una domanda che dobbiamo porci per evitare che questa emergenza sanitaria finisca per travolgere i diritti riconosciuti dalla nostra Carta Costituzionale.
23/4/2020
CARCERE E DEMOCRAZIA

 

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