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BARI AL TAVOLO DI GIOCO

L’11 novembre scorso, dopo nove mesi di occupazione russa, gli ucraini hanno ripreso possesso della città di Kherson. Entrando in città il giorno successivo, il capo del governo ucraino Zelensky ha dichiarato espressamente “inizia qui la fine della guerra“. Ma non facciamoci illusioni che si sia aperto uno spiraglio per la ripresa del negoziato. Il quotidiano de La Repubblica ha scritto che sia la Nato che la Casa Bianca hanno fatto pressioni sul governo ucraino per riaprire il negoziato. Ma il presidente Zelensky ha ripetuto che “non ci sarà negoziato finché i russi occuperanno la nostra terra“. “Trattare con Putin – ha detto al giornale il consigliere del presidente ucraino – vorrebbe dire arrendersi e noi non gli faremo mai questo regalo“. Al giornalista che gli chiedeva che cosa farebbe l’Ucraina in caso di rifiuto degli alleati di fornire ancora aiuti militari, replica che “in guerra il supporto finanziario non è meno importante di quello militare“. Aggiungendo “continueremo a combattere anche se venissimo pugnalati alle spalle“. Ma c’è il rischio che la Nato sia a corto di munizioni e ciò potrà rallentare l’avanzata di Kiev. Mosca invece ha deciso di dare un segnale politico ritirando tutte le truppe a destra del fiume Dnipro. La portavoce del Ministro degli esteri russo ha lanciato un messaggio ancora più esplicito dichiarando che “non abbiamo mai rifiutato di condurre i negoziati con Kiev e siamo ancora pronti a farlo“. Insomma, si tratta di una apertura che Kiev farebbe bene ad esaminare seriamente soprattutto dopo l’incontro che si è tenuto ad Ankara tra il numero uno della Cia e il direttore dei servizi segreti russi, anche se entrambi hanno confermato che non si è parlato affatto di un’eventuale tregua. Ma vi sono diversi elementi che possono far ipotizzare che si stia preparando un percorso di distensione. Anzitutto è interessante notare che l’interlocutore USA – come scrive la Repubblica – Burns è stato ambasciatore a Mosca e probabilmente è l’esploratore più esperto per sondare le intenzioni del Cremlino. L’altro aspetto interessante è proprio la scelta della città dove si è svolto l’incontro, Ankara, con Erdogan che si è detto disponibile a riprendere la trattativa anche se fino ad oggi non c’è alcun segnale di cambiamento di rotta del governo ucraino. Anche il presidente francese Macron ha parlato al telefono con Zelensky per ribadire “tutto il suo sostegno alla proposta ucraina di un piano di pace in dieci punti“. L’ex premier inglese Boris Johnson è dell’avviso che, se i russi si ritirassero dai territori occupati dopo l’inizio del conflitto, potrebbe esserci uno spiraglio per la ripresa delle trattative. Anche l’ex Segretario di Stato americano Kissinger ha avanzato una proposta simile affermando che i territori occupati dai russi circa un decennio fa “potrebbero essere oggetto di un negoziato dopo il cessate il fuoco“. Ma questo significa appoggiare la posizione di Zelensky, per cui sarà difficile convincere Putin a ritirarsi sul confine del 2014 come è difficile convincere Zelensky di rinunziare alla Crimea e al Donbas. E’ questo il punto su cui potrebbe arenarsi qualsiasi ipotesi di negoziato. Appare più corretta la posizione di Putin di avere un negoziato che tenga conto dell’accordo raggiunto nel lontano 2014 con l’Ucraina con la garanzia di Francia e Germania. Difficilmente Putin potrebbe cedere anche perché, a non rispettare quell’accordo sottoscritto a Minsk, è stata proprio l’Ucraina mentre la Nato che pure aveva preso   l’impegno di tenersi lontana dalle frontiere della Russia, ha aperto le porte a tanti paesi ex sovietici circondando la Russia con centinaia di missili puntati a breve distanza dai confini. Oggi Putin intende giustamente far rispettare quel patto e non c’è verso che possa rinunziare a questo punto. Ancora nel novembre del 2021 in un incontro tra i ministri degli esteri russo con quelli francese e tedesco, Mosca sollecitava i rappresentanti di questi due paesi a convincere Zelensky a ritirare il progetto di legge già presentato di cancellare la lingua russa come seconda lingua del paese. Lo stesso Lavrov inviò un memorandum ai suoi colleghi occidentali che si limitarono a rispondere di non essere d’accordo. I colloqui che dovevano proseguire all’inizio di quest’anno, preso atto del rifiuto espresso dai due rappresentanti occidentali, furono pertanto annullati. Proprio poco più una settimana fa – era il 19 dicembre scorso – il programma televisivo Report ha chiarito quale sia stata la progressione degli eventi ma soprattutto ribadito il rifiuto dei rappresentanti occidentali che ha convinto Putin a intervenire sul piano militare sia per la sicurezza della popolazione russofona che abita nella regione contesa del Donbas sia per chiedere l’applicazione degli accordi raggiunti nel 2014. Accordi che prevedevano che il Donbas restasse territorio ucraino ma conferendo alla regione una maggiore autonomia trattandosi di un territorio di frontiera dove fino alla guerra del 2014 sostanzialmente la popolazione russa e quella ucraina convivevano senza problemi, senza contare dei rapporti tra la Russia e l’Ucraina rimasti in piedi. Il petrolio e il gas proveniente dai territori dell’ex Unione Sovietica arrivava in Europa attraversando l’Ucraina che riceveva un lauto compenso, oltre a godere di un prezzo di favore per l’acquisto dei carburanti fossili. In effetti, negli anni precedenti all’invasione, Gran Bretagna e USA cominciarono a trasferire in Ucraina una gran quantità di armi nel caso di un conflitto armato. Dietro la maschera del nazionalismo, in effetti, si nascondeva la prospettiva di isolare la Russia dai paesi dell’UE e quello degli USA di riprendere il suo ruolo dominante anche in Europa, suo principale concorrente nello scacchiere mondiale. Non dimentichiamo che Trump, all’epoca della Brexit, ebbe a schierarsi con la Gran Bretagna, interrompendo quella prospettiva di integrazione europea che costituiva una spina nel fianco per il sistema industriale americano. Tutto questo è avvenuto con l’incredibile appoggio dei paesi dell’Unione Europea che ha dimostrato ancora una volta di essere un gigante economico ma con i piedi d’argilla. Ancora più grave è stato l’atteggiamento assunto dai paesi fondatori dell’UE di appoggiare la richiesta di Zelensky, riconoscendo a lui solo il diritto di decidere delle sorti del conflitto. Eppure, se la guerra continua, a farne le spese non saranno solo la Russia e l’Ucraina ma soprattutto sarà compromessa per sempre la costruzione di uno Stato Federale che gli stati europei stavano tentando di creare. E questo è l’aspetto più devastante perché si ritornerà all’Europa delle nazioni. Un modello che è già fallito nel passato. Non a caso, in periodi di crisi della democrazia, è l’estrema destra a farsi sentire chiedendo la chiusura delle frontiere e la difesa delle tradizioni nazionali. Sotto gli occhi di tutti c’è la divisione all’interno dell’UE su tanti punti dimenticando, e di questo dovranno rispondere in primo luogo i vertici dell’UE, che in gran maggioranza i cittadini europei sono a favore della pace. L’anno si apre sotto i peggiori auspici con Zelensky che ripete ormai di continuare la guerra fino alla vittoria e con l’UE che ha definito la Federazione russa “uno Stato “terrorista””. Parole che pesano come macigni, allontanando sine die quel progetto di un nuovo Stato Federale, remando contro la storia e ripetendo gli errori del passato perché la Russia fa parte del Continente, della sua storia e non si può cancellare un popolo che vive accanto a noi ma di questo i politici sono convinti? Credo proprio di no. Siamo alla fine della pace ed il tempo non lavora certo a favore di chi intende difenderla. Se non si smaschera il ruolo effettivo degli USA e soprattutto le menzogne diffuse ad arte dai paesi occidentali e dall’Ucraina, nessuna pace potrà dirsi duratura.

Gennaio 2023

Avv. Eugenio Oropallo

BARI AL TAVOLO DI GIOCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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