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ARMENIA – ARZEBAIJAN, SI TORNA A SPARARE

Ad un anno dalla fine della guerra per il Nagorno Karabakh, le relazioni tra Armenia e Azerbaijan rimangono molto tese e difficili. Stando a quanto alcuni analisti sperano, ci sarebbe l’opportunità di voltare pagina. Dopo il cessate il fuoco, del 9-10 novembre 2020 che ha posto fine ai combattimenti dello scorso anno, alcune disposizioni dell’accordo rimangono insoddisfatte. L’Armenia vuole che l’Azerbaijan restituisca i rimanenti prigionieri che detiene, mentre Baku è frustrata dal fatto che un collegamento di trasporto previsto che attraversa l’Armenia, come dettato dall’accordo di cessate il fuoco, non sia stato ancora stabilito. Chiede inoltre che Yerevan consegni tutte le mappe dei campi minati nel territorio ora sotto il controllo di Baku.In effetti, le posizioni ufficiali sono distanti e ancora incompatibili. Mentre per il governo di Baku la questione è risolta, perché non esiste più il secessionismo armeno, per Yerevan e Stepanakert (già capoluogo del Nagorno Karabakh), invece questo è un cessate il fuoco in attesa che con l’ausilio della mediazione internazionale venga negoziata una nuova realtà politica. Per gli armeni lo scopo finale è ottenere il riconoscimento dell’indipendenza del Nagorno Karabakh nei suoi confini attuali ma – soprattutto Stepanakert – non nasconde di voler riottenere il controllo delle aree riconquistate dagli azeri. Nelle aree controllate dall’Azerbaijan non ci sono più armeni, ma ancora non ci possono essere gli azeri. Il recupero delle aree riconquistate si è dimostrato più ostico del previsto per l’alto numero di mine. La ripresa del controllo di questi territori ha implicato, oltre che un rilancio culturale dell’identità azera nelle arre riconquistate, massicci investimenti per favorire il rientro degli sfollati della prima guerra del Karabakh. Il governo azero prevede di riuscire, in qualche decennio, a ripopolare le aree riconquistate, una volta che la rete infrastrutturale e il tessuto produttivo saranno riattivati.  Anche per gli armeni è partita una ricostruzione per recuperare i danni della guerra. Yerevan e Stapanakert temono un esodo, uno spopolamento dell’area data la difficile situazione post-bellica. Gli armeni hanno perso miniere, pascoli, campi. Nell’insieme il 60% del territorio agricolo è passato in mano azerbaijana. Per di più l’enclave vive in uno stato di tensione perenne, è isolata e l’accesso al territorio nonché l’approvvigionamento da fonti esterne sono più difficili che prima della guerra. A Stepanakert il 20% della popolazione non aveva accesso all’acqua corrente, e il problema era diffuso nell’80% del territorio fuori dalla capitale de facto. Le fonti di acqua sono ora sotto il controllo di Baku. Senza controllo delle risorse idriche il Nagorno Karabakh rischia di trovarsi senza elettricità. La situazione rimane drammatica, il rischio di spopolamento reale, soprattutto nelle aree percepite come più pericolose perché più a ridosso della presenza azera. Stepanakert ha circa 15.000 abitanti in più, sfollati delle zone riconquistate e armeni che hanno preferito trasferirsi nel centro principale della regione. Un anno dopo l’accordo trilaterale del 2020 il peso della non-pace grava ancora assai pesantemente, sui vinti, ma anche sui vincitori. Le ambizioni di ricostruzione di Baku si devono costantemente confrontare con il rischio delle mine, e che, aldilà delle dichiarazioni trionfalistiche, rimangono in Karabakh, gli armeni che non accetteranno mai di essere integrati nell’Azerbaijan e l’esercito russo, ufficialmente “ospite” ma senza che sia previsto un meccanismo unilaterale per garantirne fra 4 anni un eventuale ritiro. Che la vicenda non poteva dirsi chiusa definitivamente lo dimostra il fatto che il 16 novembre Armenia e Azerbaijan sono tornati a spararsi lungo la linea di confine. Il 17 novembre si è arrivati grazie alla mediazione russa al cessate il fuoco. La gravità della situazione è resa evidente per il fatto che Yerevan ha messo tutte le carte sul tavolo: il Segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale A. Grigoryan si è appellato direttamente agli accordi armeno-russi del 1997 e ai mutui obblighi per la tutela dell’integrità territoriale dei due paesi alleati. Mentre la base militare russa di Gyumri entrava in allerta, anche a causa di una non chiara esplosione nelle proprie vicinanze, il ministro della Difesa russo ha espresso la piena disponibilità a contribuire a una normalizzazione della situazione al telefono con le parti. L’Azerbaijan ha aperto le porte alla presenza militare turca, e ora c’è un attore in più da considerare in un conflitto che partito dalla questione del Karabakh si sta allargando. La Turchia ha dichiarato l’episodio frutto del terrorismo armeno. L’Azerbaijan lamenta continue provocazioni da parte armena, come la visita del ministro della Difesa di Yerevan in Karabakh e il rafforzamento militare delle postazioni militari nella regione mentre l’Armenia accusa l’Azerbaijan di una strisciante annessione accompagnata da dichiarazioni di revanscismo territoriale. L’intervento in campo della Turchia che appoggia l’Azerbaijan rende sempre più reale il rischio che la guerra si allarghi anche ad altri paesi. Innanzitutto, Erdogan non ha ancora chiuso i conti con l’Armenia e questo potrebbe essere il momento di chiuderli semmai ripetendo i massacri all’inizio del secolo scorso e la politica espansionista della Turchia nell’area non fa che mettere in allarme gli altri protagonisti di questa guerra minore come la Russia che, da una parte ha notevoli rapporti commerciali con Baku ma che è obbligata ad intervenire a favore dell’Armenia grazie ad un accordo di cooperazione sottoscritta alla fine degli anni ’90, alla fine del primo conflitto tra Azerbaijan e Armenia. Tace per ora un protagonista che non può restare indifferente difronte al rischio che si riaccenda un conflitto fra i due paesi. Parliamo dell’UE che, a parte una telefonata del Segretario Charles Michel, che ha sentito sia il Presidente armeno che quello azero. Eppure sarebbe interesse dell’UE che la vicenda sia risolta al più presto possibile anche per garantire all’Europa i rifornimenti di gas, provenienti da Baku. Vedremo nei prossimi giorni fino a che punto regga questo ennesimo cessate il fuoco.

Novembre 2021

ARMENIA – AZERBAIJAN SI TORNA A SPARARE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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