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SI RIACCENDE IL CONFLITTO NEL NAGORNO KARABAKH

Anticipato da alcune scaramucce che erano esplose nel luglio scorso tra i militari azeri e i separatisti armeni schierati alla frontiera, la settimana scorsa si è riacceso il conflitto con decine di morti anche tra i civili. I venti di guerra son tornati a soffiare ieri – era il 27.9-. Le due repubbliche ex sovietiche si accusano a vicenda di aver riacceso il conflitto. C’è da chiedersi come questo conflitto “regionale”, scoppiato alla fine del secolo scorso non sia ancora concluso. L’ultimo violento scontro ha sollevato preoccupazioni in tutte le capitali europee che temono un allargamento del conflitto nella regione, crocevia degli oleodotti che forniscono petrolio e gas ai principali mercati mondiali, in primo luogo ai paesi dell’UE. E’ lo scontro peggiore, dopo quello del 2016, che potrebbe offrire la possibilità a potenze regionali e internazionali di inserirsi nel conflitto producendo uno scenario simile a quelli già sperimentati in Libia e in Siria. In effetti Ankara, alleata di Baku, ha dichiarato di voler sostenere l’Azerbaigjan “con ogni mezzo” come ha dichiarato Erdogan, che sta buttando benzina sul fuoco. Mosca, tradizionalmente vicina all’Armenia, ha lanciato un appello per il cessate il fuoco. Anche la Francia, dove vive una numerosa comunità armena e l’UE, hanno chiesto di fermare i combattimenti mentre l’IRAN che confina con entrambi i paesi si è offerto come mediatore per eventuali negoziati. Per capire meglio i motivi di questo conflitto, va ricordato che tra il 1918 e il 1922, quando era Commissario per le nazionalità, Stalin assegnò la regione del Nagorno Karabakh, abitata per l’80% da armeni, all’ Azerbaigjan per minimizzare il rischio che le minoranze etniche potessero rivendicare una propria identità nazionale. Quando i due paesi, dopo l’implosione dell’URSS, hanno recuperato l’indipendenza, sono riprese le ostilità. La guerra è andata avanti dal 1992 al 1994 e si è trattato di un conflitto brutale, senza esclusione di colpi. Quando la Russia ex sovietica ha mediato per un cessate il fuoco tra le due parti in causa, i separatisti armeni hanno assunto il controllo della regione, creando uno Stato indipendente col nome di Repubblica dell’Artsakh la cui capitale è Stepanakert, che non è stato però riconosciuto a livello internazionale neppure dall’Armenia. Dopo il cessate il fuoco raggiunto nel 1994, grazie alla mediazione di russi, francesi e americani, non c’è stato più alcun progresso nei negoziati di pace portati avanti dall’OSCE.  Gli scontri dei giorni scorsi sono un campanello d’allarme perché il conflitto potrebbe allargarsi a seguito di una serie di dichiarazioni. L’Armenia ha denunciato che mercenari pagati dalla Turchia, provenienti dalla Siria, sarebbero arrivati a Baku per dar man forte ai soldati azeri mentre la Turchia ha inviato sul posto una flotta di droni per controllare meglio l’evolversi della situazione e per bombardare i paesi posti alla frontiera, terrorizzando così la popolazione civile. Il premier Erdogan dal canto suo ha dichiarato di essere pronto a schierarsi a fianco dell’Azerbaigjan “nella sua battaglia contro l’invasione e la crudeltà”.  “Stavolta non combattiamo solo contro la Azerbaigjan ma anche contro la Turchia che la spalleggia ed i suoi mercenari islamisti che sono ben felici di venire qui a massacrare noi cristiani” dichiara una fonte militare armena ben informata. Lo scenario più probabile è che se non ci sarà un più efficace e tempestivo intervento dell’ONU e dell’UE per fermare i combattimenti, assisteremo all’ennesima strage di innocenti. Una corsa contro il tempo perché Erdogan, che sta lavorando per allargare la sua influenza in questa parte martoriata del Caucaso, ha fretta di sedersi al tavolo delle trattative solo dopo aver ottenuto un successo militare in campo aperto. Una vera e propria sfida che di fatto potrebbe scatenare una risposta da parte della Russia di Putin che già si prepara a rafforzare l’apparato militare nella frontiera con l’Azerbaigjan. Sarà capace la diplomazia internazionale e più ancora l’intervento dell’ONU e dell’UE di fermare la mano del carnefice turco? Ne dubitiamo anche perché questa guerra ci appare lontana, senza però che siano valutate le inevitabili conseguenze che l’ampliamento del conflitto potrebbe scatenare, tra le quali anche la sospensione della fornitura di petrolio e gas ai paesi europei. Notizie delle ultime ore ci confermano che l’aggressione da parte della Azerbaigjan ai separatisti del Nogorno Karabakh non si è fermata in quanto una pesante offensiva ha lanciato Baku con i lanciarazzi da terra e con i droni dal cielo. Si conferma la presenza anche di milizie jiadiste ma anche l’inedito intervento di Ankara. In queste ore si decideranno le sorti della guerra. “Se nessuno interverrà, dichiara un capitano dei corpi speciali armeni, vi saranno altri orrendi massacri”. Ma quest’ultima fiammata di violenza sta ridisegnando le alleanze nella regione. “Da una parte ai due “paesi fratelli” Turchia e Azerbaigjan – scrive La Repubblica di oggi – si è unita più o meno apertamente anche Israele che vende le armi a Baku in cambio del petrolio mentre nell’altro campo con Macron che si è schierato a fianco del popolo armeno si schiera l’Iran che sta inviando i suoi miliziani al fronte per contrastare quello che considera l’espansionismo neo-ottomano nella regione”. Ecco dunque che non si tratta più di una guerra etnica e neppure a sfondo religioso ma di un conflitto che è stato favorito dalla Turchia che vuole riaffermare il suo predominio in questa parte del Caucaso e controllare la rotta del petrolio di cui servirsi per bloccare qualsiasi intervento UE nella regione. Resta l’incognita Russa: legata all’Armenia da un accordo di difesa comune ma, altresì preoccupata di perdere influenza a Baku e in Azerbaigjan, nel caso scegliesse di scendere in campo al fianco dei separatisti armeni, finendo il paese mussulmano nelle trame ordite da Erdogan. Uno scenario, come si vede, sempre più preoccupante che potrebbe peggiorare anche nei prossimi giorni.

5/10/2020

Si riaccende il conflitto nel Nagorno Karabakh

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