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UOMINI E TOPI

Un detenuto di cinquantanove anni con problemi psichiatrici è la cinquantanovesima persona che si toglie la vita in carcere nel corso di quest’anno. È accaduto a Bologna, il primo settembre scorso, e la società civile non può dirsi estranea a questo ennesimo suicidio. Durissima la reazione degli avvocati penalisti di Bologna che hanno preparato un esposto inviato alla Guardasigilli Maria Cartabia nel quale si afferma che “la situazione in carcere è ormai insostenibile”. Serve una verifica – scrive il presidente delle Camere Penali Roberto D’Errico sulle condizioni minime di sicurezza degli ospiti del penitenziario e sulla assistenza sanitaria del carcere che non è in grado di garantire un soddisfacente livello di cura per i tanti detenuti affetti da patologie psichiche e fisiche in un istituto, come quello bolognese, dove il numero dei medici e psicologi in organico è totalmente deficitario. Chiedono inoltre i penalisti ai magistrati di sorveglianza di valutare con attenzione le richieste alternative al carcere denunziando che molto spesso esse vengono respinte. E questo è uno dei primi nodi da sciogliere se si vuole che il fenomeno sia tenuto sotto controllo, perché spesso alla durezza della pena si accompagna da parte delle strutture carcerarie un totale disinteresse di chi dovrebbe vigilare sulla libertà anche in mancato rispetto dei diritti civili del detenuto, ricordando che il detenuto con problemi mentali non può essere abbandonato a se stesso. Il garante regionale per i diritti dei detenuti, Roberto Cavalieri, ribadisce che “è necessario intervenire immediatamente e le istituzioni devono farsi carico di un problema che ha numeri di guerra” denunciando anche le condizioni di sovraffollamento del carcere con oltre duecento persone in più rispetto alla capienza regolamentare. Gli ha fatto eco l’associazione Antigone, da anni impegnata nelle carceri italiane perché siano rispettate anche i diritti dei reclusi che non possono essere sospesi anche a tener conto dello stato di detenzione. I numeri di quest’anno generano un nuovo allarme che non trova precedenti negli ultimi anni. I suicidi nel carcere di Bologna quest’anno sono stati sei e l’età media di chi si è tolto la vita di trentasette anni.

In un articolo apparso su La Repubblica di martedì sei settembre è intervenuto a dire la sua anche il sindaco di Bologna il quale ha ribadito innanzitutto che “se è vero che la civiltà di un paese si riconosce anche dalle condizioni delle sue carceri, non si può restare silenti di fronte a questa situazione” denunciando “l’assenza di uno Stato che fin da oggi ha mostrato una scarsa attenzione alla riforma e alla riorganizzazione del sistema”.

Sulla vicenda è intervenuto anche Mauro Palma – garante nazionale dei diritti dei detenuti – ricordando – sulle pagine della rivista Quale Giustizia – che Alessandro Margara aveva prospettato la possibilità di strutture diverse, di responsabilità territoriale dove tali persone potessero trovare supporto e anche controllo ma soprattutto una presa in carico più attenta. “Resta però – scrive ancora Palma – la nostra responsabilità collettiva nell’affinare gli strumenti di prevenzione e quella specifica di chi amministra e gestisce la privazione della libertà di una persona e tutelare al massimo la sua vita e la sua integrità fisica”. Anche se questi operatori del diritto vanno alla ricerca di alternative che possano rendere meno dura la pena di chi è privato del bene più importante, la libertà personale, ebbene va riveduto il sistema della pena, in quanto la detenzione anche di breve periodo può creare un danno irreversibile per chi sconta la pena il quale finisce per sentirsi sempre più estraneo alla società esterna per cui i soggetti più deboli, giovani soprattutto, possono porre fine alla loro vita pur di sottrarsi ad una situazione di degrado intollerabile. Di qui la necessità di limitare la tipologia delle sanzioni, rendendo quella carceraria l’extrema ratio, se mai prevedendola solo per i reati più gravi.

Ma anche in tal caso il carcere deve diventare un luogo dove diritti e garanzie vanno rispettate perché possa svolgere in qualche modo una funzione rieducativa nei confronti di coloro che vi sono costretti, riconoscendo ad ogni detenuto il diritto alla salute e alla cura del corpo, diritto alle relazioni parentali, amicali e sessuali, il diritto ad una adeguata offerta di istruzione, formativa e lavorativa, e diritto alle pratiche di culto. Diritti, lo ripetiamo, che non possono essere limitati per alcuna ragione finanziaria e organizzativa. Progetto utopistico? Certo, se si continua a dimenticare il precetto costituzionale, con un terzo dei detenuti dietro le sbarre in attesa di giudizio, la prospettiva di abolire questa forma di segregazione resta un miraggio. Checché se ne dica, la vendetta è una componente del diritto punitivo riutilizzata e legalizzata ma pur sempre presente. Certo è che chi ha commesso un crimine ha il dovere di pagare il suo debito alla società: ma il carcere è davvero un modo efficace di pagare questo debito? si chiede il professor Gustavo Zagrebelsky (nella postfazione al libro Abolire il carcere ed. Chiare Lettere 2015) scrivendo: “non ci appare stupefacente che in tanti secoli l’uomo che ha fatto tanti progressi in tanti campi delle relazioni sociali non sia riuscito a immaginare nulla di diverso da gabbie, sbarre, celle dietro le quali rinchiudere i propri simili come animali feroci?”. Purtroppo non è un problema di intelligenza, ma di sistemi politici che ancora vogliono risolvere i conflitti che frequentemente insorgono tra paesi diversi facendo ricorso, anche qui, alla guerra contro altri simili rischiando che la specie umana venga cancellata dalla faccia della Terra con strumenti di distruzione di massa che possono essere usati (come nel corso della guerra russo-ucraina alla quale stiamo assistendo e nell’illusione che ne siamo estranei e che pertanto non ci possa toccare). Certo abbiamo inventato la bomba atomica ma neanche i topi sarebbero stati così stupidi da costruire una trappola per topi.

Prima ancora che il carcere, dunque, è la società che deve essere cambiata eliminando la guerra come forma di risoluzione dei conflitti.

Settembre 2022

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