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Quali fattori possono compensare lo spazio nella cella inferiore al minimo vitale?

Il caso. Il Tribunale di Sorveglianza, respingendo il reclamo introdotto da un detenuto che chiedeva l’indennizzo per detenzione inumana e degradante, rilevava che solo in una delle tre strutture carcerarie era stata messa a disposizione del recluso una cella avente spazio vitale individuale inferiore a 3 metri quadrati (nello specifico erano 2,91). Tale circostanza, sosteneva il Tribunale, era stata riequilibrata dalle otto ore al giorno di permanenza esterna assicurate al detenuto. Quest’ultimo, avverso tale decisione, propone ricorso in Cassazione deducendo che il Tribunale non abbia tenuto conto delle particolari sue condizioni fisiche. Infatti, il ricorrente, affetto da numerose patologie e non in grado di deambulare in autonomia, avrebbe avuto bisogno di particolari forme di assistenza. La Suprema Corte rileva, limitatamente al periodo di detenzione della cella inferiore a tre metri quadrati, una violazione della disciplina regolatrice. I Giudici ricordano che la Grande Camera Corte Edu, nella decisione del 20 ottobre 2016, ha affermato che quando lo spazio vitale del singolo in cella è inferiore ai 3 metri quadrati, scatta una forte presunzione di trattamento inumano o degradante. Inoltre, i possibili fattori di compensazione devono sussistere cumulativamente e possono riguardare, tra le altre cose, la minore rilevanza della riduzione dello spazio minimo richiesto, la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di adeguate attività fuori dalla cella. La valutazione di questo minimo è relativa per definizione; la stessa dipende dall’insieme dei dati relativi al caso, e in particolare dalla durata del trattamento, dai suoi effetti fisici e mentali nonché, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute». Posto che, nel caso di specie, il riequilibrio della detenzione sofferta dal ricorrente risulta solo apparentemente motivato, senza concrete valutazioni, la Cassazione annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente al periodo trascorso nella cella senza spazio minimo vitale, e rinvia al Tribunale di Riesame. Così si è pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 23496/19, depositata il 28 maggio. Ancora una volta la Cassazione ritorna ad occuparsi dello spazio minimo vitale necessario per il detenuto, come può essere quello di cui egli gode all’interno della cella, “che può essere compensato con adeguata attività fuori dalla cella”. A nostro avviso si tratta di un criterio del tutto incompatibile con i diritti del recluso che non può vedere ristretto lo spazio di cui dispone all’interno della cella anche quando venga ad usufruire di un altro spazio all’esterno della cella.

Fonte su D&G

Giugno 2019

Quali fattori possono compensare lo spazio nella cella inferiore al minimo vitale

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